Due articoli dalla prima pagina del FOGLIO del 23 giugno 2006:
Roma. Questa settimana a Ginevra va in scena una grottesca commedia degli equivoci. Un’autorevole organizzazione internazionale decide che è ora di iniziare a fare sul serio in tema di diritti umani. Smantella una commissione ad hoc e istituisce un consiglio nuovo di zecca che rappresenterà la fine di tante colpevoli ambiguità. Sennonché, alla cerimonia inaugurale, viene invitato il più famigerato aguzzino di un paese tiranno. L’atmosfera è kafkiana, ma la storia è contemporanea, e vera. Protagonista il procuratore generale di Teheran, Said Mortazavi, un rivoluzionario doc con poche idee ma chiare: “Non ho bisogno della legge. Io sono la legge”. Mortazavi ha chiuso giornali e dato la caccia ai giornalisti, rinchiuso nel carcere di Evin studenti, dissidenti e chiunque fosse passibile ai suoi occhi dell’accusa di “agente controrivoluzionario”. Nel 2003 la fotografa Zahra Kazemi, iraniana con passaporto canadese, è entrata nel suo ufficio per un interrogatorio e ne è uscita in coma, poi è morta. Ma l’“incidente di percorso” non ha fermato il procuratore, che è stato premiato come “miglior servitore dello stato” e ha continuato a occuparsi delle sue bestie nere, il Sacharov iraniano Akbar Ganji o lo scrittore Ismail Jamshidi, arrestato ieri. “L’isolamento, la tortura, la prigione: è questo il prezzo che stiamo pagando per la nostra libertà in un regime irriformabile – dice al Foglio Ganji – I diritti umani sono costosi. Se io voglio la libertà di parola devo parlare. Creo la mia libertà parlando, così mi libero a dispetto del carcere e di Mortazavi”. L’Iran non è stato eletto tra i 47 membri del Consiglio dei diritti umani dell’Onu, ma Cuba, Cina e Arabia Saudita sono a bordo e il delegato Mortazavi ha denunciato i “diritti invocati come strumenti di politica unilaterale”, insistito sul “diritto all’uso della tecnologia nucleare”, messo in guardia i colleghi riguardo “all’arroganza di quegli stati che vogliono limitare la libertà d’espressione sull’Olocausto”. Il governo canadese e le organizzazioni internazionali hanno protestato formalmente. Dai partecipanti al simposio non è pervenuto alcun fremito di indignazione per Mortazavi, che è rimasto a dibattere con sauditi e sudanesi l’esigenza di difendere “in modo più incisivo” i diritti dei musulmani. E’ stato aperto un nuovo capitolo nella lotta per la difesa dei più deboli, ha annunciato il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, e neanche un’ombra di ridicolo negli occhi ha intaccato il suo aplomb.
Washington. Il direttore dei servizi segreti americani, John Negroponte, ha trasmesso al Select Committee on Intelligence della Camera dei rappresentanti parte di un report del National Ground Intelligence Center (Ngic, un’unità di intelligence del dipartimento della Difesa) che rivela la presenza in Iraq di armi chimiche. Il documento del Ngic espone in sei punti il risultato delle ricerche compiute nello stato iracheno a partire dal maggio del 2004: dal 2003 le forze della coalizione hanno ritrovato approssimativamente 500 ordigni chimici contenenti iprite – o gas mostarda, un aggressivo chimico usato nella Prima guerra mondiale – e gas nervino, entrambi potenzialmente letali; si stima che siano ancora presenti munizioni cariche e no che risalgono a prima della guerra del Golfo; armi chimiche potrebbero essere state vendute sul mercato nero e usate dai terroristi in Iraq; le munizioni che più probabilmente rimangono sono proiettili con gas nervino e mostarda; se anche gli agenti chimici si sono deteriorati, rimangono pericolosi e potenzialmente letali; i terroristi in Iraq vogliono ottenere armi chimiche. I proiettili ritrovati possono spargere i gas letali per centinaia di metri e il loro logorio dovuto al tempo li rende più pericolosi per chi li maneggia, non per il risultato finale. Prima della campagna irachena, il rais Saddam Hussein aveva dichiarato di non essere in possesso di tali materiali. “Abbiamo trovato armi di distruzione di massa in Iraq, armi chimiche”, ha detto Rick Santorum, senatore repubblicano, e il presidente della commissione sull’Intelligence, il conservatore Pete Hoekstra, ha rincarato con dichiarazioni allarmate. Ma Jane Harman, democratica della stessa commissione, ha precisato: “Non c’è nulla di nuovo in questo documento, nulla che contraddica il Duelfar report, che sosteneva che avremmo potuto trovare armi risalenti a prima del 1991 in Iraq”. Poi ha accusato il Nigc di partigianeria: i repubblicani avrebbero ottenuto quel che volevano, una smoking gun, che secondo i democratici tale non è.
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