Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Il negoziato tra palestinesi e israeliani secondo Marwan Barghouti il terrorista intervistato da Davide Frattini nel carecere nel quale è detenuto
Testata: Corriere della Sera Data: 24 maggio 2006 Pagina: 17 Autore: Davide Frattini Titolo: ««Hamas e Jihad ai negoziati con Abu Mazen Un accordo di pace sarà votato dalla gente»»
Condannato a cinque ergastoli per altrettanti omicidi, Marwan Barghouti può, dal carcere israeliano nel quale é detenuto, rilasciare interviste ai giornali di tutto il mondo. Un fatto che é bene sottolineare, perché dà la misura di quanto Israele rispetti i diritti dei suoi detenuti. Un'intervista a Barghouti, corretta e puntuale nel sollevare anche questioni "scomode" per l'interlocutore, l'ha fatta anche Davide Frattini del CORRIERE della SERA che la pubblica il 24 maggio 2006.
Ecco il testo:
GERUSALEMME — Lo chiamano «Napoleone», per la piccola statura e le grandi ambizioni. E perché dalla sua cella è riuscito a rimanere il capopopolo più influente. Che ha avuto successo dove Abu Mazen ha per ora fallito: convincere Hamas (o almeno una parte del movimento) ad accettare uno Stato palestinese nei confini del 1967. Non la tregua di anni che il premier Ismail Haniyeh offre nell'intervista pubblicata ieri dal quotidiano Haaretz, ma il piano per un accordo definitivo che stabilisca dei confini certi con Israele. Marwan Barghouti ha imbarcato nel suo progetto gli altri leader nella prigione di Hadarim. Quelli che incontra ogni giorno nelle due ore d'aria. Ha discusso per settimane, tra riunioni di gruppo e incontri faccia a faccia. Per riuscire ad avere, lui del Fatah, i loro nomi e le loro firme. «Ho presentato una bozza che abbiamo analizzato insieme — spiega Barghouti, 46 anni —, mi sono state fatte delle proposte che ho inserito e alla fine il testo è stato approvato all'unanimità». Diciotto punti per evitare la guerra civile e aprire le trattative con Israele. «È il primo documento sottoscritto da Hamas e dalla Jihad islamica che accetta la nascita di uno Stato palestinese nei territori del 1967. E' molto importante perché unisce le varie fazioni per un obiettivo che ha una legittimità internazionale». Barghouti, condannato nel maggio 2004 a cinque ergastoli più quarant'anni con l'accusa di essere coinvolto negli omicidi di cinque israeliani, passa le giornate divorando i libri che la Croce Rossa gli passa, tre quotidiani israeliani (e quelli palestinesi quando arrivano). In queste settimane, ha letto Boomerang dei giornalisti israeliani Raviv Drucker e Ofer Shelah (un saggio-denuncia contro la strategia di Ariel Sharon durante la seconda intifada), Dividing the land di Ari Shavit (sulle sfide che aspettano il sionismo dopo il ritiro da Gaza) e Il mondo di Sofia, bestseller internazionale dell'ex professore di filosofia norvegese Jostein Gardner. Lo Shin Bet lo considera «l'architetto del terrore» della rivolta scoppiata nel settembre 2000 e in carcere è stato sottoposto a un regime che solo pochi mesi fa gli ha concesso di ricevere le visite regolari della moglie Fadwa e di vedere la figlia Ruba per la prima volta dall'arresto nell'aprile 2002. Ha dettato le risposte alle domande, durante un incontro nel parlatorio della prigione con l'avvocato Elias Sabbagh. Il suo documento lancia un appello all'unità nazionale. Per ora il governo di Hamas ha giudicato il progetto interessante, senza accettarlo. «Nel testo dichiariamo che l'Olp è l'unico rappresentante legittimo del popolo palestinese nelle trattative. Hamas e la Jihad islamica devono entrare nell'organizzazione, che condurrà i negoziati assieme al presidente Abu Mazen. Un eventuale accordo verrà votato dalla gente con un referendum». La Jihad islamica non ha sottoscritto la tregua del febbraio 2005 e ha continuato gli attentati kamikaze nelle città israeliane. «I leader della Jihad nelle carceri vogliono che gli attacchi contro l'occupazione vengano limitati alla Cisgiordania». Hamas e Fatah si stanno fronteggiando a colpi di Kalashnikov per le strade di Gaza. «Bisogna impedire agli uomini delle forze di sicurezza di entrare nella sfida per il potere tra le fazioni. Il governo e il presidente devono lavorare insieme. Il mio testo prevede garanzie molto importanti in un futuro Stato palestinese: il pluralismo politico, il rispetto dei diritti delle donne, la libertà di stampa». Com'è riuscito a convincere Abdel Khalek Natche, uno dei capi di Hamas, ad accettare uno Stato palestinese entro i confini del 1967. «E' uno dei fondatori del movimento, molto rispettato dagli altri leader. Crede nell'unità nazionale». Khaled Meshaal ha respinto da Damasco la possibilità che Hamas possa riconoscere Israele. Ha invitato il Fatah «a unirsi sotto la bandiera della jihad per liberare tutta la Palestina». «Hamas controlla il governo e ha la maggioranza in Parlamento. Ma si deve rendere conto che nessuno in questo momento può guidare da solo il popolo palestinese. Deve formare una coalizione più ampia, basata sul mio programma per mobilitare l'appoggio arabo e internazionale verso una causa giusta. Resta il diritto del nostro popolo di resistere all'occupazione». Come giudica il governo del nuovo premier Ehud Olmert? Amir Peretz, ministro della Difesa laburista, vuole che il dialogo con Abu Mazen venga riaperto. «Gli israeliani non sono pronti a condurre trattative serie, che stabiliscano un calendario per il ritiro dai territori conquistati nel 1967 e da Gerusalemme Est. Parlano di negoziati per gettare polvere negli occhi e per arrivare a imporre una soluzione unilaterale che ignori la controparte palestinese. Parlano di negoziati e fanno vivere quattro milioni di palestinesi in gabbia ». Con il ritiro unilaterale da Gaza, Sharon ha dimostrato coraggio, anche quello di cambiare idea. È pronto a riconoscerlo? «Fin dall'annuncio, sono stato sicuro che avrebbe portato a termine l'operazione. E' stata una decisione giusta, un piccolo passo verso la fine dell'occupazione. Sharon ha capito che il controllo su Gaza stava diventando troppo costoso e che Israele non era riuscita a spezzare la volontà dei palestinesi».
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