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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
07.06.2006 Così evitammo una nuova Shoah
parlano i piloti israeliani che fermarono il programma atomico di Saddam Hussein

Testata: Corriere della Sera
Data: 07 giugno 2006
Pagina: 16
Autore: Davide Frattini
Titolo: «I piloti che colpirono il reattore iracheno «Così evitammo un nuovo Olocausto»»
Dal CORRIERE della SERA di mercoledì 7 giugno 2006:

GERUSALEMME — Un occhio ai caccia iracheni e l'altro alla spia della riserva. Duemila chilometri, andata e ritorno, dal deserto del Sinai alla periferia di Bagdad. Con un obiettivo: distruggere il reattore nucleare costruito da Saddam Hussein. E un problema: il carburante.
Venticinque anni dopo, i piloti della missione Opera ricordano il volo del 7 giugno 1981, deciso dal primo ministro Menachem Begin e coordinato dal generale dell'aviazione David Ivry. Non raccontano tutto, si tengono i loro segreti, non confermano o sfatano le leggende. Come quella sulla tattica che avrebbero adottato per non farsi individuare dai radar nemici: volare così vicini da apparire sui monitor come un grande aereo di linea, invece che una squadriglia di otto F-16 (più i due F-15 di scorta). «Nessuno pensava che saremmo ritornati tutti a casa» commenta alla Bbc eal Jerusalem Post il colonnello Zeev Raz, capo dell'operazione. «Quando atterrammo, eravamo stupiti di non avere neppure un graffio».
Raz era sicuro che il reattore sarebbe stato distrutto, non sapeva come risolvere il dilemma del carburante. «Mi sono consultato con il mio capitano, Ilan. Era d'accordo con me: la centrale era un po' fuori dalla nostra portata, insieme abbiamo deciso di sparare via i serbatoi esterni dopo averli svuotati. Così ci siamo liberati del peso e abbiamo incrementato il nostro raggio». Ilan è Ilan Ramon, che ventidue anni dopo sarebbe diventato il primo astronauta israeliano e anche il suo primo caduto dello spazio, tra le vittime del disastro dello shuttle Columbia.
«Iran e Iraq erano in guerra — continua Raz — Teheran aveva già tentato di bombardare Osirak. Pensavamo di incontrare della resistenza. Invece niente: né radar, né caccia né un sistema missilistico che cercasse di intercettarci». Dalla cabina vede i raggi del sole che colpiscono la cupola del reattore, anche se gli iracheni hanno cercato di camuffarla coprendola di fango, non lontano scorge i palazzi di Bagdad. Nel giro di un minuto, tutti i caccia sganciano le loro bombe gemelle che centrano l'obiettivo (solo due non esplodono).
«Ed è anche costato poco, un paio di milioni di dollari. Come una giornata di addestramento per l'aviazione» commenta Pilota A alla Bbc (non ha voluto dare il suo nome). Tornati a casa, gli otto protagonisti vengono circondati dagli istruttori che vogliono capire come abbiano fatto a espellere i serbatoi senza saltare in aria. «Volavamo sugli F-16 solo da un anno — racconta Raz — e il manuale fornito dagli americani sosteneva che era proibito. Per loro, vietato vuol dire vietato. Non sono come noi israeliani». Anche l'idea dell'attacco non stava nel «manuale» degli americani. Novanta secondi dopo aver ricevuto la conferma del bombardamento, Begin chiama l'ambasciatore Sam Lewis. «In tutta onestà — risponde il diplomatico — credo che qualcuno alla Casa Bianca sarà furioso. Avete usato dei jet che noi vi abbiamo fornito per autodifesa».
Il premier israeliano considerava l'operazione una missione di autodifesa. Mentre gli aerei sono in volo, mostra al consigliere Yehuda Avner il profilo psicologico di Saddam, preparato dal Mossad. «È un megalomane sofisticato e crudele. Pronto a prendere grandi rischi e a decidere mosse drastiche per realizzare i sogni di grandezza. Il possesso e l'uso di una bomba atomica gli permetterebbe di minacciare e colpire Israele, per ottenere la supremazia sul mondo arabo. Vuole agire, non teme le ritorsioni».
In queste settimane, gli analisti discutono la dottrina Begin e l'idea di un'azione preventiva per bloccare l'Iran. I critici fanno notare che, malgrado il bombardamento, Bagdad è arrivata vicina a ottenere armi nucleari per due volte in vent'anni. «Ma senza quel bombardamento — scrive Gerald Steinberg sul Jerusalem Post — Saddam sarebbe certamente ancora al potere. E molto più pericoloso di allora». Il colonnello Raz non ha dubbi. «Mio nonno è morto nella Shoah, porto il suo nome. Ero in debito con lui. Anche se non fossi tornato indietro, con la mia missione stavo fermando un nuovo Olocausto».

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