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La Repubblica Rassegna Stampa
13.05.2006 Finanziare Hamas per "motivi umanitari"
continua una cinica campagna mediatica

Testata: La Repubblica
Data: 13 maggio 2006
Pagina: 21
Autore: Alberto Stabile
Titolo: «Gaza, l´agonia degli ospedali le sanzioni bloccano i farmaci»

L'"agonia degli ospedali di Gaza" provocata dalle "sanzioni" di Israele e della comunità internazionale é il tema dell'articolo di Alberto Stabile pubblicato da La REPUBBLICA di sabato 13 maggio 2006.
In realtà, non esiste nessuna sanzione. Solo un blocco dei finanziamenti al governo di Hamas assolutamente doveroso, a  meno che non si vogliano finanziare gli attentati contro i civili israeliani  effettuati direttamente da Hamas quando l'attuale "calma" sarà revocata o "subappaltati" ai Comitati di resitenza popolare" come avviene oggi (vedi israele.net).
Il valico di Karni viene chiuso (altra causa, secondo Stabile, della crisi)  in seguito a tentativi di attentati (l'ultimo a fine aprile)
Non esiste nessuna volontà, da parte di Israele, di punire la popolazione palestinese.
Al contrario, esiste la volontà dei gruppi terroristici di colpire civili e militari israeliani, anche imponendo alti prezzi ai palestinesi.
Israele ha comunque accettato di far giungere finanziamenti e aiuti alla popolazione attraverso Abu Mazen, e persino (é notizia di ieri 12 maggio e la redazione di REPUBBLICA avrebbe dovuto conoscerla nel momento in cui pubblicava l'articolo di Stabile) di fornire medicine gratis agli ospedali di Gaza.

Ecco il testo (con ulteriori commenti):

     
GAZA - Chi glielo spiegherà a Halam e Mariam, due sorelline di 15 e 11 anni, venute dal villaggio di Beit Hanun a lavare il loro sangue malato al reparto urologia dell´Ospedale Shifa, di Gaza, che è per combattere il governo di Hamas se presto non potranno più fare l´emodialisi e la loro vita sarà a rischio, come quelle di altre decine di uomini, donne e bambini, nelle loro stesse condizioni?
Siamo venuti a Gaza per capire l´effetto delle cosiddette sanzioni economiche imposte al governo eletto guidato da Hamas e ci ritroviamo in una città depressa, sprofondata nel suo sarcofago di sabbia. Sui pali della luce sventola il gran pavese della lotta intestina, bandiere gialle, verdi, nere, logorate dal vento attestano, coi ritratti dei "martiri", la contesa sanguinosa e perdente tra Fatah, Hamas, Jihad islamica: anche stamattina s´è sparato da una parte e dall´altra nonostante le solenni promesse di tregua.
A giudicare dalle vetrine, la città non appare più povera di quanto non sia sempre stata. I negozi sono pieni di tutto il necessario, tranne che degli avventori. Non ci sono soldi per comprare. A causa del blocco degli aiuti internazionali, gli stipendi dei dipendenti pubblici non vengono pagati da due mesi.
Ma la chiusura (seppur di una chiusura a singhiozzo si tratti) del valico commerciale di Karni, ha messo in ginocchio anche il settore privato (tessile, agricoltura, costruzioni).

perché Stabile non indica i motivi per i quali il valico viene chiuso?

 «Piuttosto che uscire ed andare in giro per negozi senza poter fare acquisti - dice Mohammed Dawass, la nostra guida da anni - la gente preferisce stare tappata in casa».
Ma niente come lo Shifa Hospital, il più grande nosocomio non soltanto di Gaza ma di tutti i Territori sotto giurisdizione dell´Autorità Palestinese, con i suoi 600 letti e 2000 pazienti che vi affluiscono ogni giorno, illustra la sofferenza imposta dal regime delle sanzioni. Ne risulta comprovato il teorema, molte volte e in altri angoli del Medio Oriente dimostrato, che le sanzioni dirette contro i governi feriscono in realtà la popolazione civile e in definitiva, colpendo i più deboli, rafforzano quei governanti che si vorrebbe scalzare.
Reparti e corsie sono affollati di cronisti e telecamere, e conoscendo il pudore dei palestinesi, e degli arabi in generale, verso la malattia tutto appare stranissimo. Ma non è questa stessa ostentazione un indizio del degrado in cui è scivolato il conflitto? Il corpo malato come arma di lotta politica, di riscatto.

Non sarà, più semplicemente, che i media si tenevano lontani  dalle istituzioni sanitarie palestinesi quando la loro presenza non serviva a nessuno scopo propagandistico?

«Basta attaccare i medici», è scritto su uno striscione sospeso fra due pali al centro del cortile. Perché molte volte, in passato, la furia delle fazioni e dei parenti, s´è scagliata contro i sanitari innocenti e questo cortile, che somiglia alla piazza d´armi di una caserma coloniale, circondato di edifici bassi, dalle pareti bianche, è stato teatro molte volte di sparatorie.

Non ci sarà stato qualche problema di mafia, di drammatica inefficienza, oltre che di tracotanza della "fazioni armate" palestinesi a determinare questi assalti ai medici? Perché Stabile e i suoi colleghi non hanno mai ritenuto utile raccontarci queste realtà e sono arrivati all'ospedale di Gaza solo ora? 

Oggi, però, non è lo scontro interno, fra palestinesi, a richiamare frotte di cronisti all´ospedale di Gaza. «Siamo a secco di certi tipi di medicine - dice sconsolato nel suo ufficio, il dottor Jumaa al Saqqa, chirurgo generale e direttore delle Pubbliche relazioni del nosocomio - la cui mancanza mette a rischio la vita dei pazienti. Parlo del reparto urologia dove stiamo esaurendo le scorte di Erytropidina e Alfa D3, e del reparto oncologia, dove abbiamo già dovuto cessare ogni trattamento chemioterapico».
Secondo il medico, quattro persone malate d´insufficienza renale sono morte a causa della penuria di farmaci. «Per poter continuare a curare i nostri 227 pazienti che necessitano di emodialisi abbiamo dovuto ridurre le procedure richieste da ognuno da tre alla settimana a due. Questo induce complicazioni talvolta gravissime».
Non si tratta di dati forniti soltanto da fonti palestinesi. La sezione israeliana dell´Organizzazione Physicians for Human Rights (Medici per i diritti umani), ha denunciato la spaventosa situazione di Gaza in un suo rapporto reso pubblico la settimana scorsa. Nel rapporto si spiega come bloccare i finanziamenti diretti al ministero della Sanità palestinese, in quanto parte del governo guidato da Hamas, per indurre gli integralisti ad accettare le tre condizioni imposte dalla Comunità internazionale (riconoscimento d´Israele, cessazione della violenza e del terrorismo, accettazione degli accordi passati) significhi paralizzare il 64,5 per cento del fabbisogno sanitario dei palestinesi.

 A parlare, senza indicarne le generalità rendendo possibile accertare la veridicità della storia, di pazienti morti sono evidentemente solo le fonti ospedaliere palestinesi.

La Sanità pubblica palestinese gode, infatti, di sette milioni e seicento mila dollari di finanziamenti, a parte i salari degli operatori, impiega 11 mila dipendenti (il 57 per cento di tutta la forza lavoro impegnata nel sistema sanitario) e sostiene per intero le spese di circa ventimila pazienti obbligati, per le carenze del sistema palestinese, a curarsi fuori dai Territori. In Egitto, in Giordania e in Israele.
Le chiusure imposte da Israele, dopo la vittoria di Hamas alle elezioni, secondo le autorità sanitarie palestinesi ha comportato che negli ultimi mesi 274 pazienti siano stati respinti. Anche se i vari casi ubbidivano ai criteri di sicurezza imposti: età superiore ai 40 anni e la previa approvazione al trasferimento da parte di un ospedale israeliano.
Nel reparto oncologia dello Shifa Hospital incontriamo Rami Ghof, un pubblicista palestinese che ci segnala il caso della sorella; Rimah Majdalwish, 47 anni tre figli, colpita da tumore al polmone, in procinto di essere trasferita all´ospedale Tel Hashomer di Tel Aviv, ma bloccata al confine di Heretz. L´esistenza di parecchi altri casi analoghi, ci viene confermata dal direttore della sezione di Gaza della Croce Rossa internazionale, Georgios Georgiantas.
Ma è nelle corsie del reparto urologia che si confondono dolore ed emergenza. «Anche le sonde e i filtri delle macchine stanno per esaurirsi», dice Mazel al Alul, un paramedico incaricato di accompagnarci. E´ subito chiaro che sono i pazienti più poveri a pagare il prezzo più alto.
Distese su due lettini paralleli, Mariam e Hala hanno braccia e gambe avvolte da tubicini trasparenti, collegati alla macchina per la dialisi. Sprofondati nella pelle ingrigita della malattia i loro occhi appaiono smarriti. Zahar Shahat, uno donna che da anni assiste il marito nel suo calvario settimanale, e per questo qui conosce tutti, ci dice che le due sorelline, appartengono ad una famiglia poverissima. Al punto che l´ambulanza della pietà pubblica deve andare a prelevarle a casa ogni settimana per portarle in Ospedale.
Persa in una lettiga coperta con un lenzuolo sporco, arriva una bimba di pochi mesi accompagnata dai genitori in lacrime e dalla dottoressa Nahla, del Nasser Hospital, l´ospedale dei bambini. La bimba, Hala, di dieci mesi, ha avuto appena diagnosticata una grave insufficienza renale. Si agita in preda a misteriosi dolori che non può dire. Il padre le carezza i capelli. Sarà messa a turno per la dialisi, fino a quando le medicine basteranno per tutti.

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