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Il Foglio Rassegna Stampa
31.05.2006 I neoconservatori stanno tornando
ma non tra i repubblicani, nel Partito democratico

Testata: Il Foglio
Data: 31 maggio 2006
Pagina: 2
Autore: Christian Rocca
Titolo: «I neoconservatori stanno tornando, ma nel Partito di Clinton»
Dal FOGLIO del 31 maggio 2006:

Mentre la sinistra italiana si macera tra chi dice apertamente che gli affari iracheni non sono affaracci nostri e chi, come il ministro degli Esteri Massimo D’Alema, deve dare fondo a lunghe perifrasi (“stiamo valutando nuovi pacchetti di iniziative per rafforzare il nostro impegno sul piano economico, civile e politico a sostegno della ricostruzione democratica dell’Iraq”) per evitare una figuraccia internazionale, la sinistra anglosassone pensa, riflette e ragiona. I giornali americani e inglesi ne parlano a raffica, quelli nostrani preferiscono pubblicare accorate lenzuolate in elogio di Fidel Castro o, quando va bene, impacciati richiami a una politica estera basata sui buoni sentimenti e sulle cravatte regimental. Eppure basterebbe gettare l’occhio oltre Chiasso per accorgersi che la sinistra socialista, liberale e democratica si sta decisamente muovendo nella direzione opposta alla nostra, che peraltro non ha nemmeno il coraggio di essere orgogliosamente zapateriana. Tre esempi, anzi quattro. Will Marshall è il primo. Il nome dice poco ai più, tranne che a Francesco Rutelli. Grazie al lavoro del sottosegretario agli Esteri Gianni Vernetti, Marshall è l’uomo di collegamento tra la Margherita e il Partito democratico americano. E’ un clintoniano della prima ora ed è stato tra i fondatori del Democratic Leadership Council, il centro studi che ha accompagnato la traiettoria di Clinton alla Casa Bianca. Ora guida il Progressive Policy Institute, cui guardano con attenzione i più accreditati candidati democratici alle presidenziali del 2008: l’ex governatore della Virginia Mark Warner, il governatore dell’Iowa Tom Vilsack e i senatori Evan Bayh e Hillary Clinton che al Congresso hanno autorizzato la guerra in Iraq e votato sempre a favore del rifinanziamento della missione. Marshall ha curato un libro che raccoglie una serie di saggi di analisti ed esperti di politica estera, da Kenneth Pollack a Larry Diamond, che negli otto anni di Clinton hanno lavorato al Dipartimento di stato e al Consiglio di Sicurezza nazionale. Il libro si intitola, con ruvidità più che dalemiana, “With All Our Might”, cioè “Con tutta la nostra potenza”. La raccolta elabora esplicitamente “una strategia progressista per sconfiggere il jihadismo e difendere la libertà” che, al succo, è identica a quella tentata e attuata, al netto degli errori compiuti sul campo, da Bush e Blair dopo l’11 settembre. Marshall e gli altri teorici del Partito democratico vogliono far rivivere nella sinistra americana la tradizione un po’ perduta dei Truman e dei Kennedy, i quali formularono una ferma e muscolare risposta al totalitarismo comunista. Il Washington Post, due giorni fa, ha commentato l’iniziativa di Marshall: “Il paradosso è che Bush si è appropriato di alcuni temi centrali della politica estera di Truman e di Kennedy, soprattutto l’enfasi sulla promozione globale della libertà”. La ricetta dell’analista amico della Margherita è la stessa della sinistra socialista liberale inglese di Blair: “Un immediato o precipitoso ritiro dall’Iraq non è giustificato, anzi dovremmo mobilitare il popolo americano a favore di un’ampia e robusta sicurezza e di una presenza finalizzata alla ricostruzione”. Secondo esempio, Peter Beinart. L’ex direttore, oggi editorialista, del più autorevole dei magazine politici di sinistra, The New Republic, ha appena pubblicato un libro dal titolo altrettanto eloquente, “The Good Fight”, la battaglia giusta, in cui spiega “perché la sinistra liberal, e solo la sinistra liberal, può vincere la guerra al terrorismo e far tornare grande l’America”. Beinart ricorda ai liberal americani che l’idea di promuovere l’allargamento della comunità delle democrazie per preservare la sicurezza e il benessere nazionale è un’idea che risale al momento in cui, dopo la morte di Franklin D. Roosevelt, la battaglia interna al Partito democratico fu vinta dall’ala liberale, anticomunista e antitotalitaria contro quell’Henry Wallace che considerava i sovietici come alleati nella lotta contro le destre. Marshall e Beinart, e non da ora, si aggiungono ai tantissimi intellettuali di sinistra che queste cose le dicono da anni, da Paul Berman fino a Christopher Hitchens. In Gran Bretagna, dove peraltro c’è un premier socialista che dal 1999 influenza la Casa Bianca con la sua dottrina muscolare di promozione della democrazia, un gruppo di intellettuali si è riunito intorno a un manifesto per una sinistra tosta e antitotalitaria che rifiuta di scendere a patti con i dittatori e l’equidistanza tra americani e terroristi. E’ curioso come alla presentazione londinese dello Euston Manifesto, qualche giorno fa, i promotori abbiano ricordato la lezione antitotalitaria di Carlo Rosselli, dimenticata in Italia. Gli scritti sulla democrazia e addirittura sulla guerra preventiva di Rosselli sembrano gli stessi oggi diffusi dalla Casa Bianca. “I neoconservatori stanno tornando – ha scritto domenica il Los Angeles Times – ma non tra i repubblicani, nel Partito democratico”. A sinistra sono cresciuti, lì stanno rinascendo.

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