Concedere all'Iran tutto il tempo necessario per la bomba è la linea del quotidiano comunista; Javier Solana è dello stesso avviso ?
Testata: Il Manifesto Data: 07 giugno 2006 Pagina: 4 Autore: Maurizio Matteuzzi Titolo: «Partita riaperta. Ma chissà come finirà»
Maurizio Matteuzzi, in un articolo sulla riapertura del dialogo tra comunità internazionale e Iran sul nucleare, pubblicato dal MANIFESTO del 7 giugno 2006, sposa le tesi del regime degli aytollah: il nucleare è un "diritto nazionale," indipendentemente dalla natura del regime che lo rivendica, le condizioni originariamente poste dagli Stati Uniti a Teheran sono inaccettabili per qualsiasi paese "dignitoso". Al di là della propaganda, nell'analisi di Matteuzzi ci sono elementi che inducono alla riflessione. Anzitutto il rilievo dato alla novità rappresentata dall'ultima proposta di Solana agli iraniani. Il ministro degli Esteri dell'Ue, infatti, non avrebbe chiesto agli ayatollah, come le diplomazie internazionali avevano fatto fino ad ora, la rinuncia all'arricchimento dell'uranio, ma soltanto una sospensione del procedimento. Condizione comprensibilmente più accettabile per il regime, che può contare di ricevere consistenti aiuti economici per poi riprendere al momento opportuno i suoi progetti. D'altro canto è lo stesso Matteuzzi, nelle ultime righe del suo articolo, a ipotizzare che Teheran stia soltanto prendendo tempo per evitare l'isolamento internazionale. A Matteuzzi pare una prospettiva accettabile. La domanda è se lo sembrerà anche alla comunità internazionale. Se cioè già si prepara, dietro le apparenze della soluzione diplomatica della crisi iraniana, un cieco e disastroso compromesso sulla sicurezza di tutti noi. Ecco il testo:
Sarà quella buona? Per la prima volta dall'inizio della «crisi nucleare» con l'Iran s'intravvede lo spiraglio per una soluzione diplomatica. Il pacchetto portato a Tehran dal superministro degli esteri dell'Unione europea a nome del gruppo 5+1 (Francia, Inghilterra, Russia, Cina e Usa, i cinque permanenti del Consiglio di sicurezza, più la Germania), secondo il negoziatore-capo iranino Ali Larijani, contiene «passi positivi» insieme a «qualche ambiguità». Il pacchetto dei 5+1 (e il +1 è identificabile meglio con gli Usa che con la Germania), di cui cominciano a filtrare indiscrezioni, presenta «incentivi e penalità». Fra gli incentivi spicca (stando all'agenzia Ap) la cessione di tecnologia nucleare americana a uno «Stato canaglia», il più forte (non solo perché è il quarto esportatore mondiale di petrolio) e il più pericoloso dell' «asse del male». Gli europei e i russi avevano già provato a blandire la Repubblica islamica con proposte per costruire reattori ad acqua leggera o forniture di uranio arricchito per le centrali iraniane. Ma gli americani non si erano mai sognati - dopo la fine dell'epoca per loro dorata dello scià e la rottura delle relazioni diplomatiche nell'80 - ad offrire all' «Iran degli ayatollah» una tecnologia sensibile come quella nucleare. L'altro elemento-chiave della proposta di Solana è che per la prima volta non chiede/impone come pre-condizione all'Iran di rinunciare al suo programma di arricchimento dell'uranio - richiesta che aveva portato al fallimento immediato dei precedenti tentativi - ma di «sospenderlo». Questo sarà il punto decisivo del negoziato. Perché l'Iran, lo ha ripetuto anche ieri il ministro degli esteri Mottaki, ritiene - e per la verità con tutte le ragioni - di avere il pieno diritto (anche alla luce del Trattato di non proliferazione nucleare) di sviluppare autonomamente il ciclo completo del proprio programma nucleare. A usi pacifici, fino a prova contraria. Se queste indiscrezioni si riveleranno esatte e si finirà per trovare una auspicabile soluzione diplomatica alla crisi, bisognerà capire come ci si è arrivati. Una ragione è di certo il cambio di strategia americana, risultato di uno scontro che dicono duro all'interno dell'amministrazione (in sostanza la pragmatica Rice contro il fondamentalista Cheney), materializzatosi il 31 maggio con la proposta di negoziati diretti con Tehran (ma con la solita condizione previa, e inaccettabile per qualsiasi paese che non sia un paesucolo, all'uranio arricchito e con la solita minaccia, ancora sul tavolo della Casa bianca, di un'intervento militare). Bush, sposando la posizione della Rice, ha riconosciuto in buona misura, con tutti i fronti aperti e caldi che ha - a cominciare dal suo Vietnam iracheno -, di non poter decidere e fare tutto da solo. Più ancora che per la posizione della Ue, come sempre pallida, per l'opposizione di Russia e Cina. C'è però anche un'altra possibile speigazione. Anche l'Iran, nonostante le sparate di Ahmadinejad, è isolato e rischia di finire stritolato nella tenaglia nel caso di un no definitivo. Una manovra avvolgente con cui alla fine si ritroverebbe tutti uniti e contro. Per il momento l'importante, come ha detto il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov, è di non costringere Tehran a dire un sì o un no secchi ma a dare una risposta «costruttiva» e aprire un nuovo round.
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