La miseria ai tempi del governo Hamas reportage di Fiamma Nirenstein
Testata: La Stampa Data: 17 maggio 2006 Pagina: 10 Autore: Fiamma Nirenstein Titolo: «Nell’ospedale dei pazzi di Betlemme senza cibo né medicine»
Su La STAMPA di mercoledì 17 maggio 2006 Fiamma Nirenstein decrive le condizionidi grave penuria nelle quali versa l'ospedale psichiatrico di Betlemme, indicando chiaramente le responsabilità del governo di Hamas e riferendo anche il malcontento della polazione palestinese verso gli islamisti. Ecco il testo:
na passeggiata nella miseria dei tempi del governo Hamas all’ospedale psichiatrico Doctor Said Kamal di Betlemme e di tutta la Cisgiordania, ed ecco che l’imperativo categorico contemporaneo di salvare l’uomo si presenta in tutta la sua dolorosa maestà. Un edificioon due ambiziose scale convergenti costruito dall’Imperatore Asburgico nel 1880, il corpo centrale fatiscente ma dotato di ali nuove, con un centro occupazionale ornato di arazzi ricamati alla maniera palestinese, foto di gite di gruppo e un grande ritratto di Arafat che sembra provenire dall’era giurassica. Oltre il muro del giardino si sentono ordini militari urlati della milizia palestinese che si esercita; di qua alcuni dei 160 malati passeggiano con pigiami o divise rosso bordeau scoloriti. E’ quasi mezzogiorno, e i malati trasportano pentoloni di alluminio per il pasto: in una, riso; nella seconda, riso; nella terza una minestra di cavoli e pomodori; nella quarta, riso; e alla fine, delle mele incredibilimente ondulate e stanche. L’urlo dei ricoverati L’ospedale è l’ombra di se stesso, un tempo ospitava sia arabi che ebrei, vi trovò la sua fine Zaza, la figlia dell’uomo che ricreò la lingua ebraica viva, Eliezer Ben Yehuda; la guerra l’ha travolto senza riguardo. Quando vi si rifugiò un gruppo di terroristi fra cui il capo dei Tanzim che sparavano su Gilo, Jalal Hamamra, il primo aprile del 2003, l’esercito israeliano li assediò nella ressa, nell’urlo dei ricoverati. Oggi, il blocco dei fondi a causa dell’avvento al potere di Hamas si vede subito nonostante il corpo medico e gli infermieri siano noti per la loro professionalità in tutto il mondo arabo: da tre mesi non c’è stipendio per nessuno, mancano le medicine, il cibo scarseggia. Arrivano alcuni parenti dei malati alla spicciolata portando generi di prima necessità da casa; ma sembra che la pubblicità data dai giornali ai guai creati dall’organizzazione fondamentalista islamica al potere sia tabù. Non si parla, gli ordini sono chiari: Hamas non ama che si racconti la parabola del suo potere come sofferenza della gente palestinese. Due psichiatre, una signora con collane e messa in piega, e una giovane col velo musulmano, si ritraggono, il dottore di turno si nega. Tagliate le razioni Alla fine Yussuf, responsabile di tutti gli infermieri, accetta di portarci in un’ala nuova, nel suo ufficio. Ha 43 anni, moglie e tre figlie di cui la maggiore di vent’anni, a casa sua non entra un soldo da tre mesi. Ha sentito che la Comunità Europea ha riunito i suoi ministri degli Esteri a Bruxelles lunedì, e che cerca una strada per alleviare la crisi umanitaria in corso. Yussuf sorride dell’idea che i soldi possano arrivare nelle sue mani direttamente: «Davvero? Riusciranno a inventarsi un meccanismo che ci restitutisca lo stipendio senza che finisca nella mani dei potenti? Beh, è meglio che si muovano, come ha detto oggi Abu Mazen, qui le cose vanno di male in peggio». Mi da la lista delle medicine che mancano: il Tegretol per l’epilessia, il Haledol, un antipsicotico di grande uso, il Cordyl per i cardiopatici... Certe medicine sono care, non si può più comprarle. Il mangiare è scarso, prima si consumavano 25 chili di riso al giorno, ora si è arrivati a dieci; un pollo si tagliava in sei parti, adesso in otto. Yussuf e assieme a lui la psicologa Ekram (nessuno, per le ragioni esposte prima, vuole dire il suo cognome) vestita in jeans e maglietta bianca, e Hanan, studentessa del terzo anno che fa volontariato nella terapia occupazionale, raccontano del senso di paura e di cambiamento che c’è fra i malati, di come la loro ansietà moltiplichi la depressione. «Non può durare così», Yussuf è esplicito e coraggioso: «Una settimana fa sono venuti due esponenti di Hamas. Sono tanto bravi nell’assistenza e nell’organizzazione dei bisognosi? Allora io li ho affrontati e proprio da qui, dall’ospedale dei pazzi, gli ho detto che pazzi sono loro che non vedono la realtà: Israele esiste, no? E allora riconoscetelo, per amor di Dio, e per amore del popolo. Intanto i fondi internazionali verrebbero sbloccati. Israele si calmerebbe. No, io non vedo che la gente diventi sempre più estremista e pro-Hamas per via delle sanzioni, semmai il contrario. Eravamo un ospedale a cui i malati arrivavano da Gaza, Ramallah, Nablus, Jenin, e anche dalla Giordania, dal Libano... Oggi, siamo isolati, i pazienti mentali di tutta la Cisgiordania soffrono da quando Hamas è al potere. Gliel’ho detto. E loro? Loro mi hanno risposto: facci una lista di tutto quello di cui c’è bisogno. Noi la portiamo a Gaza, e si vedrà di aiutare per tutto quello che è possibile».All’ospedale ci sono parecchi pazienti ricoverati dopo gli scontri con gli israeliani: ne incontriamo una dozzina, ognuno un ritratto tragico del conflitto. La paura e l’instabilità creano depressione e psicosi. Quiete è quello che cercano. Psicosi e dolore «Hanno un sacco di bisogni - dice Hanan -: vestiti, oggetti creativi, un bus per portarli a fare una passeggiata. Devono vivere». Parlando con Mohamed di Kabatia si impara che è depresso da quando ha preso le botte dagli israeliani, alto e secco vuole un po’ più di cibo, e di migliore qualità; lo stesso è capitato a Uael di Ramallah, che sta meglio qua dentro che con la moglie e i figli; Khaled ci spiega che lui è della Jihad Islamica, che è stato sei mesi in galera e che ora è all’ospedale perché è molto, molto stanco. In una decina siedono in una sala con il ping pong, un calcetto e la tv accesa. Tutti sono molto stanchi, tutti sembrano aver bisogno di una maglietta migliore, di un cibo decente, di medicine nuove. Tutti sono stati impigliati nel conflitto. Su di loro si posa il dilemma contemporaneo dei diritti umani, della povera gente che paga per una leadership ideologica e pericolosa. L’Ue, gli americani lavorano alla ricerca dell’uomo, di Yussuf e di Khaled, per salvarlo dalla fame e dalla malattia al di là di Hamas. E’ possibile? Nessuno ancora sa la risposta. Solo il dolore è noto.
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