Sul contenuto del referendum, descritto un po' ovunque come un riconoscimento di fatto del diritto all'esistenza di Israele, Informazione Corretta aveva avanzato fin da subito pesanti dubbi, per non dire certezze. Che fosse un'azione interna alla lotta palestinese fra Fatah e Hamas ci era parso più che evidente. Sulla STAMPA di oggi, 18.6.2006,a pag. 12, lo conferma un'intervista di Fiamma Nirenstein al presidente del parlamento palestinese. Ecco il testo:
Abdel Aziz Duaik, presidente del Parlamento palestinese, è uno dei leader più intellettuali e occidentalizzati di Hamas. La prima volta che lo abbiamo incontrato a Hebron, roccaforte dell’organizzazione e suo luogo d’origine, indossava, col cappello verde che faceva da distintivo, un montgomery che evocava, insieme alla capigliatura grigia, un rivoluzionario degli Anni ‘60. Ma il suo ideale, ce lo disse mentre la folla in piazza gridava «Morte a Israele», era l’islamizzazione dell’umanità, dal Fiume (il Giordano) al Mare (il Mediterraneo). Oggi il professore di urbanistica e geografia preferisce l’abito blu e la cravatta, con cui cerca di dominare le turbolenze del Parlamento. Due giorni fa, nello scontro fra Hamas e Fatah sono volate botte, nelle strade si spara. Aziz Duaik nello stesso giorno dichiarava che Abu Mazen fa il gioco degli Usa e di Israele quando impone un referendum sul «documento dei prigionieri» per il 26 luglio. Fra gli autori del documento, peraltro durissimo con Israele, ci sono anche leader di Hamas. Perché lo rifiutate? «Perché non è un referendum sul documento dei prigionieri. Abu Mazen non cerca risposte politiche sul tema della pace, della guerra, dei confini, ma un pronunciamento popolare che gli restituisca tutto il potere e delegittimi il governo di Hamas sulla base di una situazione di fame, di miseria, di sanzioni. Si rivolge a un popolo cui da sei mesi mancano stipendi e medicine. Cosa vuole che risponda? Votando sì, dirà che questa situazione non gli va bene, condannando così Hamas. Ma la colpa è di chi nega i fondi». Ma poichè i fondi non entrano a causa della vostra politica che rifiuta il riconoscimento di Israele, Abu Mazen propone una strada per riaprirsi alla politica. «Se la domanda è questa, trovo disonesto che non venga formulata nei suoi termini reali: vuoi riconoscere lo Stato d’Israele? Perché in questo caso sono certo al cento per cento che la risposta sarebbe un sonoro no». Lei pensa che i palestinesi non vogliano riconoscere l’esistenza di Israele? «Di fatto, l’Olp ha già riconosciuto Israele più volte; ma Israele non riconosce i nostri diritti». Tutti i tentativi di dividere la terra sono stati rifiutati. «È vero il contrario: Israele ha causato tutti i fallimenti. Noi siamo d’accordo col documento dei prigionieri al 90%. Il fatto è che il referendum non parla di quel documento, ma di delegittimare Hamas. E Hamas non deve, non può essere delegittimato: ha la fiducia democratica dei palestinesi, ha il governo». Nel documento c’è il diritto al ritorno, alla lotta armata... Cosa vi manca? Mi pare che al di là del problema della delegittimazione resti quello di due Stati uno accanto all’altro e di confini che si fermano al ‘67. «Penso che i confini del ‘67 siano un punto di partenza. Se ci fossero due Stati forse un giorno potrebbero riconoscersi. Ma Israele ci tiene nel mirino, ci occupa, spara alle nostre famiglie. Non chiede riconoscimento: ci minaccia». Vuol dire che in cambio dei confini del ‘67 sarebbe pronto a una tregua? «Potrebbe essere un’idea: una lunga tregua che porti a uno Stato per i palestinesi. Allora si potrà prendere in considerazione Israele». Ma quando, come? E finché questo non accadrà, continuerà il terrorismo? «Abbiamo mantenuto la tregua mentre Israele ha seguitato a far morire i nostri cari, a renderci vittime delle sue violenze». E i Kassam, 80 missili in tre giorni a Sderot? «Noi ne abbiamo lanciato uno solo, dopo l’attacco alla spiaggia di Gaza». Gli israeliani dicono che non c’entrano, gli esperti lo confermano. «Bugie. Human Rights Watch dice il contrario, è chiarissimo che sono stati gli israeliani». I Kassam partono da postazioni vicine ai civili. «Hamas ha mantenuto la tregua per 18 mesi. Noi siamo le vittime; se gli israeliani non spareranno, abbiamo uomini abbastanza disciplinati per mantenere una tregua». Torniamo al referendum. Si dice che stiate cercando un accordo, che potrebbe passare dalla sostituzione del premier Haniyeh con un tecnico che piaccia alle due parti. «Non sono nella posizione di discutere questo. Però Hamas e Fatah sono fratelli, la situazione non è del tutto sotto controllo ma è un po’migliorata, quindi ogni soluzione è possibile: per esempio, un governo di unità nazionale. Dopo 6 mesi di boicottaggio internazionale guidato dagli Usa, che interferiscono...». Puntano su Abu Mazen e non su Hamas. Non le pare legittimo? «Mi pare una pesante forma di interferenza, specie dopo il boicottaggio. Abbiamo un governo». Abu Mazen ne approfitta? «Si può dire così». E l’Europa? E l’Italia? «Con l’Italia abbiamo buoni rapporti. L’Europa vorrebbe aiutarci, ma si scontra con il diniego americano». Le forze internazionali giocano anche in senso opposto: Ahmadinejad invoca la distruzione d’Israele, anzi, prepara l’atomica per farlo. «Secondo me Ahmadinejad agisce per raccogliere consensi e iniziare sostituire le risorse petrolifere con altre fonti di energia». E le minacce a Israele? «È molto più minaccioso Israele con le sue vere bombe atomiche che l’Iran, uno dei soliti nemici fittizi che Israele cerca dal ‘48». Fittizi? «Certo. E comunque, scriva: noi non abbiamo paura della bomba atomica di Israele». Perché, se è così aggressivo? «Siamo musulmani, non dimenticatelo mai, non abbiamo paura. La vita e la morte sono nelle mani di Allah; la giustizia immancabilmente prevarrà. È scritto».
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