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La Stampa Rassegna Stampa
01.06.2006 Elogio della dignità di Ahmadinejad, che dirà no ai "dollari americani"
Farian Sabahi esalta l'oltranzismo del regime degli ayatollah

Testata: La Stampa
Data: 01 giugno 2006
Pagina: 11
Autore: Farian Sabahi
Titolo: «Difficile che i dollari americani convincano Ahmadinejad»

La STAMPA del 1 giugno 2006 pubblica sull'offerta americana di un negoziato all'Iran un articolo di Farian Sabahi, che prevede un rifiuto da parte del regime degli ayatollah.
Perché, sostiene la Sabahi, l' "l'Iran, a differenza della Libia, non è mai stato colonia e non svenderà i propri diritti un cambio di un pugno di dollari".
Il rifiuto di una soluzione della questione nucleare che dia accettabili garanzie alla comunità internazionale, dunque, è per la Sabahi una questione di "dignità nazionale". Non di ambizioni criminali di un regime che è una sciagura in primo luogo per il suo stesso popolo.
E' interessante ricordare che la Sabahi, il 9 maggio 2006, aveva esortato, in un editoriale pubblicato in prima pagina dal quotidiano di Torino,  a trattare con l'Iran, tenendo conto che anche Ahmadinejad e Khamenei seguono la "regola del tarof" che prescrive agli iraniani beneducati  di pronunciare un sì soltanto dopo  tre no.
Ora che gli Stati Uniti offrono una trattativa, ci spiega invece che la risposta non potrà che essere un no, per un altra supposta caratteristica degli iraniani: il nazionalismo.
Si mettesse d'accordo con se stessa...

Ecco il testo:

AHMADINEJAD non è Gheddafi: non basteranno gli incentivi economici che saranno formalizzati oggi a Vienna dai ministri degli esteri dei cinque Paesi membri del Consiglio di sicurezza dell'Onu a convincere il regime iraniano a rinunciare al nucleare. E infatti lo stile di vita degli ayatollah di Teheran, amanti delle comodità e dei lussi dei centri urbani, è molto diverso da quello da quello del colonnello libico, che riceve gli ospiti in una tenda beduina nel deserto.
È con orgoglio e sdegno che gli iraniani leggono la notizia, inviata come di consueto attraverso i canali della diplomazia svizzera, della disponibilità degli Stati Uniti a negoziare direttamente con l'Iran, insieme alla troika europea. Condoleezza Rice è stata offensiva e sprezzante come al solito, non sarà il profumo dei soldi a far cambiare rotta a un regime che vende petrolio al mondo intero e, ogni giorno, incassa 300 milioni di dollari con cui paga stipendi, elargisce sussidi e sovvenziona il carburante, che costa l'equivalente soltanto 8 centesimi di euro al litro.
Il riavvicinamento tra Teheran e Washington, cui deve avere in qualche modo contribuito la lettera inviata dal presidente iraniano Ahmadinejad a Bush, è dovuto all'interesse americano a collaborare con l'Iran nella stabilizzazione dell'Iraq e dell'Afghanistan: l'amministrazione Bush si rende conto della rivalità tra il terrorismo di Al Qaeda, di matrice wahabita, e lo sciismo dominante in Iran. Insomma, il nemico del mio nemico è mio amico, e l'alleanza strategica con Teheran è indispensabile per combattere il terrorismo internazionale.
«La disponibilità americana è un'ottima notizia: Washington non attaccherà l'Iran. Gli Stati Uniti sono gli unici in grado di fornire a Teheran la sicurezza che cerca. Ma finché l'amministrazione Bush pone come condizione la sospensione dell'arricchimento dell'uranio, questi negoziati non porteranno da nessuna parte», commenta Nader Barzin, docente di Strategia nel prestigioso ateneo HEC di Parigi. Autore del recentissimo saggio «L'Iran nucléaire» pubblicato dall'editore francese L'Harmattan, Barzin afferma senza esitazioni che «gli Stati Uniti devono accettare che l'arricchimento dell'uranio rientra tra le attività permesse dal Trattato di non proliferazione: non è illegale».
I vertici di Teheran sono consapevoli dei limiti dell'offerta statunitense che, pur rappresentando il primo passo ufficiale in ventisette anni, sembra più una presa in giro che un reale riavvicinamento. E, infatti, sull'agenzia governativa Irna la notizia del negoziato diretto con Washington non è tra quelle in evidenza e nel giro di poche ore è passata in archivio. Le notizie in prima pagina sono altre: la Lega araba rifiuta le accuse americane secondo cui Teheran starebbe producendo l'atomica, e il rappresentante iraniano all'Onu si lamenta dei due pesi e due misure in merito al terrorismo, che l'Iran condanna ma di cui è vittima.
Con saggezza orientale, consapevoli che prima o poi vedranno passare il cadavere del nemico e quindi che tra due anni gli americani andranno alle urne per eleggere un nuovo presidente, gli ayatollah iraniani prendono tempo. La disponibilità americana è comunque positiva, nonostante i limiti evidenti, perché invita al tavolo dei negoziati anche la Russia e la Cina che in caso di sanzioni avrebbero potuto esercitare il diritto di veto in seno al Consiglio di Sicurezza.
Il grande assente dal tavolo dei negoziati è, l'Italia: all'indomani della vittoria elettorale dell'Unione, Ahmadinejad si era congratulato con Romano Prodi e i quotidiani iraniani avevano dato ampio spazio alla notizia, mentre nessuna risonanza si era avuta in Italia. Dopo la nomina di D'Alema ai vertici della diplomazia italiana, il ministro degli esteri iraniano Mottaki ha colto l'occasione per congratularsi, stabilendo un contatto. L'Italia vanta, storicamente, ottimi rapporti con l'Iran e quindi sarebbe nella posizione migliore per portare avanti i negoziati e spiegare agli americani che l'Iran, a differenza della Libia, non è mai stato colonia e non svenderà i propri diritti un cambio di un pugno di dollari.


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