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La Stampa Rassegna Stampa
06.06.2006 Che cosa vogliono gli attentatori di Nassirya
l'analisi di Fuad Ajami intervistato da Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 06 giugno 2006
Pagina: 3
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Ajami: cercano l’effetto Zapatero»

Da La  STAMPA di  martedì 6 giugno 2006:

«I jihadisti vogliono che Romano Prodi si comporti in Iraq come ha fatto Zapatero»: così Fuad Ajami, titolare degli studi mediorientali alla Johns Hopkins University e fra i più apprezzati islamisti d'America legge l'attentato di Nassiriya.
Perché nelle ultime settimane si sono ripetuti gli attacchi contro il contingente italiano?
«Vi sono due motivi. In primo luogo bisogna tener presente che in Iraq le truppe americane vengono colpite ogni giorno e che quelle britanniche negli ultimi giorni hanno subito alcune vittime a Bassora. Questo perché jihadisti, guerriglieri sunniti e terroristi di Al Qaeda fedeli ad al Zarqawi considerano ogni forza straniera come nemica. Colpiscono ogni contingente al fine di indebolire il governo di Baghdad, che puntano a rovesciare. Gli italiani non fanno eccezione. I vostri soldati rappresentano ciò che i terroristi non vogliono più: la garanzia di operare per uno stabile governo iracheno».
E il secondo motivo?
«Ha a che vedere con quanto è avvenuto recentemente in Italia. I jihadisti sono persone che usano Internet e guardano la tv. Sanno che Berlusconi è andato via dopo la sconfitta elettorale e che Prodi è arrivato al governo, sono ben consapevoli del fatto che Berlusconi era un solido alleato del presidente Bush mentre Prodi è assai più vicino al consenso che c'è nell'opinione pubblica in Europa contro l'intervento militare in Iraq...».
E dunque?
«Vogliono premere su Prodi affinché acceleri il ritiro delle truppe dall'Iraq, le porti via il prima possibile. Hanno in mente il precedente di Zapatero, quando nel marzo 2003 il neoeletto premier spagnolo subito dopo gli attentati di Madrid ritirò tutte le truppe. Quell'episodio viene considerato dagli jihadisti una grande vittoria. Vorrebbero che tutti i Paesi della coalizione si comportassero nella stessa maniera ed ora credono di poterlo ottenere dall'Italia di Prodi. Puntano ad una fuga repentina degli italiani dall'Iraq che saluterebbero come una nuova vittoria della Jihad».
Ma il governo italiano già da tempo ha fatto sapere che avrebbe ritirato il contingente entro la fine del 2006...
«I jihadisti hanno Internet ma non sono gente molto sofisticata. Non comprendono i dettagli della politica interna di altri Paesi. Per loro ciò che conta è se i soldati di un singolo Paese restano o no sul terreno, nella coalizione guidata dagli Stati Uniti. I jihadisti credono a ciò che vedono. Bersagliare il contingente italiano significa essere convinti che è il momento giusto».
Se lei fosse Prodi che cosa farebbe in tale situazione?
«E' molto difficile da dire. Il presidente del Consiglio italiano si trova di fronte a due scelte. Se farà prevalere l'intenzione di contribuire alla stabilità dell'Iraq non porterà a termine il ritiro totale delle truppe di cui aveva già parlato il predecessore Berlusconi. Se invece vorrà agire nel quadro di un forte consenso con le opinioni pubbliche europee allora andrà avanti e porterà via i soldati dall'Iraq».
Lei era in Libano negli anni Ottanta, quando le truppe italiane in missione non subivano attentati. Che cosa più è cambiato da allora?
«E' cambiato tutto. Allora gli attentati avvenivano contro singoli contingenti - gli americani e i francesi - per motivi specifici, seppur sempre con atti terroristici, mentre oggi i jihadisti ritengono di avere come nemici tutti gli stranieri. C'è una forte carica ideologica anti-moderna e dunque anti-occidentale».

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