Plauso a Giuliano Ferrara per l'editoriale pubblicato in prima pagina dal FOGLIO di lunedì 22 maggio 2006:
Bertinotti è fantastico. Essendo molto intelligente, vuole essere completo. Volendo essere completo, desidera essere popolare . Desiderando la popolarità, esercita anche l’arte di rabdomante della stupidità. L’ultima che ha trovato è questa: il 2 giugno facciamo pure la sfilata delle Forze Armate, ma vestiti con un pigiama arcobaleno , la divisa della pace. Neanche Alfred Jarry avrebbe saputo dir di meglio, e Alberto Sordi, a esser meno sofisticati, potrebbe fare il capo di stato maggiore di questo esercito immaginario.
Presentaaaatarm!
Però la stupidità non ha solo il volto sorridente e gentile del presidente della Camera né l’impronta della sua formidabile agenda d’incontri con frati fervorosi e finti guerriglieri, tra il saio e il passamontagna. La stupidità é anche cattiva e fertile, mette su famiglia e si assicura una folta discendenza. Il pacifismo integrale o macrobiotico è sicuramente il primogenito della stupidità politica. Ma c’è anche il cadetto: la guerra riluttante.
Bush per esempio è nei pasticci. Ha fatto la cosa giusta ma, a parte la storia che è alla fine abbastanza imparziale, a parte gli elettori americani che hanno detto la loro e chissenefrega dei sondaggi che valgono due soldi di pigrizia, nessuno vuole riconoscerglielo. Se ne è accorto e lo ha detto: “Fare la guerra è impopolare”. Ma avrebbe potuto dir meglio, ricorrendo al sillogismo barocco: “Siccome tutte le guerre sono impopolari, nessuno osa più fare davvero una guerra. Siccome nessuno osa più fare una guerra vera, la guerra ha un suono falso, appunto riluttante, nessuno la vince e nessuno la perde. Siccome le guerre impantanate sono le più impopolari tra tutte, perché quelle vinte e quelle perdute un loro charme discret ce l’hanno, altrimenti non leggeremmo Tolstoj e Stendhal, chi si impantana diventa supremamente impopolare”.
La guerra è la peggiore delle soluzioni, ad eccezione dell’appeasement che ne produce una ancora più grande e fatale (direbbe Churchill). Se dunque fai la guerra, cerca di vincerla direbbe La Palisse. Invece siamo qui a pestare l’acqua nel mortaio e nel mortorio che chiamiamo Pace. Pace con dittatura. Pace con l’atomica in mano ai mullah. Pace con la benda gialla per gli ebrei. Pace con i clan sunniti e bombaroli al governo. Pace con la sharia. Pace con gli shahid nelle metropolitane e Hamas al vertice dello Stato palestinese in formazione. Pace con le diplomazie europee allo sbando. Pace senza un carcere per i prigionieri di guerra, perché hanno bisogno dell’avvocato. Pace con la Russia che si fa i fatti suoi. Pace con la Cina che comincia a farsi i fatti nostri. Pace religiosa e culturale senza reciprocità: io pace, tu guerra (come direbbe Tarzan).
Ci sono tre paesi seri al mondo: Stati Uniti, Gran Bretagna, Israele. Sono tre paesi che sanno che cosa è la guerra, non lo hanno dimenticato. E non è una banale questione di valori, di family values: Israele ha un battaglione di opliti froci molto efficiente, gli inglesi celebrano Elton John e le sue drag queen come la nuova famiglia reale, i puritani americani sono una maggioranza sociale e politica che non governa i costumi e la cultura, da tempo correttamente assatanati. E’ che la guerra, quando ti si presenta, non la puoi scansare: combatti o ti sottometti. Alla sottomissione il mondo occidentale è ben preparato, basta guardare l’epica resa al fanatismo islamico nella “civilissima” scandinavia, da Amsterdam a Copenhagen raccontata su queste colonne da Giulio Meotti. Basta leggere il libro nero della tirannide islamista scritto da Carlo Panella. Ma combattere come ? A quello siamo meno preparati, con ogni evidenza.
Noto generale in poltrona, non oso dire quello che tutti sanno. Che un paese conquistato deve sentirsi vinto, e la democrazia seguirà, nelle forme opportune dettate da un alto comando militare che non fa volare una mosca e fa saltare i clan sunniti a uno a uno perché non si affida ai burocrati di Harvard ma ai generali di Westpoint (sperando che Westpoint non sia diventata una dépendance di Harvard). Non oso dire quello che un fotografo di Time, comunista ma poco pratico in arte della stupidità, ha detto al Foglio: quei bastardi assassini dei “resistenti” vanno eliminati come si deve, non come si può. Mi permetto soltanto di affermare che la guerra si vince quando cambiano i telegiornali, quando una sana intimidazione circonda Al Jazeera, quando la traduzione dell’Iliade di Alessandro Baricco resta invenduta, quando ci togliamo il pigiama e sfiliamo con i cannoni e le stellette.
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