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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
12.06.2006 Se Gaza diventa "Hamastan"
un'analista ipotizza la divisione in due dell'Autorità palestinese

Testata: Corriere della Sera
Data: 12 giugno 2006
Pagina: 5
Autore: Davide Frattini
Titolo: ««Due popoli, tre Stati Il sogno palestinese finirà spaccato a metà»»

Dal CORRIERE della SERA del 12 giugno 2006:

GERUSALEMME — «Due popoli, tre Stati». Riyad Malki storpia la formula che ha accompagnato i negoziati di pace negli ultimi quindici anni per provare a spiegare quello che secondo lui sta succedendo. «Hamas è sempre più forte a Gaza, il Fatah sta mantenendo il controllo della Cisgiordania. In mezzo Israele. E il sogno di una nazione palestinese indipendente finisce spaccato a metà, nel caos e nella guerra civile».
Malki è un ex attivista del Fronte di liberazione, diventato direttore del
Panorama Research Institute, uno dei centri studi più importanti a Ramallah.
Sabato era tra il pubblico che ha ascoltato il presidente Abu Mazen annunciare il referendum popolare sul documento dei prigionieri. Il raìs che dalla Mukata sfida Hamas con i versetti del Corano e con le leggi dell'Autorità palestinese rappresenta per l'analista uno dei simboli dello scenario che vuole tratteggiare. «La presidenza si sta rafforzando e si sta trasformando in un contropotere. Chissà che cosa ne penserebbe Yasser Arafat? Erano stati Ariel Sharon e la comunità internazionale a fare pressioni perché nascesse un sistema politico misto: l'ufficio del primo ministro è stato creato solo per indebolire Arafat.
Allora premier e presidente facevano parte della stessa fazione e non c'era una sfida interna troppo accesa».
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE La coabitazione alla palestinese rischia di diventare una spaccatura definitiva, anche territoriale?
«Da quando Hamas è arrivato al governo, stanno nascendo due entità separate. I ministri che vivono a Gaza non possono andare in Cisgiordania e viceversa. Solo Abu Mazen gode del privilegio di spostarsi tra le due zone».
Vuol dire che le decisioni importanti vengono prese nella Striscia?
«Il quartier generale del governo è là. Il rifiuto di Hamas di riconoscere Israele trasformerà l'ufficio di Abu Mazen nell'unico indirizzo per i diplomatici o leader stranieri che vengono in visita nei Territori».
Gli israeliani non permetteranno che Gaza si trasformi in Hamastan.
«Perché dovrebbero opporsi? Hamas potrebbe conquistare la Striscia con la forza: le nuove squadre di polizia dispiegate nelle strade fanno del movimento islamico il potere militare dominante. A quel punto, Israele potrebbe considerare Gaza come un'entità terrorista e nemica, mentre continua a implementare il piano di ritiro dalla Cisgiordania».
E la Cisgiordania rimarrebbe sotto il Fatah e Abu Mazen?
«Gli israeliani potrebbero anche invitare re Abdallah a esercitare un controllo amministrativo sull'area».
Il referendum proclamato da Abu Mazen spingerà Hamas a cercare l'unità nazionale?
«Hamas è isolata, dalla comunità internazionale e dagli Stati arabi. Ma la pressione più forte arriva dai palestinesi che non vedono realizzate le promesse della campagna elettorale. Alla fine il movimento potrebbe accettare dei compromessi e riconoscere l'iniziativa araba del 2002. Lo scenario più probabile resta una guerra civile, almeno a Gaza».
L'ala militare di Hamas ha rotto la tregua e rivendicato i lanci di Qassam contro Israele. Prepara nuovi attacchi suicidi?
«Non credo che i leader politici siano pronti a correre il rischio di una rappresaglia israeliana, di un ritorno alle esecuzioni mirate».

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