Il gioco pericoloso della Russia con l'Iran e la debolezza di Europa e Stati Uniti
Testata: Il Giornale Data: 16 giugno 2006 Pagina: 13 Autore: Roberto Fabbri - Livio Caputo Titolo: «Putin: Teheran ha diritto al nucleare ma è pronta a trattare sull'offerta Ue - Se l'Iran ha in pugno l'Occidente»
Una cronaca dal GIORNALE del 16 giugno 2006:
Tutti i Paesi, compreso l'Iran, hanno diritto a utilizzare il nucleare, «ma in modo da non suscitare inquietudini» in una parte della comunità internazionale. Lo ha detto il presidente russo Vladimir Putin, ieri in Cina per il vertice dell'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (Ocs), di cui fanno parte, oltre a Cina e Russia, le quattro Repubbliche centroasiatiche Kazakhstan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan. Putin ha avuto occasione di incontrare il collega iraniano Mahmud Ahmadinejad, al centro delle critiche e dei sospetti della comunità internazionale per la gestione anche mediaticamente sopra le righe del programma nucleare del suo Paese. «Ho avuto un'impressione molto positiva di quest'incontro - ha detto Putin ai giornalisti - L'Iran ha reagito in modo positivo alle proposte europee concordate con Stati Uniti, Russia e Cina. È pronto a iniziare i colloqui e spero che molto presto faccia conoscere la sua posizione». Prima del faccia a faccia con Ahmadinejad, il presidente russo aveva ripetuto che il suo Paese intende rimanere «un partner affidabile» dell'Iran; da parte sua il capo dello Stato islamico che negli ultimi mesi ha più volte ripetuto di considerare «un mito» lo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti e di auspicare la cancellazione dello Stato di Israele ha assicurato compunto che l'Iran si muoverà nell'interesse della pace mondiale. A Shanghai il presidente iraniano ha giocato abilmente le sue carte in un momento in cui Teheran fa muro alle richieste dell'Occidente in materia di nucleare, e parte dell'Asia, con la Cina in prima linea cerca di placare la propria grande sete di petrolio e gas: in questi stessi giorni il premier cinese Wen Jiabao è in Africa, letteralmente a caccia di contratti petroliferi. «È nostro desiderio che l'Ocs diventi forte e influente in campo economico, politico e commerciale, a livello regionale e internazionale, così da evitare a potenze dominanti la tentazione di usare le loro forze per ingerirsi negli affari di altri Stati», ha detto Ahmadinejad con evidente riferimento agli Stati Uniti. L'Iran - ha concretamente proposto Ahmadinejad - è pronto ad ospitare un vertice di ministri dell'energia dei sei paesi membri dell'Ocs per studiare forme di cooperazione nella ricerca e nello sfruttamento delle fonti energetiche e nel trasporto di greggio. Questo mentre a Vienna i vertici dell'Agenzia atomica internazionale hanno completato l'esame della pratica iraniana e continua l'attesa di una risposta di Teheran alle offerte occidentali in cambio dello stop all'arricchimento dell'uranio, passaggio chiave per la produzione di ordigni atomici. E mentre l'Iran tutto fa fuorché smentire chi denuncia le sue mosse in campo militare: sono di ieri la firma dell'accordo con la Siria «contro le comuni minacce» poste da Israele e stati Uniti e la conferma del ministro della Difesa Najjar di voler continuare a costruire missili «per difenderci da qualsiasi offensiva».
Di seguito, un commento di LIvio Caputo:
Agli occhi dei cittadini, i negoziati che dovrebbero condurre alla sospensione dell'arricchimento dell'uranio da parte dell'Iran - ormai sul punto di entrare nel quarto anno - somigliano sempre più a una presa in giro. Tra offerte e controfferte, proposte e minacce, interventi del Consiglio di Sicurezza e sdegnose repliche degli ayatollah, siamo sempre al punto d'inizio: senza negare esplicitamente che il processo in corso potrebbe sfociare nella costruzione di una bomba, Teheran insiste che procedere con l'arricchimento a fini pacifici è nel suo pieno diritto e che non ha alcuna intenzione di abbandonarlo. Neppure le ultime mosse occidentali - disponibilità degli Stati Uniti a partecipare a un negoziato multilaterale e offerta di un consistente pacchetto di aiuti economici e tecnologici, presentata personalmente dal ministro degli Esteri della Ue Solana - hanno scosso l'intransigenza degli ayatollah. A una cauta apertura del capo-negoziatore Larijani («Le nuove proposte contengono alcune cose positive e alcune ambiguità che devono essere eliminate») hanno fatto riscontro commenti molto più duri di altri esponenti del regime e addirittura la minaccia dell'autorità suprema, l'ayatollah Khamenei, di ricorrere all'arma del petrolio se l'Occidente «farà il più piccolo errore». L'impressione è che l'Iran voglia comunque alzare ancora molto il prezzo, nella convinzione che - al momento - le circostanze gli assicurino una virtuale immunità. Nella tattica del «bastone e della carota» praticata dai negoziatori occidentali la componente bastone è infatti debolissima: Russia e Cina, che godono del diritto di veto in seno al Consiglio di Sicurezza, hanno ripetutamente fatto capire che non intendono mettere a repentaglio i loro rapporti economici con Teheran adottando le sanzioni proposte da Washington; il gruppo dei Paesi non allineati nell'Agenzia atomica internazionale ha ufficialmente sostenuto il diritto dell'Iran a sviluppare un proprio potenziale nucleare e definito una eventuale azione militare contro i suoi impianti «una grave violazione del diritto internazionale». L'opzione bellica viene peraltro giudicata impraticabile pressoché da tutti, se non altro per la tempesta che un'offensiva contro un Paese che fornisce il 3 per cento del fabbisogno energetico mondiale scatenerebbe sui mercati petroliferi. Questa oggettiva impotenza ha indotto gli Stati Uniti ad ammorbidire gradualmente le sue posizioni: prima ha dato luce verde a Francia, Gran Bretagna e Germania perché tentassero di raggiungere un compromesso, ora ha accettato di mettere fine a 26 anni di boicottaggio e partecipare in prima persona al processo negoziale se Teheran accetta di sospendere il processo di arricchimento in attesa di un accordo onnicomprensivo. Non siamo ancora alla trattativa bilaterale che - secondo molti analisti - sarebbe l'obiettivo degli ayatollah, ma ci stiamo gradualmente arrivando. Qualcuno sta già ipotizzando un «grande baratto»: in cambio della rinuncia di Teheran ad arricchire l'uranio e a sostenere il terrorismo internazionale, Washington dovrebbe concedere il pieno riconoscimento del regime degli ayatollah, un trattato di non aggressione, l'ingresso nell'Organizzazione mondiale del Commercio e la fornitura di tecnologia nucleare che permetterebbe agli iraniani di dotarsi di centrali per la produzione di energia elettrica, ma non dell'arma atomica. Ma, oggi come oggi, si tratta del sogno di una notte di mezza estate, per la cui realizzazione non esistono né i presupposti, né le condizioni. «La verità - sostengono gli scettici - è che non sappiamo neppure chi ha davvero l'autorità di trattare, perché gli esponenti del regime si contraddicono l'uno con l'altro». Per l'Iran c'è senza dubbio anche un problema di faccia. Nel tenere apertamente testa al «grande Satana» e ai suoi alleati, gli ayatollah hanno acquisito grande prestigio nel mondo islamico più radicale. Anche se, secondo i tecnici, Teheran ha ancora bisogno di almeno cinque anni prima di arrivare a costruire una bomba, la semplice prospettiva eleva il suo status, mentre un compromesso finirebbe col ridimensionarlo. La carota che pretenderà è perciò molto grande, sempre più grande; e all'Occidente si porrà la questione su fin dove è opportuno arrivare (e fino a che punto ci si può fidare).
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