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Il Foglio Rassegna Stampa
12.05.2006 Il coraggio di pensare
Wafa Sultan vive nascosta per le minacce islamiste, ma continua a combattere

Testata: Il Foglio
Data: 12 maggio 2006
Pagina: 2
Autore: Toni Capuozzo
Titolo: «Lo sfogo di Wafa sull’islam d’oggi diventerà un libro, ma lei vive nascosta»

Un articolo da pagina 2 dell'inserto del FOGLIO di venerdì 12 maggio 2006 :

Alcuni pensano che saranno le donne a scardinare la deriva fondamentalista dell’islam, riconciliandolo con la modernità, la democrazia, i diritti dei singoli. Altri ritengono che l’islam sia irriformabile, e che il fondamentalismo, sia pure spiegabile con frustrazioni storiche contingenti, sia contenuto, in nuce, nel corpo dottrinario. Wafa Sultan mette d’accordo entrambi, o dà torto a entrambi. Perché è donna e sostiene che occorre buttare via il bambino con l’acqua sporca. Orient Express, il programma televisivo che ho in cura, insieme con Fiamma Nirenstein e Magdi Allam, mandò in onda, alla sua prima puntata, due mesi e mezzo fa, parte del dibattito televisivo che il 21 febbraio di quest’anno, su al Jazeera, cambiò la vita della psicologa siriana diventata cittadina americana. Ricevemmo molte lettere e i due più diffusi quotidiani italiani le dedicarono un ritratto. Le sue parole, quel giorno, lasciarono basito il conduttore del talk-show e le guadagnarono un’accusa di eresia da parte del chierico islamico che era l’altro ospite della trasmissione. Voglio riportare un passaggio di quel dibattito, uno dei molti in cui Wafa, che doveva aver trattenuto dentro di sé a lungo rabbia e disperazione, disse cose che facevano giustizia non solo della sua rabbia e della sua disperazione, non solo della sordità del suo interlocutore, ma anche di molti ingannevoli wishful thinking, di tante chiacchiere politicamente corrette sull’islam moderato. “Lo scontro cui stiamo assistendo nel mondo non è un conflitto di religione, né uno scontro di civiltà. E’ uno scontro tra due opposti, tra due ere dell’umanità. E’ uno scontro tra una mentalità che appartiene al medioevo e una mentalità che appartiene al XXI secolo. E’ uno scontro tra civiltà e arretratezza, tra il civilizzato e il primitivo, tra la barbarie e la ragione. E’ uno scontro tra la libertà e l’oppressione, tra la democrazia e la dittatura, è uno scontro tra i diritti umani da una parte e la violazione di questi diritti dall’altra, uno scontro tra chi tratta le donne come bestie e quelli che le trattano come esseri umani. Quello cui assistiamo oggi non è uno scontro di civiltà. Le civiltà non si scontrano, competono tra loro”. Quel dibattito in cui Wafa disse queste e altre cose semplici e forti e le disse in arabo, nella televisione più vista nel mondo arabo, le è valso milioni di contatti via Internet – la scena è stata allegata a migliaia di mail – le ha guadagnato il mormorio sorpreso di tutti quei musulmani che la pensano confusamente allo stesso modo ma non avevano mai osato confessarlo neppure a se stessi, e le ha procurato offese e minacce di morte tali da saturare la sua segreteria telefonica. Per le cose che ha detto, paragonando il modo in cui ebrei e musulmani hanno reagito alle loro tragedie (“Gli ebrei sono sopravvissuti alla loro tragedia e obbligato il mondo a rispettarli grazie alla loro cultura, non grazie al terrorismo, con il loro lavoro, non con il loro lamento… non s’è mai visto un ebreo farsi esplodere in un ristorante tedesco, né si è mai visto un ebreo protestare uccidendo la gente… solo i musulmani difendono i loro principi bruciando chiese, uccidendo persone, assaltando ambasciate… questo non ci condurrà a nulla. I musulmani devono chiedere a se stessi come possono contribuire all’umanità, prima di domandare che l’umanità li rispetti”), è oggi probabilmente più benvenuta a Tel Aviv che nella sua città natale, Banias, in Siria. Dove è cresciuta in una famiglia tradizionale e dove la sua vita ha iniziato a cambiare. Era una giovane studentessa di medicina ad Aleppo, nel 1979, quando i Fratelli musulmani fecero irruzione in un’aula e uccisero il professore, urlando: “Dio è il più grande”. Ci vollero dieci anni, a lei, al marito e ai due figli per ottenere un visto per gli Stati Uniti. In pochi, duri anni, sono una famiglia normale: i figli, diventati tre, vanno alla scuola pubblica, il marito gestisce un’officina, lei fa il medico. Cittadini americani, ma con un debito rispetto al proprio passato. Che lei cercò di pagare scrivendo per un sito musulmano riformista, ciò che le valse l’invito a un primo talk show di al Jazeera, l’estate scorsa. Fu la premessa del successivo, esplosivo outing di febbraio, quando il suo interlocutore, Ibrahim al Khouli, egiziano, la accusò di eresia e blasfemia, il conduttore non riuscì a zittirla, e in sala regia nessuno ebbe il coraggio di sospendere la trasmissione. Ora la quarantasettenne Wafa vive seminascosta, ma non ha mollato, sta scrivendo un libro. Non piacerà, dalle nostre parti, le cose che dice sono un po’ troppo dirette, e puntano il dito sulla dottrina, sulla sua interpretazione sin dalle origini. E parlano di lei stessa, della sua vita, con un candore provocatorio, come quando rispose al suo interlocutore: “Cosa vuole da me? Che parli della società americana come di un demonio? Non ho mai detto che questa è la città eterna di Platone. E’ semplicemente la città eterna di Wafa Sultan. L’idealismo della società americana mi ha permesso di realizzare la mia umanità. Ed ero venuta qui piena di paura”.

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