Dal FOGLIO del 25 maggio 2006, una cronaca riguardante il discorso di olmert al congresso degli Stati Uniti e l'intervista di Massimo D'Alema a Maariv:
Roma. E’ stato un gran giorno ieri per il primo ministro israeliano, Ehud Olmert. Ha avuto l’onore di parlare davanti al Congresso americano riunito. E’ a Washington da domenica, ha incontrato tante persone, martedì ha cenato con George W. Bush: gli ha detto che vuole ritirarsi da parte della Cisigordania. Gli ha raccontato il suo “piano di covergenza”. Al presidente americano sono piaciute le sue “idee coraggiose”: Bush gli ha dato il suo appoggio, sottolineando che è necessario dialogare con Abu Mazen, il rais palestinese. Messaggio ricevuto. Ieri, al Congresso, Olmert ha parlato a lungo: “Da questo pulpito, tendo la mano in pace a Mahmoud Abbas, presidente dell’Autorità palestinese”. Quest’Autorità deve rinunciare al terrorismo, attenersi agli accordi precedenti, riconoscere il diritto d’Israele a esistere, ha detto. “Abbiamo bisogno di un partner che rigetti la violenza, cui la vita sia più ca ra della morte”. Ma Olmert riprende anche le parole del suo ministro della Giustizia. Haim Ramon, ieri, aveva detto che Israele si dedicherà al tentativo d’arrivare a negoziati, fino a fine anno. Dopo, se non ci saranno risultati, si muoverà da solo. “Non possiamo aspettare i palestinesi”. Se non troviamo un accordo, “andremo avanti”, gli fa eco da Washington il premier. Sei mesi, è l’ultimatum. Poi i preparativi per il ritiro da parte della Cisgiordania, o il ritiro stesso. Per ora, un partner non c’è. Israele e la comunità internazionale vogliono dare fiducia ad Abu Mazen, ma al governo c’è Hamas, che ha già denunciato l’appoggio americano, seppur timido, al piano di convergenza. Il rais è intanto impegnato a evitare scene da guerra civile a Gaza, dove ieri mattina un membro di Hamas è stato ucciso da uomini armati e dove un migliaio di militanti vicini al suo partito, Fatah, hanno disertato e manifestato nelle strade il loro nuovo sostegno al Movimento per la resistenza islamica. Nabil Hodhod, comandante delle forze di sicurezza preventiva, uomo vicino al rais, è morto nell’esplosione della sua auto, causata da una bomba. I problemi di Abu Mazen non si sono fermati a Gaza e non si sono fermati a Hamas. Olmert e il rais palestinese dovrebbero incontrarsi poco dopo il ritorno del premier dagli Stati Uniti, ma il portavoce dell’Anp, Nabil Abu Rdainah, ha accusato Israele di non cercare il negoziato. Ieri, in una rara incursione dell’esercito di Tsahal a Ramallah, in Cisgiordania, sono morti quattro uomini della forze di sicurezza dell’Anp; una sessantina di persone, tra cui civili, sono state ferite. I militari israeliani hanno portato a termine l’incursione per arrestare uno dei tesorieri del Jihad islamico, Mohammed al Shoubaki. Il clima sempre più simile a una guerra civile non dichiarata non sfugge agli osservatori e ai politici europei. Massimo D’Alema, neoministro degli Esteri, ha deciso di concedere la prima intervista a un quotidiano straniero all’israeliano Maariv (il colloquio sarà pubblicato venerdì). D’Alema, cui un altro quotidiano israeliano, Yedioth Ahronoth, aveva dedicato pochi giorni fa un preoccupato articolo: “La fine della love story tra Italia e Israele”, ha parlato di sé: “Una persona che ha dedicato così tanto tempo e passione alla promozione della pace in medio oriente non può essere considerata un nemico. Semmai un amico che sbaglia, ma certamente non un nemico”. Su Hamas ha dichiarato che si atterrà alla posizione europea e ha aggiunto che la soluzione del problema del conflitto israelo-palestinese è fondamentale per la riconciliazione tra mondo islamico e occidente. “Bruciare le bandiere – ha spiegato – è un crimine”.
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