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Il Foglio Rassegna Stampa
07.06.2006 Abu Mazen tratta ancora con Hamas
posticipato di 3 giorni l'"ultimatum" del raìs

Testata: Il Foglio
Data: 07 giugno 2006
Pagina: 3
Autore: la redazione
Titolo: «Tre giorni, Abu Mazen dà l’ultima ultima chance a Hamas»

Dal FOGLIO di mercoledì 7 giugno 2006:

Ramallah. Altri tre giorni. Il rais palestinese Abu Mazen ha posticipato la scadenza dell’ultimatum a Hamas sull’adozione del “documento di riconciliazione nazionale”. Il testo è stato proposto ed elaborato da prigionieri sia di Fatah sia di Hamas, all’origine c’è il detenuto segretario generale del partito del presidente, Marwan Barghouti. E’ debole Abu Mazen, dicono tutti. Eppure la sua nuova strategia ha stupito e c’è chi si chiede da dove arrivi questa inedita audacia. Dieci giorni fa, in occasione di una conferenza sul dialogo nazionale, dopo giorni di scontri tra le fazioni armate, tra gli uomini del suo partito e del movimento per la resistenza islamico, ha stupito tutti, imponendo al governo il suo aut aut. Ed è andato avanti, solitario. Forse a spingerlo è la certezza di avere il silente sostegno della comunità internazionale e d’Israele, che vedono in lui l’unico partner possibile, non più soltanto credibile. Non rifiuta il dialogo. Dice però che, senza un accordo, procederà con un referendum popolare. La sua nuova strategia ha paradossalmente molto dell’unilateralismo dei vicini israeliani: in assenza di un partner, in assenza di un dialogo, procedo a modo mio. Altri tre giorni, quindi, per Hamas. La stampa internazionale ha già visto dietro la concessione di Abu Mazen una marcia indietro, una piccola vittoria del governo di Ismail Haniye, che ieri ha chiesto di aprire nuovi colloqui. Ma al termine dell’estensione dell’ultimatum, dopo questi altri tre giorni, il rais palestinese potrà dire di aver tentato il tutto per tutto per agire attraverso il dialogo. “E’ vero, la dichiarazione di oggi del presidente va a favore di Hamas. Ma Hamas, adesso, non potrà dire che Abu Mazen non gli ha lasciato una via d’uscita – spiega al Foglio, al telefono da Ramallah, il direttore del giornale al Hayat al Gadida, Hafez al Barghouti – Il presidente ha scelto il referendum come alternativa allo scontro a fuoco. Hamas può andare in guerra contro una parte dell’Autorità nazionale?”, si chiede retorico. Con la conferenza, ricorda, Abu Mazen ha accettato di portare il dialogo a Gaza (quella del 25 maggio è stata una videoconferenza tra membri del governo e funzionari tra Cisgiordania e la Striscia) e “alla fine Hamas non può più dire che il referendum sia una cospirazione ai suoi danni”. Se entro tre giorni non si troverà un accordo sul documento dei prigionieri, Abu Mazen ha promesso il voto, dopo 40 giorni. “Prima del weekend (che per i musulmani inzia venerdì, ndr) il presidente Abbas terrà una conferenza stampa per annunciare il referendum”, ha detto ai giornalisti Yasser Abed Rabbo, membro del Comitato esecutivo dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina. Dice Hafez al Barghouti che è troppo presto per fare previsioni, ma che 40 giorni sono molti, per Hamas “per riflettere, per negoziare con Abu Mazen”. Il testo prevede un implicito riconoscimento d’Israele entro i confini del 1967. Il movimento per la resistenza islamico non riconosce il vicino, la sua piattaforma non contempla certo una soluzione a due stati, verso la quale invece cerca di andare la rischiosa manovra del rais. Se fallisce, Abu Mazen rischia la carriera, la credibilità politica senza contare che la nuova situazione potrebbe causare l’aumento della violenza. Ieri, colpi di granata sono scoppiati nel quartier generale delle forze di sicurezza del rais a Gaza. Le voci di Hamas che chiamano al dialogo per evitare l’imposizione del referendum non arrivano soltanto dalla Striscia. Accanto alle dichiarazioni del premier ci sono quelle del leader in esilio Moussa Abu Marzouk, da Damasco. Lui, il numero due di Khaled Meshaal, ha chiesto di continuare i colloqui tra le fazioni in Yemen, da dove sarebbe arrivato un invito presidenziale. “Abbiamo scoperto che Hamas non si fida dei propri uomini in Cisgiordania – dice al Barghouti, riferendosi al fatto che il documento dei prigionieri, che invita a una soluzione a due stati, è stato elaborato anche da membri di Hamas – ma persino a Gaza non detengono tutto il potere. Chi decide è a Damasco. Agli uomini di Hamas che volevano andare al dialogo è stato detto di stare zitti”.

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