Un articolo sul boicottaggio inglese contro le università israeliane, pubblicato dal FOGLIO di mercoledì 31 maggio 2006:
Roma. I primi tentativi di boicottaggio accademico contro lo stato d’Israele si erano registrati nel 2002. Steven Rose, il biologo della Open University che parla apertamente di “entità sionista”, sul Guardian aveva pubblicato un appello di moratoria contro i centri di ricerca dello stato ebraico. Nel 2005 l’Association of university teachers, riunita per l’occasione a Eastbourne, ha votato a favore del boicottaggio degli atenei israeliani di Bar-Ilan e Haifa. Le proteste internazionali persuasero l’associazione a ritirare la mozione. Ma al pregiudizio serviva solo riprendere fiato. André Oboler dell’Unione studenti ebrei disse che non si poteva considerare il cambiamento di posizione una vittoria definitiva. Così ieri la National association of teachers in further and higher education, la più grande organizzazione inglese di insegnanti composta da oltre 67 mila membri, ha approvato il boicottaggio d’Israele, accusandolo di “politiche da apartheid”.
Ventuno le astensioni, centosei i voti a favore e settantuno quelli contro, nella conferenza annuale svoltasi a Blackpool. “La maggioranza degli accademici israeliani sono complici o acquiescenti delle politiche del governo nei Territori occupati”, ha detto Tom Hickey dell’Università di Brighton. La risoluzione, la prima nel suo genere in Europa, costituisce un “invito”, per molti un’intimidazione, a tutti gli insegnanti inglesi a non stabilire contatti con la controparte israeliana. Rose lo chiama “storico passo in avanti” per garantire la libertà dei palestinesi. Qualche giorno fa l’Indipendent ha raccontato l’iniziativa di un gruppo di architetti britannici di primo piano, tra cui Norman Foster, per un boicottaggio dell’intero settore dell’edilizia in Israele. L’università Bar-Ilan ha dichiarato che un boicottaggio “silenzioso” delle università inglesi contro Israele è già in atto da tempo. Il presidente dell’ateneo, Moshe Kaveh, lo definisce “terrorismo accademico”. Di isolamento dell’associazione promotrice parla invece l’ambasciatore israeliano a Londra, Zvi Heifetz. E infatti di defezioni pubbliche se ne registrano molte. A cominciare da quella del matematico Ronnie Fraser, il quale sostiene che il boicottaggio è figlio di una mentalità razzista. “Mi vergogno della mia associazione”, ha detto Fraser.
“Il Mandato non finisce mai”
Secondo Fraser l’iniziativa avrà vita breve. “Non hanno ancora imparato la lezione dell’anno scorso. E’ un gesto antidemocratico e reazionario”. Nel marzo scorso il London Jewish Chronicle riferiva che il magazine inglese Dance aveva rifiutato un articolo di una coreografa israeliana, Sally Ann Freeland, per il suo sostegno al governo Sharon. La conferma di ciò che è in atto arriva direttamente dal professor Richard Seaford, classicista della Exter University, che alla Bbc ha detto che insieme ad altri colleghi ha praticato per anni “un boicottaggio informale”, rifiutando ogni pubblicazione proveniente dagli studiosi israeliani. Il Jerusalem Post accusa di “nuovo maccartismo” l’associazione che ha promosso il boicottaggio.
Mentre il professor Jon Pike, docente alla Open University e protagonista un anno fa dell’opposizione alla precedente mozione antisraeliana, parla di “antisemitismo dell’élite anglosassone”. Lisa Taraki e Omar Barghouti della Palestinian campaign for the academic and cultural boycott of Israel elogiano la decisione presa ieri come misura “contro l’impunità di Israele”. Numerose le lettere di sostegno al Guardian contro “il colonialismo ebraico”. A febbraio era stata la volta della chiesa d’Inghilterra, che ha formalmente chiesto al governo la rescissione dei contratti con le compagnie i cui prodotti vengono usati da Israele in Cisgiordania (a partire dalla Caterpillar). La mozione, approvata a maggioranza dal sinodo anglicano, era stata presentata da Keith Malcouronne (diocesi di Guildford), il quale invitava gli anglicani a fare un tour in Palestina per vedere “le case demolite”. Retorica antisionista che ingrossa il boicottaggio accademico e ha spinto la chiesa presbiteriana negli Stati Uniti ad appoggiarlo. Quest’ultima iniziativa ha trovato sostenitori anche in Israele, dove troviamo il solito Ilan Pappe, il docente di Haifa che si augura di raggiungere gli stessi risultati ottenuti in Sud Africa contro l’apartheid.
Secondo Robert Wistrich della Hebrew University siamo solo di fronte all’ultimo caso di “ossessione inglese” per lo stato ebraico. “A coloro che hanno firmato il boicottaggio non interessa che il medio oriente si sviluppi”, ha detto Wistrich. Ma senza dubbio il miglior commento è quello apparso ieri sul quotidiano israeliano Haaretz, che parlava di “sindrome da Lawrence d’Arabia” e di neocolonialismo accademico. “Salvateci, inglesi. Salvateci da noi stessi. Il Mandato non finisce mai. Cambia solo uniforme”.
Di seguito, un articolo sull'antisemitismo nelle università arabe:
Roma. Il 29 novembre 2005, la maggiore università statale libanese ha ospitato un simposio organizzato da al Manar, l’emittente del gruppo terrorista sciita Hezbollah, in cui si chiedeva la cancellazione d’Israele dalla cartina geografica: “Come Hilter ha combattuto gli ebrei, così anche noi dobbiamo combattere gli ebrei e bruciarli”, riporta la trascrizione dell’incontro, pubblicata dal sito del think tank Memri. In Kuwait, poco più di un anno fa, il dibattito tra gli educatori era se mantenere o no, nei curricula scolastici, l’insegnamento del jihad. Oggi, i professori inglesi boicottano le università israeliane e si dimenticano di dare uno sguardo al resto del medio oriente, dove spesso mass media, sermoni nelle moschee e libri scolastici sono controllati dai regimi e sono utilizzati come strumenti d’indottrinamento politico. Secondo Bernard Lewis, esperto di mondo islamico, esiste un tipo di propaganda in medio oriente che consiste nel riscrivere quel che è successo. I temi standard includono la negazione dell’Olocausto e l’equazione tra ebrei e nazisti. Spesso la “riscrittura” prevede la scomparsa degli ebrei dal passato della regione: “Il museo della storia ad Amman – scrive – racconta attraverso oggetti e iscrizioni tutti i popoli antichi dell’area, con un’eccezione. Mancano re e profeti dell’antico Israele”. Il Washington Post ha pubblicato una serie di articoli sull’educazione scolastica in Arabia Saudita, dalla prima elementare fino alle scuole superiori. In un esercizio in cui l’alunno devo completare una frase, si legge: “Ogni religione all’infuori dell’islam è falsa e chiunque muoia al di fuori di questa fede andrà all’inferno”. Il regno wahabita, che negli ultimi anni – sotto pressione statunitense – ha cercato di pereseguire il cammino delle riforme, concedendo per esempio il voto alle donne nelle scorse elezioni municipali, resta legato ai principi della sua fondazione. L’Arabia Saudita, definita da alcuni studiosi occidentali come il “regno dell’odio”, ha un governo fondato sui principi del wahabismo, scuola di pensiero sunnita che applica interpretazioni estremiste del testo coranico. Nei sussidiari sauditi, così come nei sermoni delle moschee, l’incitamento all’odio verso qualsiasi altra religione che non sia l’islam è la normale applicazione dei principi wahabiti. “La battaglia dei musulmani contro ebrei e cristiani… continuerà fino a quando il Signore lo vorrà”, spiega un libro di prima superiore. Il 19 luglio 2003, il quotidiano saudita al Watan ha pubblicato un articolo di un professore della King Faisal University che raccontava la presunta “fatwa” di un rabbino ebreo sull’Iraq come “parte del grande Israele” e i “sospetti movimenti sionisti sul suolo iracheno”. Uno scrittore dell’università del Cairo, Sayyed al Quimmi, ha scritto nel 2004 sul settimanale Roz al Youssef che i curricula dell’università al Azhar incoraggiano l’estremismo e il terrore. Il dibattito sui libri scolastici ha ripercussioni anche negli atenei americani, dove molte istituzioni culturali islamiche cercano di introdurre testi ufficialmente “legati alle radici”, ma in realtà spesso di propaganda antisemita. Da Riad fino a Damasco Se da un lato l’estremismo religioso incita contro la libertà di culto, in particolar modo contro gli ebrei, che dovranno essere “combattuti fino al giorno del giudizio”, il baathismo di Damasco non è da meno. I libri di testo siriani si concentrano non soltanto sullo “sterminio degli ebrei”, elogiando le “glorie” del nazismo, ma in particolar modo esortano alla distruzione dello stato d’Israele, come “agente coloniale dell’occidente”. Israele è descritto come una “minaccia per l’integrità del mondo arabo”, “responsabile per l’arretratezza economica del paese” e per qualsiasi male socio-politico che la società siriana subisce. Un approccio simile è quello dei libri di testo palestinesi, dall’epoca del rais Yasser Arafat in poi, per incitare i giovani contro i civili israeliani e al contempo fare dimenticare la corruzione interna al partito al potere. “Quando il nemico è presente in terra musulmana è dovere del cittadino credente combatterlo e cacciarlo – recita un testo palestinese – fino a quando il nemico è sconfitto e distrutto”. Con Hamas al governo, molti analisti sostengono che l’insegnamento scolastico potrebbe retrocedere ancora di più verso l’indottrinamento ideologico all’odio verso gli ebrei. La parola “yahud” (ebreo) è spesso utilizzata nelle vie delle città arabe per screditare od offendere. Ma ci sono anche delle eccezioni. Il quotidiano algerino, Liberté, sbeffeggia perfino il presidente negazionista dell’Iran, Mahmoud Ahmadinejad, e la Tunisia – nonostante la sua controversa politica interna – insegna ebraico all’università. Gli atenei inglesi, invece, secondo l’antico pregiudizio, boicottano la cultura ebraica.
Di seguito riportiamo, a titolo di esempio dell'antisemitismo arabo, il link al filmato, riprodotto e tradotto in inglese dal sito Memri, di un sermone dello sceicco Ibrahim Mudeiris, nominato dall'Autorità Nazionale Palestinese, pronunciato venerdì 13 maggio 2005 e trasmesso dalla televisione dell'Autorità palestinese.
Un appello al genocidio, sulla base di un antisemitismo chiaramente razzista:
http://switch5.castup.net/frames/20041020_MemriTV_Popup/video_480x360.asp?ClipMediaID=60227&ak=null
A pagina 3 l'intervista di Giulio Meotti a Melanie Philips sul boicottaggio delle università israeliane e sul cedimento della sinistra inglese (incluso Tony Blair) all'islamismo:
Roma. Melanie Phillips è una delle columnist più controverse d’Inghilterra. Autrice di “All Must Have Prizes”, un devastante atto d’accusa del sistema educativo britannico, egualitario e rinunciatario, Phillips torna ora a scuotere la cultura inglese con un libro sul fallimento del multiculturalismo laburista, “Londonistan”. La sinistra inglese, da cui Phillips proviene in quanto ex giornalista del Guardian, le dà oggi della “venduta di destra”, “bigotta”, “islamofoba” e “sionista”. Accuse che lei, ebrea orgogliosa di esserlo, moderata ma allarmista per vocazione e necessità, si spilla al petto, sinonimo di amore per Israele e l’America. Al Foglio racconta il suo nuovo libro. Partiamo dal boicottaggio delle università israeliane che in questi giorni ha visto un’accelerazione formale. “L’appello delle università britanniche al boicottaggio di Israele è solo un’altra e non ultima dimostrazione del virulento pregiudizio contro lo stato ebraico che ha invaso l’intellighenzia inglese e il rapimento delle accademie dal discorso della menzogna e dell’odio”. Il suo grande imputato si chiama Tony Blair. “Mi dispiace solo che Tony Blair sia stato coraggioso nel sostenere la politica americana a difesa del mondo libero. Mi dispiace solo che parli di ideologia del male’. Mi dispiace tutto questo, perché la sua politica in Inghilterra è stata di negazione e appeasement. Blair è prigioniero delle attitudini inglesi. Ha assecondato un’alleanza di libertari, avvocati dei diritti umani, laburisti e media. Vorrebbe cavalcare la tigre islamista. Iraq, povertà, islamofobia, sarebbero le cause delterrorismo. Anziché abbattere la cultura che sta dietro all’islamismo, il governo ha scelto di assecondarla, si è flagellato ed ha agonizzato. Abbiamo ascoltato i musulmani? Dobbiamo cambiare politica in medio oriente e in Kashmir? Ha pensato che i giovani inglesi avrebbero scansato le braccia di al Qaida se solo avessimo sostenuto i musulmani non violenti. Anziché cacciare i Fratelli musulmani come forza di sedizione, l’hanno portata nell’establishment in quanto ‘riformisti’”. Il primo errore commesso da Blair è stata la scelta di noti islamisti in posizioni chiave della consulenza governativa. “Hanno trasformato la comunità islamica nella principale vittima della società britannica. Ci hanno detto come dovevamo parlare di islam, censurando chi non era d’accordo. Hanno arruolato lo sceicco al Qaradawi, che ha benedetto i kamikaze in Israele e in Iraq, come modello per i musulmani inglesi. Quando il pacifista inglese Bruce Kember venne preso in ostaggio in Iraq e Kate Burton in Palestina, le autorità britanniche hanno chiesto ai Fratelli musulmani di mediare per il suo rilascio. Coloro che sarebbero solo austeri musulmani che ‘non hanno niente a che fare con i terroristi’. La verità è che il governo è stato usato. Chi cavalca la tigre deve aspettarsi di essere mangiato vivo. Le élite inglesi sono rimaste inerti di fronte ai predatori della sinistra”. L’appeasament è la condizione naturale degli esseri umani. “Ma questa tendenza è stata potenziata dal multiculturalismo e dalla dottrina delle minoranze. E’ così che in Europa è diventato impossibile distinguere fra verità e menzogna, giusto o sbagliato, vittima e aggressore. Molti in Inghilterra dopo l’11 settembre hanno pensato e detto che l’America se lo meritava. Biasimarsi è ormai una caratteristica dell’europeo medio. Le parole del killer di Theo van Gogh, ‘lo farei di nuovo’, non sono negoziabili in Europa”. Phillips ricorda infine le parole della madre di Zacharias Moussaoui, “l’Inghilterra ha trasformato mio figlio in un terrorista”. “Gli europei ridono, senza prestare attenzione alle parole di fuoco che vengono lanciate contro il mondo libero. E’ come se il welfare europeo coltivasse la perversione. Lo storico Niall Ferguson ha detto che la ‘colonizzazione islamica’ dell’Europa ‘non è necessariamente una cosa cattiva’”. Melanie Phillips era con Ayaan Hirsi Ali all’American jewish committee quando hanno premiato quest’ultima per il “coraggio morale”. “Il suo coraggio è stupefacente. ‘Vi odiavo’, ha detto della famiglia somala in cui è cresciuta e che le ha insegnato a odiare gli ebrei. La lezione dell’Olocausto, ha detto, un male mai sconfitto’. C’erano Bush, Merkel, Ehud Olmert, John Howard e Lech Kaczynksi. Hirsi Ali ha sbagliato a mentire sul suo nome, ma non ha mai fatto mistero questo. Ayaan è un capro espiatorio. Con sua fuga a Washington, un’altra luce si estinta dal cuore dell’Europa. L’hanno abbandonata a se stessa, al rischio di un omicidio islamico. Hanno pensato che cacciandola avrebbero rimosso il problema”. Nel suo libro Phillips dedica ampio spazio all’antisemitismo europeo. “L’Olanda, come l’Inghilterra, non è oggi un bel posto per gli ebrei. Basta leggere i giornali, andare ai galà o vedere la Bbc. Israele viene costantemente delegittimato e demonizzato, accusato di genocidio, è uno stato pariah, ucciso dalla cattiva coscienza europea e dalla mistificazione dei media arabi”. Ne ha anche per Chiesa anglicana. “Ha colpe enormi. Invece di difendere il retaggio cristiano, ha adottato la letteratura islamica, da Israele all’America all’Iraq, e resta in silenzio sulle persecuzioni dei cristiani nelle terre islamiche. E’ decadente, come tutta l’Europa, incapace di vivere e morire in nome di se stessa, persuasa ormai che la propria storia culturale sia uguale a tutte le altre. Ma è il nostro intero sistema educativo che ha smesso di insegnare la storia inglese perché giudicata ‘offensiva’ e ‘inospitale’”.
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