Il CORRIERE della SERA di martedì 16 maggio 2006 pubblica una lettera di Alberto Asor Rosa, docente universitario e possibile ministro dell'Università e della Ricerca nel governo dell'Unione.
Riportiamo il testo di questo scritto sconcertante:
Caro Direttore, considero l'intervista resa ieri al
Corriere da Claudio Morpurgo, presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane («Morpurgo: ministri D'Alema e Asor Rosa? Sì, ma con garanzie»), come un'indebita pressione sugli affari interni e sulla politica dello Stato italiano, e un pericoloso precedente.
Asor Rosa ignora che il presidente dell Comunità ebraiche italiane, al pari di coloro che rappresenta, é un cittadino italiano.
Le sue prese di posizione sulla vita politica italiana non possono dunque essere considerate "un'indebita pressione sugli affari interni e sulla politica dello Stato italiano" , a meno di non voler ripristinare le leggi razziali.
Alla stessa stregua, infatti, qualsiasi comunità religiosa o di pensiero o di potere, dalla Chiesa cattolica al consiglio degli Imam agli evangelici, ecc., a qualsiasi «circolo di affari», si sentirebbe in diritto di chiedere «garanzie» sulle personalità intellettuali e sulle culture (non, si badi, sui programmi politici) di tutti, indistintamente tutti i candidati ad un posto di ministro nel prossimo governo, o in quello futuro, o in qualsiasi altra forma di rappresentanza istituzionale. In un Paese come l'Italia, costretto da secoli a resistere alle ingerenze della Chiesa cattolica in innumerevoli vicende di questa stessa natura, non si sente il bisogno che si crei un altro sistema di «garanzie», che tende facilmente a trasformarsi in un sistema di «veti», più o meno chiaramente esplicitati.
Sarebbe clamoroso che si potesse sospettare che un candidato ad una delle prossime cariche di governo sia eliminato perché non risponde ad uno di questi due sistemi invece che per un motivo diverso e migliore (perché, ad esempio, si è verificato che esiste un candidato più preparato e/o più prestigioso di lui).
Il mio discorso potrebbe finir qui,
perché è di principio. Nessun posto di ministro vale per me un atteggiamento di dissimulazione e di compromesso su tali materie. Se vado avanti, è perché ritengo d'essere oggetto di una forma particolarmente acuta d'intolleranza da parte di personalità e gruppi della comunità ebraica (di intolleranze ce ne sono di tutti i tipi, si ammetta che può essercene una di questa natura).
Asor Rosa é lo stesso che ha scritto che "Gli ebrei da razza perseguitata sono diventati razza persecutrice. Tuttavia, é lui ad essere oggetto "di una forma particolarmente acuta d'intolleranza" di "natura" ebraica.
Una frase senza pudore.
Poiché la cosa colpisce a fondo uno dei gangli vitali della mia storia intellettuale e morale, colgo l'occasione (solo l'occasione, senza secondi fini) per tentare di chiarirne (di chiarirmene) le ragioni.
Considero l'antisemitismo una delle manifestazioni peggiori della storia umana: esso, infatti, secondo me, «non è una forma qualsiasi di razzismo, anzi, forse non è neanche razzismo nel senso proprio e limitato del termine. E' piuttosto il terrore, folle, cieco e violento, che la ragione umana prova di fronte alla materia intelligente che osa resisterle: come il desiderio di cancellare il proprio limite, il limite alla propria sconfinata volontà di potenza (che è il più tipico e diffuso «delirio dell'Occidente») (La guerra, p.98).
Avendo passato la mia vita, sul campo e nei miei scritti, a combattere l'antisemitismo, meriterei più rispetto.
La causa ebraica non coincide però con quella dello Stato d'Israele. I miei critici più severi, invece, non fanno che confondere le due cose.
Lo stesso Morpurgo, in quest'ultima intervista come del resto in tutte le sue precedenti esternazioni, riprende puntualmente, attribuendo loro il medesimo valore, i termini di «antisraeliani» e «antiebraici». No, mi dispiace, i due termini non sono equivalenti. La solidarietà assoluta alla causa ebraica non cancella il laico diritto di critica alle scelte politiche e ideologico-culturali di Israele, Stato storico istituzionalmente fondato, di natura e valore assolutamente analoghi a tutti gli altri Stati mondani esistenti, e quindi soggetto all'errore, talvolta, ahimè, in maniera clamorosa. Potrei anzi aggiungere che è proprio l'identificazione tra le due cause ad aumentare paradossalmente forme pericolose di antisemitismo a sinistra.
E' proprio Asor Rosa che ha confuso per primo i due piani, passando dalla critica a Israele alla descrizione di una "razza ebraica" che da perseguitata diventa persecutrice
I
Inoltre. Poiché, come dicevano i miei padri, dove c'è sofferenza c'è Cristo, nessuno può impedirmi di vedere che, allo stato attuale delle cose, Cristo convive anche con il popolo palestinese, ed è lui che ci chiede di ascoltarlo nelle sue buone ragioni (e finché sono buone), e di lenirne le sofferenze. Almeno così io la penso: e (vorrei non lo si dimenticasse) in questo non sono il solo.
Per Asor Rosa gli israeliani non soffrono delle stragi perpetrate dal terrorismo palestinesi. Le ragioni dei palestinesi restano "buone", a dispetto di questi crimini, del rifiuto di riconoscere Israele e di accettare un compromesso territoriale.
Solo lo stato barbarico dei rapporti invalsi ormai fra noi può consentire di chiedere a uno come me di condannare esplicitamente vignette idiote, bandiere bruciate, coretti blasfemi che associano lo Stato d'Israele a quello nazista, e altra immondizia di questo genere. Ma sia: lo dico apertis verbis
per fare totale e definitiva chiarezza: queste cose mi fanno ribrezzo e schifo.
Il punto vero, però, è quello che vorrei chiamare la «ricerca del rimedio»: quali che siano il sanguinoso contenzioso pregresso, e l'enorme mole delle ragioni degli uni e degli altri, «non si può neanche in questo caso reagire alla violenza con la violenza e pretendere che all'ingiustizia della fondazione dello Stato d'Israele faccia seguito l'ingiustizia della sua eventuale distruzione e cancellazione oggi» (La guerra, p.192).
Per Asor rosa, come per Ahmadinejad, la creazione dello Stato di Israele é stata un "ingiustizia"
Dunque, non ci resta che la formula dei «due popoli, due Stati», sulla quale conviene gran parte della sinistra italiana ed europea.
Certo — e non è poco — si tratterebbe di farla passare dalla mera teoria, cui è consegnata da troppo a lungo, alla realtà: e su questo, mi pare, poiché rientriamo in un campo politico-pratico, non possono che tornare a confrontarsi opinioni e linee diverse — oppure ce n'è una che pregiudizialmente ha diritto d'esser considerata la più valida? —. Quanto ai rapporti con le università israeliane, io sono persuaso da sempre che gli scambi interni alla comunità scientifica preparano e anticipano quelli fra i governi e persino tra i popoli, e perciò vanno salvaguardati e favoriti in tutti i modi. Ero, sono stato e resto di quell'opinione.
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