EUROPA del 12 maggio 2006 pubblica a pagina 7 un articolo di esaltazione del terrorista palestinese Marwan Barghouti e di una sua proposta politica che, oltre ad essere stata comunque rifiutata da Hamas, alla quale era rivolta, non era affattto pacificatrice, ponendo come condizione per un accordo con Israele il rientro dei profughi ( e la conseguente fine di Israele come Stato a maggioranza ebraica ), oltre alla liberazione di "detenuti politici" che sono in realtà terroristi.
Come del resto quello che EUROPA definisce il "Mandela palestinese". ricordiamo che Barghouti é stato condannato per cinque omicidi ed è stato il fondatore e leader della brutale organizzazione Tanzim, cui facevano capo le Brigate Al Aqsa, responsabili di numerose stragi di civili israeliani.
Ecco il testo:
Nel 2003 Marwan Barghouti, dal carcere israeliano dove sta scontando cinque ergastoli, dirigeva estenuanti trattative con un telefono cellulare per cercare di raggiungere una tregua che sancisse uno stop degli attacchi delle fazioni palestinesi contro Israele. Oggi, sempre dalla sua minuscola cella, l’ex leader dei Tanzim, il “Mandela palestinese”, torna ad animare la vita politica palestinese, di cui molti lo vorrebbero protagonista. Insieme ad altri leader in prigione di Hamas, dello Jihad islamico, del Fronte popolare e del Fronte democratico di liberazione della Palestina, ha scritto un documento nel quale invita tutte le organizzazioni palestinesi ad agire in direzione di un accordo per uno stato palestinese indipendente basato sui confini del 1967 e con Gerusalemme est capitale. Altra condizione è che venga garantito il diritto al ritorno dei profughi palestinesi del 1948 e la liberazione di tutti i detenuti nelle carceri israeliane. Il testo riconosce dunque, seppur implicitamente, la soluzione dei due stati, palestinese e israeliano. Nel documento si sottolinea allo stesso tempo il diritto di resistenza contro Israele, ma soltanto entro i confini territoriali palestinesi, conosciuti come la Linea Verde. Barghouti suggerisce poi ad Hamas e Al Fatah di «unirsi per la causa palestinese » convergendo in un unico grande movimento, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (ombrello che tuttora include tutte le associazioni della diaspora palestinese) che diventerebbe l’unico attore autorizzato a negoziare con lo stato di Israele.
Si tratta di uno sviluppo di particolare importanza nel dibattito interno palestinese, in particolare in Hamas che già rispetta una tregua unilaterale con Israele da oltre un anno ma che non ha ancora riconosciuto il diritto all’esistenza dello stato ebraico e non intende rinunciare alla lotta armata.
«Questa iniziativa è molto importante» perché ha alla base «una visione politica realistica che rispecchia il mio modo di vedere le cose». Così Abu Mazen ha annunciato la sua sottoscrizione al documento. Questo gli permette anche di diminuire gli episodi di contrasto con la «nuova guardia» all’interno di Al Fatah che fa a capo a Barghouti.
Ai vertici di Hamas invece la sorpresa è stata grossa.
Un indispettito Mushir Masri, il più autorevole esponente della nuova generazione del gruppo islamico, ha espresso dubbi sulla presunta paternità della proposta.
«Trovo molto strano che esponenti di Hamas abbiano firmato quel testo perché il nostro movimento ha discusso e approvato a larghissima maggioranza la piattaforma politica decisa prima delle elezioni che non contiene alcun riconoscimento di Israele», ha dichiarato. Il grado di coinvolgimento di Hamas a questa iniziativa lo si conoscerà probabilmente quando saranno note le reazioni dei dirigenti in esilio, in particolare del capo dell’ufficio politico, Khaled Mashaal. «È difficile credere che sia davvero genuino questo documento che peraltro assegna all’Olp un ruolo di supremazia che i vertici di Hamas contestano e che vorrebbero ridimensionare», ha commentato l’analista palestinese Hisham Ahmed. Altri analisti, tuttavia, sostengono che in Hamas lo scontro tra l’ala pragmatica e quella integralista sia ormai incandescente e che i primi temano una emorragia di consensi a causa delle posizioni di chiusura espresse dal movimento che hanno portato la comunità internazionale a boicottare l’Anp.
Calo di consensi che sarebbe già in atto. Secondo un sondaggio, pubblicato dal giornale al-Hayat al-Jadida, il 41 per cento dei palestinesi vede di buon occhio Al Fatah (il 34 per cento un mese fa), mentre Hamas è sceso al 35 per cento (43 per cento in precedenza). Dai risultati di un altro sondaggio, condotto su un campione rappresentativo della popolazione palestinese adulta dal Centro palestinese di opinione pubblica, risulta che il 61,7 per cento dei palestinesi ritiene il governo Hamas non in grado di assicurare posti di lavoro ai disoccupati. Dal sondaggio, tra l’altro, esce fuori che un terzo dei palestinesi è pronto a emigrare a causa della gravità della crisi economica.
Le difficoltà economiche rappresentano, infatti, la preoccupazione maggiore per il 32,6 per cento degli interpellati; la situazione della sicurezza per il 30,5 per cento; la situazione della sanità per il 19,7; il futuro in genere per il 17,2 per cento.
Nella striscia di Gaza, intanto, continuano senza sosta gli scontri fra i miliziani di Hamas e quelli di Al Fatah.
Non ha sortito, per il momento, alcun risultato la dichiarazione congiunta dei due movimenti nella quale si erano pronunciati per una fine degli incidenti fra i militanti dei due campi e avevano dichiarato «fuorilegge» l’uso delle armi fra i loro sostenitori. Ieri si è continuato a sparare. Il bilancio parla di quattro feriti, due per parte.
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