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Il Foglio Rassegna Stampa
01.06.2006 Gli Stati Uniti propongono all'Iran una trattativa
in cambio della rinuncia all'arricchimento dell'uranio

Testata: Il Foglio
Data: 01 giugno 2006
Pagina: 1
Autore: la redazione
Titolo: «Parlare con l'Iran»
Dal FOGLIO di giovedì 1 giugno 2006:

Roma. Dopo segnali di fumo, lettere e dietro front, Washington e Teheran, pur di superare lo stallo, pur di evitare la guerra da un lato e le sanzioni dall’altro suggeriscono entrambe di essere pronte a bere il calice amaro dei colloqui. Lo fanno con molti “se”, credendoci il minimo indispensabile per tentare, ma non abbastanza da buttare giù le carte. Il negoziato per l’Iran è irrilevante se gli Stati Uniti non salgono a bordo. Da mesi attraverso i buoni uffici del capo dell’Agenzia atomica internazionale, Mohammed ElBaradei, Teheran ha chiarito di essere alla ricerca di garanzie di sicurezza, che escludano l’ipotesi di un attacco militare e anche quelle di regime change. Dinanzi all’impasse del Consiglio di sicurezza gli alleati della troika europea hanno premuto e il partito dell’engagement, da Henry Kissinger a Madeleine Albright, ha invocato colloqui diretti in nome della realpolitik. Mosca e Pechino, renitenti a imporre sanzioni e ancor più veementi nell’opposizione a qualsivoglia scenario militare, hanno spinto con altrettanta convinzione su questo tasto. Alla vigilia dell’ennesima riunione sulla bozza di risoluzione sul dossier iraniano che sta paralizzando il Consiglio di sicurezza, senza un’apertura di Washington si sarebbe determinato un altro nulla di fatto. Gli Stati Uniti, invece, hanno accettato di invocare, del contestato capitolo settimo del trattato dell’Onu, soltanto l’articolo 41 (privo di qualsiasi riferimento all’uso della forza) e hanno ventilato la possibilità di colloqui. “Per sottolineare il nostro impegno nei confronti di una soluzione diplomatica e per aumentare le possibilità di successo (della trattativa, ndr) nel momento in cui l’Iran sospenderà pienamente e in modo verificabile il suo programma d’arricchimento e le attività correlate gli Stati Uniti siederanno al tavolo”, ha annunciato il segretario di stato, Condoleezza Rice. Il messaggio, tutt’altro che casuale nel contenuto e nella tempistica, è stato inoltrato a Teheran attraverso l’ambasciata svizzera a Washington. “Ci saranno cambiamenti ma la posizione generale resta la stessa: l’Iran deve fare il primo passo”, ha detto il portavoce della Casa Bianca, Tony Snow. Con questa sua prima mossa, Washington si sottrae agli strali degi accusatori. Gli Stati Uniti dimostrano ai loro interlocutori al Consiglio di sicurezza di essere pronti a fare la loro parte. Sarà molto più difficile ora per Mosca e Pechino rifiutare a priori l’imposizione di sanzioni dinanzi a un Iran che, nonostante gli incentivi, rifiutasse ancora una volta di congelare il suo programma sull’uranio impoverito. Le reazioni da Teheran non sono peraltro incoraggianti, dicono che l’apertura “è positiva”, ma le condizioni “non vanno bene”. Siamo alle solite. L’Iran riapre al negoziato con la troika europea sempre che non ci siano condizioni e che la premessa non sia privare l’Iran dei suoi legittimi diritti al nucleare. E’ la stessa posizione che il paese ribadisce da mesi, ma al solo parlare di dialogo con Londra, Parigi e Berlino c’è chi a Vienna ha cominciato a sperare. Anche perché, negli stessi giorni, l’ayatollah Ali Khamenei ha lodato la missiva di Mahmoud Ahmadinejad al presidente George W. Bush e il ministro degli Esteri, Manouchehr Mottaki, ha fatto sapere che l’Iran non esclude affatto i colloqui, sempre che Washington cambi “il suo cattivo comportamento”. Il “se” americano ha creato attese tra i negoziatori iraniani. Il partito della trattativa sostiene che vale la pena procedere con una sospensione del programma per saggiare la bontà degli incentivi e inchiodare l’America alla sua proposta. I fautori della linea dura sottolineano che l’Iran, senza cedere di un millimetro, ha finora ottenuto molto e non c’è motivo di fermarsi adesso. Il direttore dell’Agenzia atomica iraniana ha ribadito che il mondo deve capire che “il programma iraniano è una realtà irreversibile”. Per un Martin Jäger, portavoce del ministero degli Esteri tedesco, che parla di questo come di un “momento decisivo per far vedere all’Iran che ha delle alternative”, ci sono molti ElBaradei che invocano più tempo perché l’Iran non rappresenta una minaccia.

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