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Corriere della Sera Rassegna Stampa
19.05.2006 Perché i palestinesi hanno votato per Hamas ? L'inconsistente risposta di Sergio Romano
scrivere per segnalarla al direttore

Testata: Corriere della Sera
Data: 19 maggio 2006
Pagina: 53
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Perché i palestinesi hanno votato per Hamas»

Sergio Romano sul CORRIERE della SERA risponde a un lettore su Hamas. invitiamo i lettori di Informazione Corretta a scrivere segnalando al direttore Paolo Mieli le frasi sottolineate nel testo che riportiamo più sotto. Ecco un modello di quello che si può scrivere:

Per Sergio Romano Hamas ha vinto le elezioni palestinesi "democraticamente",  e questo basta a legittimarla, nonostante sia una forza totalitaria e terroristica.
I palestinesi l'avrebbero votata perché non vedevano alternative, mentre  tra i gruppi presenti alle elezioni palestinesi, in realtà, ve ne erano di estranei sia alla corruzione dell'Anp che al terrorismo e  all'ideologia islamista e di distruzione di Israele propria di Hamas. E' dunque anche a favore del terrorismo e del rifiuto di Israele che sono andati i voti raccolti da Hamas.
Romano indica  anche "segnali incoraggianti" che fino ad ora , in realtà, non vi sono stati, dato che Hamas ha ribadito più volte con chiarezza i suoi obiettivi aggressivi e il proprio appoggio al terrorismo.

Ecco i testi della lettera e della risposta: 
 
Mi riferisco alla lettera sulle elezioni in Palestina e alla sua risposta «Politica estera: interesse nazionale e consenso popolare».
Mi meraviglia che non ci sia alcun accenno al terrorismo praticato ieri e oggi da Hamas, che rende assolutamente improponibile un qualsiasi confronto con la Cina o altri Paesi, dittatoriali o meno.
Ogni altra considerazione di ordine politico ed economico non può prescindere da una realtà basata sull'assassinio di civili innocenti!
Giuliano Fabrizio
giuliano-fabrizio@ fastwebnet.it

Caro Fabrizio, so che che la vittoria di Hamas nelle elezioni palestinesi ha suscitato l'indignazione e i timori di una larga parte dell'opinione pubblica occidentale. L'organizzazione è responsabile di una lunga sequenza di attentati terroristici e ha uno statuto che nega la legittimità dello Stato d'Israele. Molti pensano quindi che dovremmo condannare il suo governo e negare all'Entità autonoma qualsiasi assistenza finanziaria sino a quando il movimento non avrà rinunciato al suo programma radicale. Le propongo, tuttavia, di considerare la questione da un altro punto di vista. A differenza di altre elezioni dell'area mediorientale (in Egitto e in Iran, ad esempio) quelle palestinesi non hanno prestato il fianco all'accusa di brogli e manipolazioni. Ancor prima di manifestare la nostra indignazione per il risultato dovremmo chiederci quindi perché la maggioranza degli elettori abbia scelto Hamas. Credo che vi siano alcune ragioni, strettamente collegate. In primo luogo la politica unilaterale del governo Sharon ha escluso Mahmud Abbas da qualsiasi negoziato bilaterale e ha negato al successore di Arafat la possibilità di rivendicare, di fronte alla società palestinese, il merito di avere strappato a Israele qualche utile concessione. In secondo luogo Hamas è un movimento combattente, deciso a utilizzare per i suoi fini l'arma della violenza; ma non è corrotto, a differenza dell'apparato di Arafat, ed è anche una organizzazione assistenziale, responsabile di iniziative che hanno alleviato in questi anni le disperate condizioni della società palestinese. Chi ha votato Hamas lo ha fatto, a torto o a ragione, nella convinzione che il movimento fosse, in quelle circostanze, la sola scelta possibile. Per l'Europa e gli Stati Uniti le scelte, a questo punto, sono due. Possiamo sostenere che i palestinesi hanno votato male e punirli per avere scelto il partito sbagliato negando gli aiuti economici con cui la comunità internazionale ha contribuito alla sopravvivenza di una società che vive da sei anni in stato d'assedio. È quello che hanno fatto sinora Washington e, con qualche attenuazione, l'Unione Europea. O possiamo fare del nostro meglio per incoraggiare quei settori di Hamas da cui provengono segnali interessanti. In un articolo apparso recentemente nella New York Review of Books («Hamas: the last chance for peace?»,«Hamas, ultima possibilità di pace?»), Henry Siegman registra questi segnali e lascia comprendere, tra l'altro, che non è ragionevole chiedere ad Hamas il riconoscimento dello Stato israeliano nel momento in cui il governo di Gerusalemme persegue una politica unilaterale, diretta a ridurre progressivamente l'estensione del futuro Stato palestinese e la libera comunicazione tra le diverse aree di cui sarà composto. Aggiungo che Siegman è un esperto di questioni mediorientali al Council of Foreign Relations, è stato direttore generale del World Jewish Congress e riflette opinioni che sono diffuse in una parte della società israeliana. Non è la «voce degli arabi». È la voce di coloro a cui sembra che la strada imboccata dall'America, dall'Ue e da chiunque persegua la linea Sharon, non porti da nessuna parte.

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