Dalla prima pagina del FOGLIO di venerdì 19 maggio 2006. Si presti particolare attenzione al passaggio (sottolineato) sui sottosegretari scelti da Massimo D'Alema :
Roma. Romano Prodi parla di Iraq e subito l’opposizione si agita, si altera, reagisce. Romano Prodi parla della campagna irachena come di “un grave errore” e subito la spaccatura del paese e dei suoi rappresentanti torna livida. Il discorso al Senato del premier incaricato è stato un primo, acido assaggio di quel che sarà il dibattito sulla politica estera in Italia. Un caos. “Siamo orgogliosi della nostra partecipazione alle missioni di pace”, ha detto Prodi, ma “non abbiamo condiviso la guerra in Iraq”, che è “stata un errore” e “non ha risolto il problema della sicurezza”. Poi il premier si è fermato, dai banchi della Casa della libertà si è alzato un brusio, e allora, con voce più alta e il dito alzato, Prodi ha portato a suffragio della sua tesi nientemeno che l’ambasciatore americano a Baghdad, Zalmay Khalilzad, che “ha detto che l’intervento militare ha scoperchiato il vaso di Pandora”. La guerra in Iraq ha peggiorato tutto, perché “non si è risolto il problema della sicurezza”, anzi “si è complicato”. Nessun accenno alla deposizione di un dittatore come Saddam Hussein, anzi, sembra quasi che Prodi rimpianga quel periodo, come se fosse più sicuro e più districabile. La conseguenza naturale delle parole del premier non può che essere la parola magica che, dalla variegata coalizione del centrosinistra, è attesa sempre con torva speranza: il ritiro. “Il rientro del contingente italiano avverrà nei tempi tecnici necessari, definendone anche in consultazione con tutte le parti interessate le modalità, affinché le condizioni di sicurezza siano garantite”. Sollievo a sinistra, grugni a destra. Anche se non è chiaro che cosa s’intenda per “tempi tecnici necessari”, visto che anche il governo Berlusconi aveva già definito, in coordinazione con le autorità irachene e angloamericane, un piano di ritiro entro l’anno, a tappe, come stanno facendo tanti altri paesi coinvolti – a diverso livello – nel conflitto.
Il riferimento al ritiro potrebbe essere soltanto un mezzo per lusingare “the most left-leaning government”, il governo più a sinistra che l’Italia abbia mai avuto, come lo definisce l’osannato Economist in edicola oggi (suggerendo peraltro che potrebbe non durare a lungo).
L’ambasciatore Schnabel ci dice che
Prodi avrà un bel rapporto con Bush. E i sottosegretari agli Esteri?
Alcuni esperti di politica estera della sinistra, interpellati dal Foglio all’indomani della morte dei tre nostri soldati a Nassiriyah, avevano ammesso che le modalità e i tempi del ritiro non sarebbero sostanzialmente cambiati. Ma Prodi ha voluto comunque segnare una differenza, proprio mentre, dall’altra parte dell’Atlantico, il “partner americano” diceva, per bocca del segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, che “un ritiro frettoloso darebbe soltanto spazio ad al Qaida” e rimandava il dislocamento di 30 mila soldati.
Tempi e modi saranno dunque decisi insieme con tutte le parti interessate. Secondo Rockwell Schnabel, ex ambasciatore americano a Bruxelles, “Prodi avrà un ottimo rapporto con gli Stati Uniti”, perché, “come ha fatto gran parte dell’Europa”, sa che “una relazione forte non può che portare benefici”. Schnabel è ottimista, dice che la cosiddetta frattura transatlantica “si è ricomposta con la visita di George W. Bush in Europa nel febbraio del 2005” e che Prodi, da buon europeista, non ha motivo per discostarsi da questa linea che le due sponde stanno tracciando insieme. Sarà, ma la composizione del ministero degli Esteri appena definita non è proprio ispirata da un americanismo convinto. La maggior parte dei sottosegretari (sei, un record per la Farnesina) vede la Casa Bianca e la sua strategia come qualcosa di mostruoso e spaventevole. C’è Famiano Crucianelli, ex Prc ed ex leader dei Comunisti unitari ora al Correntone, che ha sempre chiesto al precedente governo di dire quanto avesse contato il petrolio nella partecipazione alla guerra e che, il giorno dopo l’attacco terroristico alla metropolitana di Londra, disse: “E’ intellettualmente disonesto, politicamente irresponsabile e moralmente disgustoso utilizzare l’attentato per giustificare una guerra illegittima, per chiamare alle armi l’occidente contro i nuovi barbari e per unirsi intorno alle scelte di guerra del presidente degli Stati Uniti”. C’è Patrizia Sentinelli, responsabile per l’ambiente del Prc e ora vice di D’Alema forse con delega alla Cooperazione, che alla fiaccolata per la liberazione delle due Simone disse: “La mobilitazione delle coscienze e delle persone contro la guerra e il terrorismo deve restare alta e costante. Ribadiamo con forza la necessità di rompere la drammatica spirale guerra-terrorismo e la necessità del ritiro delle truppe italiane che è la leva di questa mobilitazione e il primo punto del nostro impegno per la pace”. Poi c’è l’ex responsabile delle politiche latinoamericane dei Ds, Donato di Santo, molto vicino a Cuba e a Castro.
E non solo, si veda la recensione a un articolo pubblicato dal sito movimondo.org, che fa capo all'Ong che Di Santo dirige
Infine ci sono Bobo Craxi, Ugo Intini (anch’egli vice di D’Alema), tutti con una fama non certo filoamericana. Con una squadra così, la parola ritiro non può che essere una priorità per Prodi.
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