La difesa dal terrorismo palestinese che diventa apartheid, la nascita dello stato di Israele che diventa la "nakba", la catastrofe dei palestinesi, la presenza dell'Olp in Libano che da occupazione da parte di una forza terroristica e innesco di una guerra civile (quale é stato in passato e quale potrebbe tornare ad essere), diventa una conquista democratica.
Sul MANIFESTO di martedì 16 maggio 2006 3 articoli riempono un'intera pagina di propaganda antisraeliana.
Di seguito," Israele ufficializza l'apartheid " di Michele Giorgio (si noti il capolavoro di ipocrisia e di malevolenza finale):
Una legge simile nel 1980 non l'aveva avallata nemmeno l'Alta Corte del Sudafrica dell'apartheid, perché la ritenne troppo discriminatoria e razzista». L'avvocato Hassan Jabarin, direttore dell'associazione Adalah di Nazareth, ieri non nascondeva la sua profonda preoccupazione per la decisione presa domenica dai giudici della Corte Suprema israeliana di confermare la validità della legge che proibisce il ricongiungimento familiare per i palestinesi dei Territori occupati sposati con arabi israeliani. «Siamo di fronte ad una deriva antidemocratica molto pericolosa e nessuno sa cosa affronteremo in futuro», ha denunciato il direttore di Adalah che assieme all'Associazione israeliana per i diritti umani aveva presentato appello contro l'emendamento del 2003, confermato l'anno scorso, della «Legge sulla cittadinanza» fortemente criticato anche da Amnesty International e dal Comitato dell'Onu per l'eliminazione della discriminazione razziale (Cerd). Domenica la maggioranza della Corte Suprema - 6 voti contro 5 - ha giudicato che i palestinesi di Cisgiordania e Gaza sono «stranieri di un'entità nemica» e costituiscono una minaccia alla sicurezza dello Stato. La minoranza, fra cui lo stesso presidente della Corte, il giudice Aharon Barak, invece riteneva che la «Legge sulla cittadinanza» nella sua forma attuale violi i diritti fondamentali del cittadino. Barak ha insistito sul diritto di ogni israeliano (ebreo o arabo che sia) di crearsi una famiglia in Israele, anche con un abitante dei Territori occupati. «Qui - ha scritto - è la sua casa, qui la sua comunità, qui le sue radici storiche, culturali e sociali». Parole che non hanno trovato consensi tra i tanti esponenti politici e delle istituzioni israeliane secondo i quali l'obiettivo sarebbe solo di impedire a dei palestinesi sposati con arabi israeliani di commettere attentati. Eppure le statistiche parlano chiaro: secondo il servizio di sicurezza interna israeliano, lo Shin Bet, appena 25 coniugi di arabi israeliani sono stati implicati negli ultimi anni in «attività terroristiche» sugli oltre 100mila palestinesi che si sono insediati in Israele. L'avvocato Orna Cohen, legale delle famiglie colpite dalla legge, ha immediatamente centrato il punto. «Questo argomento serve da pretesto per limitare la popolazione araba di Israele con una legge razzista, che ha conseguenze tragiche per migliaia di famiglie», ha commentato. «È inconcepibile - ha aggiunto il deputato Ran Cohen (Meretz, sinistra sionista) - che giudici ebrei abbiano accettato una legge che ha radici razziste». Secondo un recente sondaggio d'opinione, il 62% degli ebrei israeliani vorrebbero che il governo «incoraggiasse» l'emigrazione della minoranza araba (20% della popolazione). L'emendamento che nega la residenza ai coniugi palestinesi di cittadini arabi israeliani, è in vigore dal luglio 2003, ma le domande di ricongiungimento da parte delle famiglie interessate erano state congelate già dal maggio 2002, al culmine dell'Intifada. Stando a dati forniti dal quotidiano Haaretz, alla fine del 2004 le coppie coinvolte dalla legge erano tra le 16 e le 21mila. Le pesanti restrizioni in seguito sono state leggermente alleggerite nei casi di coppie in cui lei abbia più di 25 anni e lui più di 35 (le statistiche dell'Onu per i Territori occupati dicono che l'età media di coloro che si sposano è di 21 anni per le donne e 25 per gli uomini). È così accaduto che dal 2002 ad oggi migliaia di arabi israeliani sposati con palestinesi residenti nei Territori occupati sono stati costretti a scegliere tra vivere in Israele insieme al coniuge o lasciare il paese per stare vicino alla famiglia. Felice per la decisione della Corte Suprema è invece l'ex «colomba» Haim Ramon (passato dai laburisti a Kadima) ora ministro della giustizia. «A nessun Stato al mondo - ha detto Ramon - si chiede di accogliere cittadini di uno Stato o di un'autorità (l'Anp) col quale questo è in conflitto». Una motivazione che non regge. Tanti ebrei, ad esempio, arrivano in Israele provenienti da paesi nemici dichiarati dello Stato ebraico e, nonostante ciò, ottengono subito la cittadinanza. Il punto perciò non è lo «Stato nemico» o le questioni di sicurezza, ma il fatto che a richiedere la cittadinanza sono i palestinesi.
Difficile pensare che gli ebrei cacciati dai paesi arabi in quanto tali possano costituire un pericolo per la sicurezza di Israele, che ovviamente ha tutti i motivi per accoglierli.
Sempre di Giorgio é "I palestinesi commemorano la Nakba del 1948":
I palestinesi in Israele e nei Territori occupati hanno ricordato ieri con raduni e manifestazioni la nakba (catastrofe), ovvero la perdita della terra e l'esilio forzato di oltre 700 mila persone in seguito alla proclamazione dello Stato di Israele nel 1948. A Ramallah, al suono delle sirene, la popolazione ha osservato alcuni minuti di raccoglimento. Subito dopo si sono avute cerimonie solenni, una delle quali in Parlamento. Stesse scene a Gaza. In Galilea molti palestinesi si sono recati in visita ai ruderi di villaggi arabi distrutti dopo il 1948. Rispetto a quelle degli anni passati, le manifestazioni sono apparse in tono minore anche a causa delle enormi difficoltà economiche in cui versa la popolazione in Cisgiordania e Gaza per il blocco dei finanziamenti internazionali all'Anp e dei fondi palestinesi da parte di Israele, utilizzati per pagare gli stipendi a 160 mila dipendenti pubblici. La vigilia della nakba tuttavia è stata segnata da una delle giornate più cruente degli ultimi mesi in Cisgiordania. Domenica unità speciali israeliane hanno condotto due raid, a Jenin e nella vicina cittadina di Kabatya. Almeno sette palestinesi sono rimasti uccisi nelle incursioni, in prevalenza militanti armati, fra cui Elias Al-Askar (Jihad), ma anche un ufficiale di polizia dell'Anp e un civile. In serata il ministro della Difesa israeliano e leader del Partito laburista, Amir Peretz, ha «elogiato» i soldati impegnati nelle incursioni in Cisgiordania. Dal suo ufficio hanno precisato che il ministro «ha personalmente approvato l'operazione la scorsa settimana e ha seguito da vicino il suo svolgimento». Dando il via libera a raid militari sanguinosi e a bombardamenti su Gaza, Peretz cerca di conquistare simbolicamente quei gradi di alto ufficiale che non può vantare nel suo curriculum. L'impegno contro la povertà in Israele e per l'aumento del salario minimo ormai è solo un pallido ricordo. Nelle stesse ore la marina israeliana ha bloccato un carico di esplosivi e armi che, via mare, i trafficanti cercavano di far entrare a Gaza. Sempre domenica un ufficiale della sicurezza preventiva palestinese è rimasto ferito in un agguato nel campo profughi di Shati (Gaza). Un ragazzo di 12 anni che si trovava nelle vicinanze è stato colpito da un proiettile vagante. Secondo i medici restera' paralizzato. Commemorando la nakba il presidente palestinese Abu Mazen è tornato a proporre ad Israele la ripresa dei negoziati di pace. «Dobbiamo fare del 2006 l'anno della pace» ha proclamato in un discorso televisivo registrato prima della sua partenza per la Russia. Abu Mazen ha inoltre chiesto che venga tolto l'assedio internazionale che soffoca l'economia palestinese da quando ha assunto il potere Hamas a cui ha ricordato che «deve necessariamente accettare gli accordi sottoscritti in precedenza dall'Anp e riconoscere Israele». Un paio d'ore dopo il discorso alla nazione di Abu Mazen, un altro militante palestinese è stato ucciso in un attacco aereo israeliano a Khan Yunis
Si deve invece a Stefano Chiarini "L'Olp torna a Beirut, i profughi chiedono giustizia":
Per la prima volta dal 1982, ieri pomeriggio è stato riaperto l'ufficio di Beirut dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina chiuso dall'esercito israeliano il giorno di Sabra e Chatila, il 16 settembre del 1982. L'ha fatto l'ex ministro per gli affari dei rifugiati palestinesi Abbas Zaki che, giunto venerdi scorso nella capitale libanese, ha subito presentato le sue credenziali al ministro degli esteri Fawzi Sallouk, e ha incontrato il presidente Emile Lahoud (cristiano maronita), quello del parlamento Nabih Berri (sciita, leader di «Amal»), il leader degli Hezbollah, Sheik Hassan Nasrallah (sciita) e la parlamentare Bahia Hariri (sunnita), oltre ai rappresentanti di tutte le organizzazioni politiche e delle Ong palestinesi in rappresentanza dei 400.000 profughi che dal 1948 vivono in oltre 12 squallidi e dimenticati campi profughi. Una giornata storica, quella di ieri, arrivata, come spesso capita, in sordina, ma che avrà importanti conseguenze sia sulla situazione libanese che sulla vita dei profughi palestinesi. La riapertura della sede dell'Olp cade infatti in un momento nel quale Washington e Parigi sembrano, anche qui, soffiare sul fuoco dei contrasti confessionali per destabilizzare il paese, arrivare ad un disarmo della resistenza libanese e palestinese e a un trattato di pace separato con Israele, costringere i palestinesi ad emigrare lontano dal medioriente cancellando il loro diritto al ritorno, riprendere una sorta di mandato coloniale sulla Repubblica dei cedri e, soprattutto, usare il Libano come base per destabilizzare il governo di Damasco. La nuova sede si trova nel quartiere residenziale di Ramle el Baida, nella parte occidentale della capitale, non lontana dal campo profughi di Mar Elias, dall'Hotel Marriott e dal vicino e sinuoso lungomare. Non lontana infine dalla precedente, «storica» sede dell'Olp aperta nella capitale libanese nel 1964, quando venne fondata la centrale palestinese, all'angolo tra la Corniche el Mazra e jabal al Arab street. Quest'ultima è una piccola via, poche centinaia di metri dove non solo viveva Shafiq el Hout(e vive tuttora con la moglie, Bayan) rappresentante dell'Olp sino al 1993 - in realtà mai sostituito nonostante le sue dimissioni in dissenso con gli accordi di Oslo - ma dove si trovavano anche le abitazioni di molti altri dirigenti palestinesi e la sede del Movimento Nazionale Libanese. Una zona, come il resto di Beirut Ovest e dei campi palestinesi alla periferia sud, pesantemente bombardata - anche con bombe al fosforo - nei tre mesi di assedio israeliano. La nomina di Abbas Zaki ha incontrato il favore pressoché unanime, per l'orgoglio un po' di tutti i profughi in Libano di avere di nuovo qualcuno in grado di rappresentarli e di negoziare con lo stato settario libanese l'abolizione delle leggi discriminatorie a loro danno (proibizione di svolgere oltre 63 lavori e a possedere alcuna proprietà immobiliare), sia per la personalità di questo esponente palestinese già parte dell'ala progressista di al Fatah ed ambasciatore nella Repubblica democratica dello Yemen del sud. Dopo il ritiro delle truppe siriane, nella primavera scorsa, e la rimessa in modo del mondo politico libanese il dossier dei diritti civili palestinesi è stato riaperto ma sino ad oggi - al di là di una pur importante visita di ministri libanesi nei campi profughi - senza risultati concreti, anche per l'opposizione delle gerarchie ecclesiastiche cristiano-maronite, e di parte dell'establishment sunnita e sciita-moderato. Un atteggiamento che, coprendosi dietro il giusto rifiuto di una «naturalizzazione» dei palestinesi - che invece hanno diritto a tornare nella loro patria - in realtà nasconde atteggiamenti profondamente razzisti. Al centro dei colloqui tra Abbas Zaki e le autorità di Beirut vi sarà anche lo spinoso problema dell'autodifesa dei campi palestinesi - extraterritoriali dalla «rivoluzione» del 1969 - e quello di alcune basi militari dei gruppi filo-siriani al di fuori dei campi profughi
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