sabato 23 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Il Manifesto Rassegna Stampa
30.05.2006 Propaganda e cinismo sul quotidiano comunista
a favore di Hamas ed Hezbollah

Testata: Il Manifesto
Data: 30 maggio 2006
Pagina: 10
Autore: Stefano Chiarini - Tommaso Di Francesco
Titolo: «Raid israeliani, Libano sul filo della guerra - Chi vuole che Abu Mazen diventi come Bokassa»

L'aggressione terroristica contro Israele da parte di Hezbollah e terrorismo palestinese (vedi  Scontri al confine israelo-libanese , Informazione Corretta del 29/05/06 )si trasforma, nella prosa orwelliana di Stefano Chiarini, nel suo contrario: un aggressione israeliana.
Ecco il testo, dal MANIFESTO del 30 maggio 2006: 
 

L'uccisione, venerdi scorso, con un'autobomba di Mahmoud Majzoub, esponente della Jihad islamica e di suo fratello nel centro di Sidone e i massicci bombardamenti israeliani su alcune basi palestinesi nella valle della Beqaa, nei pressi di Sidone (40 chilometri a sud di Beirut) e sulle basi degli Hezbollah lungo la linea di confine, alla quale la resistenza libanese ha risposto colpendo una base aerea israeliana nei pressi di Safad e dieci postazioni di Tel Aviv nell'Alta Galilea, hanno gettato altra benzina sul fuoco della guerra che da settimane cova in Libano destabilizzando ulteriormente la «Repubblica dei cedri». Quelli iniziati domenica all'alba e andati avanti per circa 24 ore sono stati senza dubbio gli scontri più duri per estensione e per intensità, con almeno tre vittime e decine di feriti, che si siano mai avuti lungo il confine dal maggio del 2000, dal giorno del ritiro israeliano dopo 22 anni di occupazione. Gli scontri sono cessati domenica notte e la popolazione sui due lati del confine è uscita dai rifugi ma la tensione è al massimo e i caccia israeliani hanno sorvolato anche ieri bassa quota il Libano e la stessa capitale Beirut, simulando operazioni di bombardamento e aumentando ancor più il panico della popolazione. La genesi degli scontri, come sempre, è di difficile ricostruzione, non così il precipitare della situazione: tutto è iniziato venerdi quando nella città di Sidone un attentato, probabilmente organizzato dai servizi israeliani (per il quale non c'è stata alcuna protesta internazionale) ha ucciso venerdì Mahmoud Majzoub, esponente della Jihad Islamica e suo fratello. All'alba di domenica alcuni razzi, non rivendicati da nessuno, colpivano alcune postazioni israeliane al di là del confine. Poco dopo decine di missili e bombe israeliane sganciate dagli F-16 cominciavano a colpire le basi del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina - Comando generale di Ahmed Jibril nella zona di Sultan Yakoub, nella valle della Beqaa e in quella di Naameh tra Beirut e Sidone, uccidendo un comandante del movimento e ferendone altri due. Colpite anche venti postazioni della resistenza libanese lungo il confine e alcune case. Gli Hezbollah da parte loro hanno aperto il fuoco lungo tutto il confine colpendo numerose postazioni e una importante base aerea a Safad, dove un militare israeliano sarebbe stato ucciso e altri due feriti. Certamente la battaglia sul confine ha scosso ancor più di quanto già non fosse il fragile equilibrio politico libanese sottoposto ai duri colpi del tentativo americano-francese-israeliano di cacciare dal governo di unità nazionale gli Hezbollah per arrivare ad un disarmo della resistenza libanese e di quella palestinese, ad una pace separata tra Libano e Israele e ad una destabilizzazione della Siria alla quale non verrebbe più restituito il Golan occupato da Israele nel 1967. L'uccisione israeliana dei due leader della Jihad ha infiammato gli animi a Sidone dove oltre 10.000 persone hanno partecipato ai funerali in solidarietà con la resistenza palestinese ma anche Beirut, dove il premier Fouad Siniora, pur essendo vicino alla Hariri Inc (il blocco che fa riferimento alla famiglia dell'ex premier ucciso) non ha potuto esimersi dal condannare l'attentato israeliano e dove il noto quotidiano progressista a-Safir, con un editoriale del direttore Talal Salman, ha invitato l'opinione pubblica a mobilitarsi attorno alla resistenza e ha accusato il movimento del 14 marzo (Saad Hariri, Falangisti, Walid Jumblatt) di non difendere l'unità del paese e di prestarsi alle manovre israeliane nella regione.

Il quotidiano comunista offre comunque acrobazie politiche e argomentative ancora più spericolate.
Sono quelle di Tommaso Di Francesco, che prende partito a favore di Hamas contro D'Alema e persino contro Fatah e che con incredibile cinismo accusa la comunità internazionale di voler rendere , con il suo sostegno , il presidente palestinese Abu Mazen un "nuovo Bokassa", tra l'atro facendo confluire su di lui gli aiuti per i palestinesi.
Gli aiuti ad Arafat invece, come noto, resero il raìs palestienese un nuovo Solone ( o un nuovo Creso ?).
Gli aiuti ad Hamas senza dubbio verrebbero pagati in vite umane innocenti,  e in una prosecuzione della guerra (Di Francesco, a questo proposito, dovrebbe imparare la differenza tra "tregua" e "pace"), ma...  che importa a lui ?!
Ecco il testo:

«Non penso che i palestinesi siano d'accordo con il loro governo». L'espressione è di Massimo D'Alema dalla sede dell'Unione europea dove, tra l'altro, ha portato il sostegno dell'Italia alle sanzioni della Commissione Ue al governo palestinese di Hamas, che però saranno «addolcite» perché bisogna «evitare il disastro nei Terrirori occupati», ma senza assolutamente «aiutare Hamas»: i soccorsi arriveranno alla popolazione, passando per il presidente Abu Mazen. L'aveva deciso la presidenza Ue, ora si aggiunge il neoministro degli esteri italiano. Meno male che era «filopalestinese»! Quando quattro mesi fa Hamas vinse le elezioni palestinesi, perfino Piero Fassino riconobbe che quello smacco storico derivava dalla scesa in campo di «generazioni che hanno conosciuto la frustrazione di accordi mai realizzati, in particolare quelli di Oslo» con la grave responsabilità della comunità internazionale «nell'aver fatto marcire il processo di pace». Fu la sconfitta del nazionalismo politico a scapito di quello religioso, derivata da due fatti: la corruzione dell'Anp - interlocutore unico proprio degli aiuti finanziari occidentali; la violenza dell'occupazione israeliana che ha cancellato il diritto ad uno Stato palestinese. A quattro mesi dall'affermazione di Hamas, D'Alema spiega che i palestinesi «non sono d'accordo» con il loro governo che hanno da poco contribuito ad eleggere con un voto che il leader della società civile Mustafa Barghuti - antagonista di Hamas - insiste a definire «democratico» e per questo invita la comunità internazionale a «vergognarsi» per l'embargo. A questo punto certo non è da escludere nemmeno il «disaccordo», visto che l'embargo è un ricatto concreto che ha ridotto i palestinesi alla fame. Ma resta largamente diffuso il duro giudizio sull'Anp e sul disastro degli accordi di pace, tra i palestinesi rimasti senza speranze dopo la morte di Arafat e di fronte all'unilateralismo di Sharon - tanto apprezzato anche dalla sinistra italiana - e ora a quello di Olmert. Adesso il governo di Hamas, anche per il «filopalestinese» D'Alema non è un interlocutore e merita le sanzioni perché «non riconosce Israele». Non una parola sull'ultima intervista del premier palestinese Haniye ad Haaretz di pochi giorni fa con la promessa di una tregua (un riconoscimento di fatto dell'esistenza d'Israele) se Tel Aviv torna ai confini del 1967, secondo le risoluzioni dell'Onu; non una parola su chi in Israele considera importanti queste offerte di dialogo, come l'ex capo del Mossad, Ephraim Halevy. E soprattutto nessuna iniziativa sul fatto che Israele non riconosce lo Stato di Palestina. Infatti il governo Olmert con il suo unilateralismo - smantellamento solo delle colonie a Gaza, mantenimento di quelle più importanti in Cisgiordania, continuazione della costruzione del Muro, proseguimento dell'occupazione militare dei Territori palestinesi, Gerusalemme est che resta in mano all'esercito e all'amministrazione israeliana, milioni di profughi palestinesi senza diritto al ritorno - non riconosce la possibilità che nasca lo Stato di Palestina. Non tratta e unilateralmente nega il punto di vista di un popolo sul futuro del suo proprio Stato, prefigurandone separatamente confini, territorio e perfino demografia. L'effetto collaterale - D'Alema è abituato a non vederli - è dei più iniqui. L'Ue manda aiuti assegnandoli non al legittimo governo palestinese ma al presidente Abu Mazen, Olmert parte per avere l'approvazione sul ritiro unilaterale da Bush e consegna i fondi delle dogane palestinesi che Israele sottrae sempre alle casse dell'Anp direttamente ad Abu Mazen, mentre sotto l'abitazione del presidente palestinese si uccidono e arrestano i leader di Hamas, fino alla decisione del governo israeliano di dare armi alla guardia presidenziale di Abu Mazen. Una domanda: quanto durerà Abu Mazen, snaturandone il ruolo fino a farlo diventare presidente-premier? E poi, non c'è il rischio di preparare la strada ad un califfato di ferro, qualora Hamas dovesse conquistare anche la presidenza palestinese? Ha scritto l'editorialista Uzi Benziman su Haaretz che questo strumentale sostegno dell'Occidente ricorda molto quello del governo francese ai presidenti della repubblica centroafricana nel XX° secolo. Chi vuole che Abu Mazen diventi come Bokassa?

Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione del Manifesto


redazione@ilmanifesto.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT