Commettere un crimine richiede anche capacità organizzativa, tanto più importante quanto più il crimine è complesso.
Pertanto, un crimine complesso è sempre accuratamente premeditato in tutti i suoi dettagli.
Un tale crimine richiede che vi partecipino attivamente un mandante, uno o più finanziatori, uno o più esecutori.
Ognuna di queste tre figure è essenziale per la buona riuscita dell’impresa criminosa.
Infine, dobbiamo ricordare che nel campo penale le responsabilità sono sempre individuali, e quand' esse fanno capo ad un gruppo organizzato e coeso queste responsabilità individuali si estendono a chiunque ne faccia parte, a meno che non se ne sia dissociato.
Questi pochi punti mi sembrano essenziali per potersi orientare nell’intricata questione delle reazioni israeliane agli attacchi provenienti dal territorio palestinese.
Lo scorso 7 marzo il ministro degli Esteri del governo di Hamas, Mahmud Al-Zahar, ha dichiarato che “Hamas non esiterà a rapire soldati israeliani per scambiarli con prigionieri palestinesi, qualora se ne presenti l’occasione” (Al-Sharq A-Awsat).
Poco prima che Hamas vincesse le elezioni quello che ora è il ministro dell’Interno, Saed Siam, aveva affermato che “in passato Hamas è riuscito a rapire molti soldati sionisti. Ci sono migliaia di prigionieri delle nostre forze, bisogna pensare a come liberarli. Io credo che sia inevitabile rapire soldati per fare lo scambio…non vi è nulla che la resistenza non possa fare.Quando si hanno uno scopo ed un piano efficace, lo scopo può essere raggiunto…In passato Hamas ha avuto successo nel rapire e nascondere corpi, ma sfortunatamente due corpi (cadaveri) sono stati restituiti in cambio di nulla” (video della televisione di Abu Dhabi).
Il sito web di Hamas, palestine-info.net, ha celebrato con grafiche molto esplicite ed espressioni di orgoglio l’uccisione dei soldati israeliani ed il rapimento di un militare ferito.
Il 16 marzo scorso Al-Ayyam ha scritto che “il movimento di resistenza islamico Hamas ieri ha minacciato di effettuare operazioni per rapire soldati dell’esercito israeliano, allo scopo di liberare prigionieri palestinesi detenuti in Israele. La minaccia è stata annunciata dal membro del Consiglio legislativo palestinese e membro di Hamas Fathi Hamad”.
Il 9 maggio un concetto identico è stato espresso sul medesimo Al-Ayyam dal dirigente della Jihad Islamica Halid Al-Batash.
Dunque, i mandanti sono chiaramente identificati per loro stessa esplicita ammissione. In questo caso mandanti e finanziatori sono gli stessi, trattandosi del partito che da solo è al governo.
Un partito ed un governo che, con buona pace delle anime belle che non vogliono capire i sottintesi, continuano a negare il diritto di Israele ad esistere. Nulla di diverso, infatti, significa l’accettazione (con molte riserve) del progetto elaborato da alcuni palestinesi detenuti in Israele per terrorismo e strage: dateci ora uno stato sovrano con i confini del 1967 (dunque anche con mezza Gerusalemme ed i luoghi santi ebraici) , consentite ai nostri esuli di tornare (in Israele), poi vedremo. Intanto, sappiate che noi rivendichiamo il diritto alla resistenza armata.
Quali sono le alternative di Israele? Rispondere agli attacchi con interventi massicci del proprio esercito – cercare di stanare ed uccidere con azioni mirate i responsabili di vertice, ossia i mandanti – cercare soluzioni meno cruente ma non meno efficaci, quali appunto la distruzione di fabbriche e depositi di armi e delle vie di comunicazione che consentono ai terroristi di muoversi agevolmente.
Proviamo ad immaginare che quanto avviene in quella tormentata regione si verifichi altrove, fra India e Pakistan, fra Cina e Tibet…Cerchiamo di ricordarci della guerra fra
la Gran Bretagna
e l’Argentina per le Falkland, fra Grecia e Turchia per Cipro (ancora divisa in due da reticolati, ed è perfino impossibile per i cittadini del nord turco parlare al cellulare con quelli del sud greco e dunque comunitario!). Non sono passati molti anni da quelle guerre, che hanno coinvolto paesi civilissimi. Nessuno di essi aveva cercato soluzioni alternative all’uso delle armi, benché fossero molto più facili ed a portata di mano.
Certo è facile chiedere moderazione ad Israele. Uno stato democratico che continua a doversi giustificare, e lo fa esponendo le proprie ragioni e le proprie esigenze. Ma come reagisce l’Autorità Palestinese? Al suo interno c’è un qualche cosa di lontanamente simile alle pulsioni pacifiste che scuotono le coscienze israeliane?