L’umanità in tempi bui - Hannah Arebdt Raffaello Cortina Editore a cura di Laura Boella
Un corpo a corpo intellettuale ingaggiato con un autore del passato per far capire e per capire meglio se stessa. E l’affacciarsi in prima persona di Hannah Arendt (1906-1975), con tutta la carica emotiva della propria autobiografia, pur nella rigorosa distinzione di sempre tra sfera pubblica e privata. Ecco il senso dell’intenso e bel volumetto “L’umanità in tempi bui”, ovvero la prolusione tenuta dalla filosofa “ebrea e apolide” in occasione del conferimento (nel 1959) del prestigioso premio Lessing, che esce, per le cure di Laura Boella, nell’anno del centenario della sua nascita. Arendt è una pensatrice scomoda, non accademica ma neppure “sloganista” né, tanto meno, accondiscendente. Una pensatrice allergica a fazioni e ideologie e, in definitiva, alla stessa popolarità, che conobbe quasi suo malgrado. Attraverso lo scrittore e drammaturgo settecentesco Gotthold Ephraim Lessing e la sua idea di humanitas (eredità di una lunga tradizione della civiltà europea), la studiosa si domanda come sia possibile rimanere umani nell’età dei totalitarismi, della violenza ferina e della Shoah. L’impolitica Arendt trova una risposta nelle parole dell’illuminista Lessing e nella sua visione di amicizia, fatta di dialogo, piacere dello stare insieme, condivisione dell’esperienza e, soprattutto, di irrinunciabile libertà del soggetto individuale. Nessuna utopia (tali sarebbero l’uguaglianza e la fraternità), dunque, nel mondo “tragico” arendtiano percorso dalle figure dello sradicato, del rifugiato e del perseguitato. Ma, laddove possibile, accoglienza e ospitalità che fanno emergere le contraddizioni e i conflitti esistenti. Come pure quelle emozioni e passioni intrise di realtà che, sole, possono cercare di contrastare gli aridi assoluti del potere impersonale e inumano che trovò il suo apice nei brechtiani “tempi bui”.