Il premier israeliano Ehud Olmert, con il suo governo, sta procedendo alla realizzazione del programma lasciatogli in consegna da Ariel Sharon: arrivare in tempi brevi alla definitiva separazione con il palestinesi, il che significa 1) trasferire dalla Cisgiordaniaalmeno 90/100.000 cittadini israeliani e rilocalizzarli con un congruo indennizzo e adeguata sistemazione all’interno dello Stato, 2) arrivare alla definizione dei confini con quello che diventerà lo Stato palestinese. Per questo è nato il partito Kadima, su questo progetto hanno espresso il loro consenso gli elettori israeliani. E di questo Olmert ha sicuramente parlato con Bush durante il suo recente viaggio a Washington, anche se non se ne è accennato in nessun comunicato ufficiale. Certo,l’amministrazione americana preferirebbe una soluzione concordata con l’Autorità palestinese, che intorno al tavolo a discutere dei futuri confini ci fosse Abu Mazen, ma lo scontro tra Fatah e Hamas e il progettatto referendum non sono segnali positivi, i tempi non sono quelli dei quali Olmert ha bisogno.Fra alcune settimane, se non ci sarà un accordo sulle modalità dello sgombro fra il governo e i rappresentanti dei coloni, Olmert procederà alla rimozione di 24 villaggi illegali. I primi tre saranno Skali Farm,Arusi Farm e Hill 725, tutti e tre nelle vicinaze di Hebron dove si erano verificati episodi di violenza con palestinesi nelle scorse settimane. Tutti sperano che non si ripeteranno più le scene di drammatica disperazione alle quali abbiamo assistito a Gaza lo scorso agosto, gli incontri fra lo Yesha Council (che rappresenta i coloni) e il ministro della giustizia Haim Ramon sono frequenti, il che fa sperare che un accordo possa essere raggiunto. Ma anche se non dovesse esserci una soluzione concordata il governo andrà avanti comunque, l’esercito provvederà in ogni caso allo smantellamento forzato di tutti gli insediamenti illegali. Una definizione che si capisce meglio se la si interpreta pensando al confine che dividerà i due Stati. Con la parola illegale si definiscono tutti quei villaggi sorti in zone densamente popolate da palestinesi, che non verranno quindi mai inclusi aldiqua della linea di confine, per quanto ipotetica ancora oggi possa essere. Dopo i primi 24, toccherà ad un altro centinaio di villaggi, e anche se le organizzazioni, governative e non, cercano di presentarsi nel modo più rassicurante possibile, la preoccupazione di quel che potrà accadere è grande. Se a Gaza polizia ed esercito si erano trovati davanti a circa 10.000 cittadini da evacuare, creando in tutto il paese una emozione fortissima, in Cisgiordania i numeri sono dieci volte tanto. Per questo Olmert ha voluto nella coalizione di governo anche i rappresentanti religiosi. Se i rabbini inviteranno alla massima collaborazione con il governo, se le loro parole contribuiranno a spegnere possibili focolai di rivolta, l’operazione, delicata e difficile come si presenta, potrà riuscire. Ma il governo dovrà saper trovare le parole giuste per spiegare a centomila suoi cittadini che il futuro dello Stato ebraico non potrà essere garantito se al suo interno continuerà ad esserci un numero troppo elevato di palestinesi, che entro pochi anni ne comprometterà la natura ebraica e democratica. Piaccia o no, l’unica soluzione possibile è uno Stato palestinese accanto a uno ebraico, Israele,appunto. Per questo la definizione dei confini, entro il tempo più veloce, è fondamentale. Per la stessa considerazione rinviare a tempi lunghi è il programma di Hamas. Per ora il dialogo che Olmert è riuscito ad instaurare con i coloni sembra buono. L’importante è che duri.