Dicevano i fautori del dialogo a tutti i costi: "con l'Iran fare come con la Corea del Nord" con quali risultati, ora lo sappiamo
Testata: Il Foglio Data: 20 giugno 2006 Pagina: 2 Autore: Tatiana Boutourline Titolo: «Il “modello nordcoreano” crolla sotto l’annuncio del lancio di un missile. E Bush alza la voce con Teheran»
Dal FOGLIO del 20 giugno 2006:
Con l’ennesimo missile pronto sulla rampa di lancio chissà se il direttore dell’Agenzia atomica, Mohammed ElBaradei, esalterà ancora il “metodo nordcoreano” come modello per la risoluzione della crisi iraniana. Dal 2003 i “six party talks”, i colloqui multilaterali tra Stati Uniti, Cina Giappone, Corea del sud, Russia e Corea del nord, vengono invocati come materializzazione di quell’engagement diplomatico in grado di dirimere le più annose controversie internazionali. E non importa che il 10 febbraio 2005 Pyongyang abbia annunciato di avere la bomba né che una lacunosa intesa raggiunta lo scorso settembre sullo smantellamento del programma nucleare nordcoreano non abbia superato l’autunno. I “six party talks” sono ancora in piedi per cui restare agganciati al processo è più importante del motivo che ha dato origine al processo stesso. Nel frattempo il dossier iraniano ha rubato la scena e non è un mistero che i disaccordi tra Washington, Mosca e Pechino a proposito di Teheran riflettano orientamenti contrastanti anche su Pyongyang. Superato di provocazione in provocazione dal presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, il leader nordcoreano Kim Jong Il ha scelto di rispondere con la stessa moneta. Agitare lo spauracchio di un lancio missilistico che abbia luogo come accadde nel 1998 o resti nell’aria come fu nel 2004 rimette la Corea del nord al centro della scena, obbligando gli interlocutori a riformulare le loro posizioni. Kim Jong Il spera che la rinnovata percezione del pericolo nordcoreano gli frutti maggiori concessioni, ma il suo intento è quello di approfondire le fratture tra i mediatori. Washington e Tokyo hanno risposto con durezza all’annuncio – Condoleezza Rice ieri dichiarava: “E’ una questione molto seria” – ma Pyongyang conta su reazioni più morbide da parte di Mosca, Pechino e Seul. La Cina potrebbe sfruttare il lancio per far valere il suo rapporto speciale con la Corea del nord, ribadire di essere l’unica in grado di riportare a più saggi consigli Kim Jong Il. Quanto alla Corea del sud, l’inasprirsi del dibattito sul programma nucleare nordocoreano potrebbe aggravare le tensioni con Washington: Seul, missile o no, difficilmente rinuncerà alla sua politica di apertura a Pyongyang e Kim Jong Il potrebbe offrire nuovi scambi culturali ed economici. Un percorso poco turbato dall’ipotesi di un deferimento al Consiglio di sicurezza: l’esperienza iraniana non può che far dormire sonni tranquilli a Kim Jong Il. Prima che Ahmadinejad gli soffiasse la palma del provocatore, il leader nordcoreano ha già sperimentato l’utilità delle sue intimidazioni. Nel ’98, dopo il lancio del Taepodong, invece di essere isolata, Pyongyang ospitò per la prima volta il presidente sudcoreano e normalizzò le sue relazioni con l’Australia, la Gran Bretagna, le Filippine, il Belgio, il Canada, la Spagna e l’Italia. In quegli anni l’Amministrazione Clinton aveva avviato con la Corea del nord un dialogo culminato con l’annuncio di una riconciliazione. Nel ’94 Washington e Pyongyang avevano siglato un accordo a Ginevra che prevedeva l’ingresso degli ispettori dell’Aiea, il congelamento dei reattori e come contropartita aiuti economici e la costruzione da parte degli Stati Uniti di un reattore ad acqua leggera (mai portato a termine). L’intelligence statunitense stabilì che i nordocoreani non avevano abbandonato la corsa verso la bomba. I disegni nucleari congelati nel ’94 erano stati soppiantati da un programma nucleare parallelo. Nel 2002 Pyongyang è stata messa nell’asse del male, ma questo non ha impedito a Washington di partecipare ai colloqui voluti da Pechino nel 2003, anno in cui la Corea del nord ha abbandonato il Trattato di non proliferazione (Tnp). Il grande sforzo multilaterale di questi anni si è rivelato un fiasco e il modello nordcoreano è un esempio per chi a Teheran non pensa che a dilatare i tempi. Se i falchi in Iran insistono che sbattere la porta in faccia all’Aiea potrebbe servire come è servito a Pyongyang, i nordcoreani non possono che prendere nota del fatto che, nonostante le esternazioni di Ahmadinejad, o forse proprio in virtù di queste, i colloqui bilaterali che Kim Jong Il insegue da anni non sono mai stati tanto auspicati. Ma gli Stati Uniti non possono lasciare che i tempi diventino eterni. E il presidente George W. Bush, che domani sarà a Vienna a discutere della questione iraniana, ha detto: “Se i leader di Teheran rifiutano la nostra offerta, ci sarà un’azione da parte del Consiglio di sicurezza, un maggiore isolamento e progressivamente sanzioni più forti, sia politiche sia economiche”.
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