Vincere una battaglia è diverso dal vincere la guerra, ma una vittoria è una vittoria e l'eliminazione di Al Zarkawi lo è: anche se il settimanale cattolico non vuole ammetterlo
Testata: Famiglia Cristiana Data: 14 giugno 2006 Pagina: 0 Autore: Fulvio Scaglione Titolo: «Ma la guerra non è finita»
Famiglia Cristiana on line pubblica nel numero 25 un articolo a firma Fulvio Scaglione intitolato “Ma la guerra non è finita”.
Lasciando ai lettori di I.C. ulteriori osservazioni sull’articolo rileviamo che l’uccisione di Al Zarkawi è un passo significativo e importante nella lotta al terrorismo e che, seppur non risolutivo per l’attuale situazione politica irachena, rappresenta senz’altro un evento destabilizzante per le organizzazioni terroristiche.
Sono questi i concetti che il giornalista a nostro avviso non mette sufficientemente in rilievo e preferisce ribadire “noi l’avevamo detto”. Insigni studiosi come Bernard Lewis hanno più volte sottolineato che non è un’utopia esportare la democrazia in Medio Oriente ma che questa è una strada lunga e difficile. Nel frattempo il mondo occidentale dovrebbe ricordarsi le torture, i massacri perpetrati da Saddam Hussein ai danni del suo popolo da Saddam Hussein: troppo spesso c’è chi se lo dimentica!!
Ecco il testo:
Sapete che cosa ci vuole per preparare attentati come quelli che hanno ucciso il caporal maggiore Alessandro Pibiri il 5 giugno e il capitano Nicola Ciardelli, i marescialli Carlo De Trizio, Franco Lattanzio e Enrico Frassanito il 27 aprile? A me l’ha spiegato qualche settimana fa uno dei nostri generali. Intanto ci vuole come minimo un buon fabbro, capace di costruire la "scatola" di metallo che ospita l’esplosivo, e che deve essere tale da proiettare verso l’alto l’effetto distruttivo della carica. Poi bisogna sistemare la carica sotto la superficie della strada su cui passeranno i veicoli militari. Le strade intorno a Nassiriya sono quasi tutte coperte da lastroni di cemento. Bisogna quindi sollevare uno o due lastroni (pari a una ventina di metri di manto stradale), scavare una nicchia in cui calare la "scatola" piena di esplosivo, richiudere il tutto, far sparire le tracce.
Che cosa c’entra questo con l’uccisione di Al Zarkawi, la nomina dei nuovi ministri dell’Interno (Jawad Polani, sciita come il premier Nuri al Maliki) e della Difesa (il generale Abd al Qader Jassim al Obeidi, alto grado dell’esercito fin dai tempi di Saddam Hussein) e la situazione in Irak? Ecco come: attentati come quelli non possono essere realizzati senza la connivenza della popolazione civile. Possiamo ripetere fin che ci pare che i terroristi vengono da fuori, e forse è anche vero. Resta il fatto che è impossibile scoperchiare le strade senza farsi notare, in un Paese dove fa caldo e la gente vive fuori casa molte ore, di giorno e soprattutto di notte. Ed è quindi evidente che il fattore ambientale conta, e non poco.
Allo stesso modo, la soddisfazione per l’eliminazione di Al Zarkawi, uno dei più efferati assassini del nostro tempo, sgozzatore di ostaggi e massacratore di bambini, non deve spingere a conclusioni affrettate. Intanto perché di presunte "svolte decisive" in Irak ne abbiamo già viste molte e siamo sempre allo stesso punto: gli "esperti" giuravano quanto giurano oggi (terrorismo in declino, resistenza in calo, fine delle complicità) già ai tempi della cattura di Saddam Hussein, cioè nel dicembre 2003.
Al Zarkawi, inoltre, è morto a 38 anni ma combatteva sui diversi fronti della jihad dall’età di 18 anni, e in Irak da quasi tre. Era un uomo d’arme, non un ideologo, e stava in prima linea, non nelle retrovie. In altre parole, era ormai statisticamente possibile che facesse l’errore destinato a perderlo, o incappasse nella delazione decisiva.
Piano, dunque, prima di decidere che l’eliminazione di Al Zarkawi segnala la volontà dei gruppi della resistenza armata irachena di staccarsi dalla pratica del terrorismo secondo i canoni imposti dagli "stranieri" di Al Qaeda o prima di stabilire che la sua fine segna il declino del terrorismo in Irak. È già pronta, a quanto pare, una pletora di successori: dall’egiziano Abu Ayyub al Masri, un altro veterano dell’Afghanistan, ad alcuni guerriglieri noti come Al Baghdadi o Al Iraqi, nomi di battaglia che servono a sottolineare l’origine irachena, e quindi il carattere "nazionale" della loro battaglia. E poi ci sono esempi non troppo lontani: la guerriglia palestinese subisce perdite ogni giorno, vede morire i suoi capi ma da quarant’anni spara contro Israele. E l’Afghanistan, da problema quasi risolto, torna a essere un campo di battaglia: se la Nato chiede con insistenza il dispiegamento dei cacciabombardieri italiani e il contingente Isaf riceve rinforzi, vuol dire che la resistenza cresce e non cala.
Palestina e Afghanistan, però, sono soprattutto problemi politici. Da un lato il dialogo tra Israele e palestinesi e l’estremismo di Hamas, che ancora insegue il grottesco sogno della distruzione di Israele. Dall’altro le resistenze locali (narcotraffico, signorìe feudali, criminalità) allo sviluppo di un forte Governo centrale e il ruolo del Pakistan, amiconon amico degli Usa e amico-non amico dei talebani (o di chi per essi). Per l’Irak, invece, il problema è doppio, politico e strategico insieme. Ripetiamo ora quanto scrivemmo già nel 2003, quando ogni diverso parere era "pacifismo" o "antiamericanismo": controllare 437 mila chilometri quadrati e 27 milioni di iracheni entro confini tracciati sulla sabbia è un’impresa quasi impossibile o impossibile. Il mancato controllo del territorio rende improba la ricostruzione. Il che esaspera la gente e favorisce le complicità, anche perché nella più vasta regione mediorientale la presenza delle truppe americane (che hanno basi importanti in tutti i Paesi: in Kuwait occupano addirittura il 25 per cento del territorio) è sentita da moltissimi, a torto o a ragione, come un oltraggio etnico, politico e religioso. Oggi si parla di possibili rivolte nel Sud gestito dagli inglesi, pure più duttili degli americani nei rapporti con la popolazione e con gli ayatollah della maggioranza sciita, e nel resto del Paese impazza il terrorismo. Davvero crediamo che questo cambierà perché è morto il killer Al Zarkawi?
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