Da La STAMPA di venerdì 19 maggio 2006, un articolo di Fiamma Nirenstein sugli scontri tra Hamas e Al Fatah:
A guardarli, fermi agli incroci di Gaza, la guerra fratricida sembra questione di ore. I «soldati» di Hamas, circa 3000, sono perfettamente equipaggiati: maglietta blu, divisa grigioverde, kalashnikov e caricatori. Fermano le auto per i controlli, come una legittima forza armata.Masecondo la legge palestinese non lo sono. La forza armata legittima è dall’altro lato della piazza, camicie aperte, aria tesa. Sono i soldati- poliziotti di Abu Mazen che, secondo la tradizione del Fatah di Arafat, rispondevano solo al presidente. Adesso il primo ministro Ismail Hanje, però, tramite il suo ministro degli Interni Said Sayem, ha messo in moto la milizia che dipende dal nuovo governo, guidata dal terrorista Jamal Abu Samadana, fatto ispettore generale e comandante delle nuove forze di sicurezza. Da mercoledì notte gli uomini di Samadana, in disprezzo degli ordini di Abu Mazen che intima di restituire il controllo alle sue milizie, hanno preso le piazze, le strade, gli incroci. D’altra parte le milizie armate di Abu Mazen, in particolare Forza 17, che nasce come guardia del corpo privata di Arafat, compiono autentici raid a cui Hamas risponde con la forza. È accaduto a Tulkarem dove l’auto del vice primo ministro Nasser Shaer è stata circondata e sequestrata dagli uomini del Fatah. Scontri che si sono riprodotti sia nella West bank sia a Gaza. Abu Samadana ha adottato la linea dura verso gli avversari interni e esterni e Hanje ha dimostrato di non tenere in alcun conto le intimazioni di Abu Mazen. Samadana, a capo del Comitato di Resistenza Popolare, ha ordinato per anni decine di attentati terroristici e rapimenti dal suo nascondiglio di Rafah, colpendo oltre a cittadini israeliani anche civili americani. Dopo aver ricevuto l’incarico, ha annunciato più volte che continuerà ad agire contro Israele con i suoi poliziotti e soldati, istituzionalizzando la già diffusa figura del «poliziotto-terrorista». Proprio ieri, mentre Gerusalemme era bloccata dall’allarme lanciato dall’intelligence su un paio di terroristi suicidi in giro per la capitale e la zona intorno a Gaza veniva colpita da sette Kassam, la Jihad islamica annunciava «una grande sorpresa» per Israele nei prossimi giorni dopo aver lanciato, mercoledì, un missile katiuscia dalle possibilità balistiche maggiori del solito. Così Israele si volge con minore titubanza del solito all’unica sponda possibile: Abu Mazen. Questo anche perché, alla vigilia della partenza del premier Ehud Olmert alla volta di Washington, il programma del «Rientro », come ora viene chiamato il piano di sgombero israeliano da parte dei Territori, richiede che Israele abbia le mani pulite circa la Road map: noi abbiamo provato a dialogare con i palestinesi, a non decidere unilateralmente lo sgombero, vuole poter dire con ragione Olmert, dato che Bush e soprattutto Condoleeza Rice così richiedono. E quindi Sa’eb Erakhat, il negoziatore palestinese, fa sapere che questa domenica a Sharm el Sheik durante il summit del World Economic Forum, Abu Mazen dovrebbe incontrare la ministra degli Esteri israeliana Tzipi Livni, che non nega e non conferma. Intanto Ehud Olmert ha dichiarato al ministro degli Esteri francese Philippe Doust Blazy che incontrerà il presidente palestinese: «Conosco le posizioni di Abu Mazen e lo rispetto, ma bisogna ricordare che rappresenta l’Autorità Palestinese guidata da Hamas e non è un privato cittadino». Hamas, ora che ha messo in campo le armi, conta sul sostegno della popolazione ma, aggirandosi per le strade dell’Autonomia, si comincia a percepire una serpeggiante ribellione verso un gruppo di potere certo meno corrotto del precedente, ma che con la sua scelta fanatica e violenta sta facendo peggiorare a vista d’occhio le condizioni di vita quotidiana.
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