L' UNITA' 'di lunedì 22 maggio 2006 pubblica quattro interviste a esperti (Sergio Romano , Stefano Silvestri , Lucio Caracciolo e Renzo Guolo) sulle linee della politica estera italiana indicate da Massimo D'Alema.
Ecco l'introduzione:
GRANDE ATTENZIONE e pareri sostanzialmente positivi nei commenti di analisti internazionali all’intervista rilasciata da Massimo D’Alema, vicepremier e ministro degli Esteri, all’Unità. Roma, Silvestri, Caracciolo e Guolo sottolineano diversi tratti di quella che è una sorta di agenda internazionale dell’Italia: relazioni con gli Stati Uniti, rilancio dell’iniziativa europea, ritiro delle truppe definito non come un «fuggire da Nassiriya» ma come la trasformazione dell’impegno militare in impegno civile per la ricostruzione dell’Iraq. E sul Medio Oriente apprezzata la posizione di D’Alema che ha «chiuso» le polemiche di chi lo descrive come ostile ad Israele. Ecco le domande poste ai quattro esperti.
1. Nell’intervista a l’Unità Massimo D’Alema ha posto tra i temi cruciali dell’azione internazionale dell’Italia, quello di riformulare le relazioni con gli Stati Uniti, tenendo conto della riconferma operata dal neo ministro degli Esteri del ritiro del contingente militare italiano dall’Iraq. Qual è in merito la sua valutazione?
2. L’altro dossier scottante sul tavolo del titolare della Farnesina riguarda il conflitto israelo-palestinese. D’Alema punta sul rafforzamento della leadership di Abu Mazen, anche in funzione anti-Hamas e critica l’unilateralismo di Israele. L’Italia può ambire a giocare un ruolo attivo in questa area nevralgica
Sostiene Sergio Romano:
Il governo Berlusconi ha viziato Israele. In altri termini, voglio dire che Israele si era abituato ad avere a che fare con un partner italiano molto, troppo accondiscendente. Accondiscendente, ad esempio, a quell'unilateralismo, che è stato il segno della politica di Ariel Sharon, che D'Alema contesta.
In realtà l'accettazione dell'unilateralismo israeliano rispondeva a una situazione di fatto: l'assenza di un interlocutore palestinese. Non era accondiscendenza, ma semplicemente giustizia nei confronti di Israele. Al quale non si chiedeva di "trattare" con chi perseguiva il progetto della sua distruzione , rifiutava ogni accordo e uccideva i suoi cittadini.
Per Lucio Caracciolo occorre:
sollecitare l'anima pragmatica di Hamas rinunciando quindi a mettere in quarantena un governo democraticamente eletto.
L'"anima pragmatica" di Hamas finora non ha dato segni di vita. Se esiste, non sarà certamente un riconoscimento senza condizioni del governo di Haniyeh a spingerla a venire allo scoperto. In quanto alle credenziali "democratiche" di Hamas, ricordiamo ancora una volta che le elezioni palestinesi si sono svolte in un contesto di completa anarchia militare e di sanguinose e continue violenze interpalestinesi. In quale democrazia al mondo i partiti politici dispongono di loro "milizie" armate?
Per Renzo Guolo:
occorrerebbe riequilibrare la politica estera italiana, nel senso di tornare a considerare i Palestinesi attori indispensabili per dare forma a qualsiasi negoziato nell'area.
Quali palestinesi? Anche i terroristi di Hamas che la pace non la vogliono per nulla ?
Più equilibrate le risposte di Stefano Silvestri, che riportiamo di seguito:
«Trasformare il rapporto con gli Usa da “personale” a strutturale»
Stefano Silvestri analista di politica internazionale
1. «Credo che si tratti in primo luogo di stabilire un rapporto di fiducia tra i due governi, probabilmente in maniera piu' strutturale rispetto al passato, quando il rapporto era soprattutto un fatto, o così comunque veniva presentato, personale tra Bush e Berlusconi. Questo significa in buona sostanza che bisognerà affrontare i dossier principali, partendo certamente dall'Iraq e dall'Iran, ma non tralasciando naturalmente anche l'Europa, la Russia, la Cina e così via, e su questi dossier occorrerà trovare delle formule, e non credo che ciò sarà particolarmente difficile, che confermino l'antica cooperazione tra Italia e Stati Uniti. Ritengo peraltro che la "questione irachena" aperta tra Roma e Washington non sia tanto legata alla presenza delle truppe italiane, che comunque se ne sarebbero andate tra poco, ma piuttosto al tentativo di trovare delle soluzioni per la stabilità del Paese. Questa ricerca, a mio avviso, deve coinvolgere anche i Paesi vicini all'Iraq. L'Italia ha buoni rapporti con alcuni di questi Paesi, e il governo Prodi, come sottolineato dallo stesso D'Alema, ha espresso la volontà di stringere accordi di cooperazione con il nuovo governo iracheno. In questo contesto, ci potrebbe essere una cooperazione che interesserebbe Washington di piu' della presenza di pochi soldati».
2. «D'Alema ha delineato molto bene i paletti entro i quali ci possiamo muovere, che sono essenzialmente quelli del mantenimento della posizione comune europea sia nei confronti di Israele sia nei confronti di Hamas e degli aiuti umanitari ai palestinesi. Al di là di questo, penso che ci potranno essere dei sondaggi politici, in primo luogo con Israele per capire quali prospettive reali per un rilancio del negoziato di pace possano venire dal governo israeliano, sondaggi analoghi potrebbero essere tentati con i Paesi arabi della regione, non tanto per aggirare il blocco dei contatti con il governo palestinese di Hamas, ma per continuare a vedere se ci può essere qualche evoluzione delle posizioni di Hamas che apra uno spiraglio di trattativa».
Di seguito, riportiamo intergralmente le risposte di Romano, Caracciolo e Guolo:
«Sì a rapporti europei più stretti per riformulare quelli con gli Usa»
Sergio Romano, ambasciatore
1. «Concordo con la necessità sottolineata da D'Alema di puntare ad un consolidamento dei rapporti con i Paesi europei, come Francia e Germania, trascurati dal governo Belusconi, per riformulare le relazioni con gli Stati Uniti. Ma a rendere più complicato il suo intento c'è il dossier-iracheno: a differenza di Francia e Germania, infatti, l'Italia ha truppe in Iraq che intende ritirare. Il ritiro del nostro contingente, a cui il governo Prodi non può sottrarsi, pena lo sfaldamento della sua maggioranza, non piace affatto alla Casa Bianca, tanto più che il ritiro dei soldati italiani avviene nel momento in cui George W.Bush è in maggiore difficoltà. Nell'immediato c'è da mettere in conto un raffreddamento delle relazioni, su cui pesa anche una diffidenza di natura ideologica dell'amministrazione Repubblicana statunitense nei confronti delle forze della sinistra ex o post comunista italiane. D'Alema è certamente un abile politico ma la prova che lo aspetta è tra le piu' impegnative e problematiche: mantenere un buon rapporto con gli Stati Uniti a fronte di una scelta, quella del ritiro dall'Iraq, che viene vista dall'Amministrazione Bush come un mezzo tradimento».
2. «Far pesare l'Europa nella definizione di una iniziativa politico-diplomatica volta a dare soluzione al conflitto israelo-palestinese: l'intendimento di Massimo D'Alema è ineccepibile se non fosse che il neoministro degli Esteri deve fare i conti con Israele che ha sempre guardato con diffidenza se non addirittura con marcata ostilità all'Europa "filopalestinese". C'è di piu'. Il governo Berlusconi ha viziato Israele. In altri termini, voglio dire che Israele si era abituato ad avere a che fare con un partner italiano molto, troppo accondiscendente. Accondiscendente, ad esempio, a quell'unilateralismo, che è stato il segno della politica di Ariel Sharon, che D'Alema contesta. Ma l'ostacolo piu' grande riguarda un dato incontestabile: Israele non vuole l'Europa come soggetto mediatore, affidando questo ruolo, per di più con pesanti vincoli, agli Stati Uniti. Vincere questa pregiudiziale non sarà facile».
«Sollecitare l’anima pragmatica di Hamas senza mettere in quarantena il governo»
Lucio Caracciolo direttore di "Limes"
1.«Intanto c'è un punto fermo che D'Alema mette e che mi pare fondamentale, cioè che un rapporto con gli Stati Uniti è tra due soggetti sovrani e paritari, anche se ovviamente di potenza molto diversa. Il problema specifico per D'Alema e il nuovo governo italiano non è tanto nel carattere politico di questo governo, quanto nella debolezza dell'attuale Casa Bianca. Dovremo comunque attendere le elezioni di mezzo termine (novembre 2006) per capire con quale Bush avremo a che fare nei prossimi due anni: se i Repubblicani dovessero perdere, Busha sarebbe l'anatra più zoppa tra le "anatre presidenziali" zoppe; se invece dovessero mantenere il controllo di almeno una delle due Camere, l'attuale presidente Usa sarebbe abilitato a svolgere una politica estera più incisiva e forse anche più aggressiva, ad esempio sul decisivo "fronte iraniano". Per quanto riguarda il ritiro italiano dall'Iraq, il diavolo si annida nei dettagli. Al momento pare che il ritiro sarà molto parziale. Resterà una missione civile, con compiti di natura politico-economica e di assistenza alla ricostruzione. Nel clima attuale questo significa mantenere almeno settecento soldati sul terreno per proteggere i nostri civili. In termini di sicurezza, si configura una missione piuttosto pericolosa».
2. «Noi potremmo agire soprattutto sul versante palestinese, parallelamente ad una azione moderatrice americana nei confronti di Israele. Non credo che convenga a nessuno una guerra civile palestinese, nel contesto di un dramma umanitario. Questo significa, in concreto, sollecitare l'anima pragmatica di Hamas rinunciando quindi a mettere in quarantena un governo democraticamente eletto. In ogni caso le soluzioni unilaterali non sarebbero soluzioni. Prima o poi il negoziato fra le due parti dovrà decollare di nuovo, se non altro per impedire che la crisi diventi esplosiva, intrecciandosi con l'altro fronte caldissimo su cui anche l'Italia dovrà agire, con gli strumenti della politica e della diplomazia, per evitare il peggio: mi riferisco al braccio di ferro in atto con Teheran sul nucleare
«Tornare a considerare i palestinesi attori indispensabili di quell’area»
Renzo Guolo studioso del mondo arabo
1. «Con gli Stati Uniti bisogna assumere una franchezza che non significa affatto sinonimo di contrapposizione. Le forze politiche che annodato vita al nuovo governo italiano hanno sempre ritenuto l'intervento in Iraq un'operazione gravida di rischi e di incognite, e dunque Washington conosce bene le nuove posizioni di Roma. Si tratta in ogni caso di farsi carico di una situazione che eviti ulteriori forme di destabilizzazione nella regione. Peraltro, anche il nuovo governo iracheno ha come asserita priorità il ritiro delle truppe straniere e quello della sicurezza, meccanismo che presuppone comunque l'evitare una precipitosa fuga dall'Iraq. Si tratta, invece, di mutare, come evidenzia D'Alema, il segno della nostra presenza, da prevalentemente militare a civile. Questa differenziazione ha probabilmente il merito di far comprendere a Washington come una maggiore considerazione del multilateralismo possa evitare che a cambi di governo corrispondano mutamenti di linea che mettano in difficoltà gli stessi Stati Uniti. In altri termini, la definizione di una partnership di pace tra Europa e Usa, può essere il terreno fecondo su cui il governo italiano potrebbe marcare una sua iniziativa a livello delle relazioni bilaterali e negli organismi internazionali».
2. «Intanto occorrerebbe riequilibrare la politica estera italiana, nel senso di tornare a considerare i Palestinesi attori indispensabili per dare forma a qualsiasi negoziato nell'area. Non si tratta dunque di sbilanciarsi in maniera tale da non considerare le ragioni di Israele bensì di inserire queste in una cornice che favorisca lo sbocco negoziale. In questo senso, il governo italiano deve restare fermamente allineato sulla posizione europea che lega una politica di aiuti piu' complessiva All'Autorità nazionale palestinese, fermo restando che proseguano quelli umanitari, al riconoscimento dello Stato di Israele da parte di Hamas, ma al tempo stesso bisogna parlare e premere con ciascuna delle due parti in campo. In questo senso l'Italia può avere un ruolo a cui in questi cinque anni ha abdicato».
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