Tariq Ramadan, maestro nell'arte della dissimulazione islamista ritratto da Giulio Meotti
Testata: Il Foglio Data: 23 giugno 2006 Pagina: 3 Autore: Giulio Meotti Titolo: «Il tribuno Tariq fa sfoggio di dissimulazione e intanto invoca il risveglio islamico»
Dal FOGLIO del 23 giugno 2006:
Un seduttore nato, un metodo vivente, un sagace banditore di un islam da establishment vestito a festa, un derviscio delle consulte occidentali. Tariq Ramadan è fumo negli occhi, un lacrimogeno mentre il combustibile delle retrovie si chiama odio, vendetta, rancore, presunzione di superiorità, intolleranza, sottomissione. Se la platea è composta da apologeti europei, Ramadan parla di europeizzazione dell’islam. Se ha di fronte un pubblico musulmano, la capovolge nell’islamizzazione dell’Europa. E’ un astuto venditore di glamour islamico che carbura con i sensi di colpa occidentali. Fermezza, identità, pudore, coscienza, fiducia e values sono canali attraverso cui stimola la conversione identitaria e dissimula attraverso una retorica fatta di tautologie stile Breuxelles. E’ così che il telegenico tribuno delle banlieue “universalista” ha incassato la difesa del braccato Salman Rushdie. Affoga il suo pubblico con venti libri, settecento articoli e altrettante audiocassette. E’ amato dalla sinistra europea e dalla Ligue communiste révolutionnaire, acclamato perché invita a scegliere “tra Victor Hugo e Dallas”. Paradossalmente è peggio di Abu Hamza e Omar Bakri, troppo “ragionevole” e soft-spoken quindi confortante per il business as usual di Londra. Ramadan, di casa a Ginevra e nel quartiere parigino di St. Denis, è un genio virtuoso nell’arte di “épater le bourgeois”. L’ultima performance è una lunghissima intervista rilasciata al magazine inglese Prospect, concentrato del ramadanismo di questo presunto “riformatore”. Per gratificare l’intervistato, critico del governo laburista che ha fatto la guerra in Iraq, Ramadan dice che “Tony Blair ha sbagliato a negare ogni collegamento fra l’Iraq e le bombe del 7 luglio”. Ne esce un manifesto per il ritorno alla casa del padre, al vero islam. Il musulmano europeo deve abbandonare i panni della vittima prendendo coscienza della superiorità rivelata del Corano; il mondo islamico, in particolare sunnita, deve superare la crisi di autorità. Ramadan esalta la “rivoluzione silenziosa” dei musulmani europei e il “risveglio” della terza generazione. Sostiene che più che di scuole separate, gli islamici hanno bisogno di scambio interculturale, che per lui è una penetrazione lenta e graduale, “devono avere gli stessi diritti di ebrei e cristiani nelle scuole religiose”. Anche se quelle scuole diventano fucine dell’odio di massa. Nel 1993 partecipò al boicottaggio a Ginevra dell’opera di Voltaire “Mahomet ou le fanatisme”. Cinque anni dopo scrisse la postfazione a una raccolta di Yusuf al Qaradawi, lo sceicco che ha benedetto i kamikaze in Israele e in Iraq. Ora Ramadan rimprovera ai politici europei di non fare abbastanza perché i musulmani assumano una loro identità politica, abile nel non rispondere alla domanda se sia a favore della seperazione di religione e politica: “Dobbiamo seguire le regole dei paesi in cui viviamo. I problemi sociali sono che reclamano i loro diritti” e non “musulmani che difendono la loro religione”. Parla anche di costume, dalle donne all’omosessualità, questa “disfunzione” e “bestialità”. “Non puoi aspettarti di vedere l’omosessualità promossa dalla tradizione islamica”, dice nel suo linguaggio da yo-yo che languisce e affeziona. Nessuno si aspettava tanto, ma da un consulente del governo inglese che si atteggia a liberale almeno una parolina sul linciaggio dei gay palestinesi, l’impiccagione di quelli iraniani e la fucilazione delle lesbiche saudite. Ma perché azzardare tanto, nega persino di essere consulente di Blair, se ne vergogna come di quell’occidente terra di missione religiosa. Quanto alle donne, è vero che ne critica, ma sai il peso, la sottomissione, ma aggiunge che “devono essere subordinate all’uomo quando l’uomo è modello di islam”. Vale per il velo: “E’ impossibile obbligare le donne a indossarlo, ma se vogliamo costruire un’autentica comunità islamica, c’è una cosa che dobbiamo imporre a tutti, ed è il pudore”. Quell’austerità su cui il mullah Omar non avrebbe nulla da ridire. Un musulmano può sposare una cristiana o un’ebrea, “una donna islamica non può sposare un uomo di un’altra religione”. Se l’Iran diventa “la più avanzata società islamica nella promozione delle donne”, gli occidentali non siano così ipocriti da bandire la poligamia dei musulmani, “molti uomini hanno una, due o tre amanti nelle società occidentali”. E’ contrario alle piscine miste, “non vedo come uno possa pensare di andare in posti simili”. Non è moderato o riformista chi, come fa Tariq nel videotape “Pour une culture islamique alternative”, sostiene che la messa al bando di foto, film, musica e programmi televisivi “è un’opinione come un’altra”. L’origine del suo straordinario successo di uomo-copertina consiste nel decentrare il problema decontestualizzandolo. Le sue conferenze sono seguitissime, dalla cattedra di Oxford si rivolge ai maghrebini, li invita a liberarsi da un destino di marginalizzazione etnica partecipando alla vita pubblica e rivendicando la cittadinanza. E’ solo così, dice Ramadan, che l’islam può essere “la soluzione” al “vuoto spirituale dell’Europa”. Il suo network, “Présence musulmane”, proibisce la visione di materiale che “può provocare un’attitudine contraria all’etica islamica”. Nel dialogo con Prospect sembra un laico illuminato, ma in un audiotape dal titolo “Islam and secularism” spiega che “l’islam non fa distinzione fra religione e politica, fede e azione”. Nell’intervista dice che la nuova legge francese sulla laicità è una ritorsione antislamica. Sull’islamofobia suggestiona i lettori inglesi ricordando che all’inizio era contrario a usare questo termine, ma “criticare qualcuno o discriminarlo perché è musulmano, questo è ciò che si chiama islamofobia, una forma di razzismo. Il discorso sull’islam non è positivo oggi in Europa”. E’ necessaria quindi “una distanza intellettuale critica”, vacuità da riempire a piacimento. Quanto all’Inghilterra, “i musulmani sono dei privilegiati rispetto ad altri in Europa”, non c’è islamofobia, sono le bandiere inglesi ad essere nascoste sotto banco per non offenderli, i musulmani inglesi. “Sono dure le cose per i musulmani nelle società secolarizzate”, a complicare le cose c’è “l’esperienza della colonizzazione che non possiamo dimenticare”. Ramadan dice infine che ci sono principi “immutabili” su cui il musulmano non può pubblicamente scendere a compromessi con il paese d’adozione: “Fede in Dio, nel Profeta, i libri della rivelazione. Per me il Corano è veramente la parola di Dio”. Altrove dice che “abbiamo l’obbligo di seguire la sharia”, tutto “il nostro orientamento deriva dalla takwa, la paura di Allah”. Sull’apostasia: “Nel Corano abbiamo versi duri contro politeisti, ebrei e cristiani. Ma dobbiamo porre le cose nel loro contesto”. Again, bisogna rivedere la storia dell’islam: “Se studiamo la storia della civilizzazione islamica, è successo qualcosa intorno al XIII, XIV e XV secolo. I musulmani sentivano il rischio di essere dominati dall’occidente. Prima erano dominanti e creativi. Ora cercano di proteggersi dall’essere dominati”. Chi avesse preso gusto alla mascherata della dissimulazione si può sintonizzare sul canale inglese Sharia TV, di cui Ramadan è ospite fisso.
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