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Il Foglio Rassegna Stampa
02.06.2006 Un' unica operazione per ritirarsi dalla Cisgiordania
i piani di Ehud Olmert

Testata: Il Foglio
Data: 02 giugno 2006
Pagina: 1
Autore: la redazione
Titolo: «Olmert accelera sul ritiro dalla Cisgiordania. Ecco come avverrà»

Dalla prima pagina del FOGLIO di venerdì 2 giugno 2006:

Roma. Preferisce ritirarsi dalla Cisgiordania in una volta sola, Ehud Olmert, cioè con un’unica, grande operazione limitata nel tempo. Il premier israeliano lo ha detto ieri in un’intervista, contraddicendo le diverse ipotesi dei giorni scorsi, che tratteggiavano un ritiro in più fasi. Il vicepremier, Shimon Peres, aveva lavorato a un progetto che ipotizzava un ritiro in sei fasi. Lui lo avrebbe bocciato. Il quotidiano Maariv, soltanto due giorni fa, raccontava di un team governativo al lavoro su un piano diviso in tre momenti.
Olmert ha impostato la sua campagna elettorale sulla promessa di nuovi confini per Israele entro la fine del suo mandato, nel 2010. Il disimpegno da parte della Cisgiordania sarà certo diverso dal ritiro dalla Striscia di Gaza, come s’intuisce già dal nome del progetto di Olmert: non più “piano di ritiro” o “disimpegno”, ma “convergenza”. Da Gaza, erano stati evacuati ottomila abitanti. Dalla Cisgiordania si dovranno trasferire tra le 60 e le 80 mila persone. A Gaza, il governo aveva speso 2,1 miliardi di dollari. Secondo quanto dichiarato da Olmert al Wall Street Journal, il suo ritiro costerà dieci miliardi di dollari. Per molti commentatori e analisti è impossibile che il piano di convergenza sia portato a termine in una sola e veloce operazione, proprio per i numeri e le dimensioni del territorio. Sarebbe difficile, infatti, organizzare una copertura militare, su un’area del genere, simile a quella garantita nella piccola Striscia. Sarebbe più probabile un ritiro dilatato nei tempi, giocato sulle compensazioni in denaro.
Un sondaggio israeliano rivela che il 44 per cento degli abitanti degli insediamenti è pronto a muoversi volontariamente in cambio di indennizzi economici. A Gaza, nell’estate del 2005, soltanto il 25 per cento della popolazione lo era. Kenneth Stein, esperto di medio oriente, ha detto al Foglio che se fosse Olmert, non camminerebbe, correrebbe. Ma ricorda che il piano deve tener conto di diverse variabili: economiche, operative, di politica estera e interna. “C’è un tempo tecnico per organizzare le forze di sicurezza, l’evacuazione e il ricollocamento degli abitanti: decisioni che richiederanno almeno sei mesi di discussioni alla Knesset”. Olmert deve valutare la stabilità della coalizione. Gli conviene, per non avere problemi, “muoversi entro 16/18 mesi”. Secondo Stein, nessuno a Washington nei prossimi tempi si metterà al tavolo di un negoziato sui confini israeliani. C’è il voto di mid-term a novembre, la questione irachena, l’immigrazione e l’economia: un’opportunità per chi vuole agire da solo; Olmert “deve farlo entro il 2008”, quando cambierà Amministrazione. Se vuole avere successo, deve muoversi nell’arco di trenta mesi.

I viaggi incrociati dei rais
“Spero che alla fine del mio mandato la realtà sia completamente diversa”, ha detto ieri Olmert. C’è chi teme questa nuova realtà. Il premier israeliano è da poco tornato da Washington. Ci si aspettava un fiasco dall’incontro con George W. Bush. Il presidente, invece, ha definito il piano “un’idea coraggiosa” e l’Amministrazione, pur dichiarando di non poter accettare nuovi confini senza previi accordi internazionali, non osteggia un nuovo disimpegno che “potrebbe rivelarsi un passo per la pace”. Il presidente americano si è raccomandato affinché il collega, prima di cambiare la realtà sul terreno, si consulti con il rais palestinese, Abu Mazen, e con re Abdallah d’Egitto. Il sovrano ha spedito una lettera a Bush, prima dell’arrivo di Olmert a Washington. Prega di non appoggiare il disimpegno: “Azioni unilaterali avranno ripercussioni negative su palestinesi, arabi e paesi musulmani”.
Si preoccupa, re Abdallah, come si preoccupava il faraone Hosni Mubarak alla vigilia del ritiro da Gaza. Temeva lo svilupparsi di una situazione d’anarchia sulla porta di casa, infiltrazioni terroristiche, il contrabbando d’armi. Forse, re Abdallah, sovrano di un regno in cui oltre la metà della popolazione è d’origine palestinese, teme di trovarsi a carico la Cisgiordania, nuova provincia del regno. Con Amman, anche Riad, il Cairo e la Lega araba si sono mobilitate in un’offensiva diplomatica anticonvergenza e fanno pressioni affinché il governo di Hamas accetti il piano di Beirut, del 2002: in cambio del ritiro dai confini del ’67, i paesi arabi s’impegnerebbero a riconoscere Israele. Ma l’ultimatum lanciato da Abu Mazen a Hamas sull’eventuale referendum confondono ancor di più il governo palestinese. E Olmert continua i suoi viaggi di pressione. Domenica incontrerà Mubarak, che si vedrà poi con il sovrano saudita. Poi Olmert vedrà Abdallah di Giordania e, a fine giugno, Abu Mazen.


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