Tre opinioni sulla minaccia iraniana irresponsabile quella di Sergio Romano
Testata: Il Foglio Data: 12 maggio 2006 Pagina: 3 Autore: la redazione Titolo: «Silvestri, Romano e Parsi analizzano l’appello fogliante sull’Iran»
Il FOGLIO di venerdì 12 maggio 2006 interpella gli analisti Vittorio Emanuele Parsi, Sergio Romano e Stefano Silvestri sulla crisi iraniana. Segnaliamo le parole sorprendenti di Sergio Romano (sottolineate nel testo), per il quale l'Iran, sarebbe "minacciato" dagli Stati Uniti, ogni decisa politica di dissuasione sulla questione nucleare sarebbe da rigettare in quanto accrescerebbe i sentimenti di ostilità verso l'Occidente di un popolo che ancora ricorda il golpe contro Mossadeq, definito "anglo-americano" (sicuri che, dopo 50 anni, gli iraniani non abbiano altri problemi, per esempio il loro attuale regime?). Per Romano la mancata collaborazione dell'Iran con l'Agenzia atomica internazionale equivale alla mancata collaborazione del Brasile... Evidentemente l'ex ambasciatore ignora volutamente le minacce di distruzione del regime a Israele. Alle tesi irrealistiche di Romano si contrappongono quelle equilibrate di Sergio Silvestri che suggerisce un'auspicabile linea della fermezza diplomatica. Ecco il testo:
Roma. Ieri il presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, ha detto che “un giorno questo regime sparirà”, facendo naturalmente riferimento allo stato di Israele. Poi ha affermato di voler dialogare con tutti, “ma se uno ti punta la pistola in faccia tu che cosa vuoi fare, parlare?”. Poi un suo emissario ha precisato che sì, il dialogo è aperto, ma tutto quel che riguarda uno stop all’arricchimento dell’uranio imposto dall’occidente è fuori discussione. Come ha detto George W. Bush, commentando la lettera fiume spedita da Ahmadinejad, l’Iran continua a non rispondere alla domanda che tutti gli fanno: metterà da parte le sue ambizioni nucleari? La risposta è ovviamente no. Per questo è necessario studiare una strategia dell’occidente, chiara e definita. E’ quel che si prefigge l’appello del Foglio che continua a circolare tra politici e analisti italiani e internazionali per stimolare un dibattito a livello parlamentare (130 firmatari, di cui 70 parlamentari). Alcuni commentatori hanno condiviso con il Foglio alcune considerazioni sulla minaccia iraniana e sulle possibili soluzioni, nel giorno in cui il sempre ottimista direttore dell’Agenzia atomica dell’Onu, Mohamed ElBaradei, ha escluso con toni allarmistici l’ipotesi delle sanzioni. Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni internazionali dell’Università Cattolica, spiega: “Strumenti efficaci non ce ne sono e finora le minacce della nostra diplomazia rivolte al regime di Teheran non sono state credibili. Dobbiamo invece raggiungere la società iraniana, sostenere le forze riformatrici che ci sono nel paese e vedere ciò che di positivo accade. Un piccolo segno importante è arrivato dall’esclusione dell’Iran dalla Commissione per i diritti umani dell’Onu, la pressione costante ha qualche frutto”. Certo, non basta. Ma Parsi esclude le sanzioni – “non scherziamo”– perché “abbiamo maledettamente bisogno del petrolio, le sanzioni sono immaginabili soltanto quando si è in possesso di una materia prima che lo possa sostituire”. Resta l’ipotesi della società civile, “grazie al cuscinetto diplomatico si potrebbe ‘parlare’ agli iraniani: bisogna impegnarsi a mantenere contatti attraverso le università e l’informazione, perché l’Iran non è l’Unione sovietica e la popolazione ha la possibilità di conoscere cosa in realtà l’occidente vuole, cioè la stabilità”. L’ambasciatore Sergio Romano, editorialista del Corriere della Sera, è a favore del dialogo diretto tra Washington e Teheran: Anche se l’Iran non ha collaborato con l’Aiea – neppure il Brasile lo ha fatto, acquistando uranio arricchito dalla Francia – si dovrebbe riflettere un attimo prima di arrivare a delle sanzioni”. Secondo Romano si deve valutare il sentimento del popolo iraniano “già turbato poiché ricorda che cosa c’è stato in passato, cioè il colpo di stato anglo- americano”. La lettera che Ahmadinejad ha mandato a Bush, pur essendo “piena di cose inutili”, è un gesto di apertura – spiega l’ambasciatore – e l’Europa non può far finta di nulla: “Per evitare lo scontro dovrebbe dare l’impressione che la sua strategia diverge dalle possibilità messe in campo dagli americani”. Sulla possibilità che il futuro governo italiano possa intraprendere un percorso “europeo” ed entrare concretamente nel dibattito in questione Romano è cauto: “La possibilità c’è, ma bisogna tenere presente che il governo Berlusconi ha stretto un’amicizia forte con gli Stati Uniti di Bush, dunque bisogna attendere di vedere cosa farà Prodi”. Il problema, però, “possono risolverlo soltanto Teheran e Washington” ma “l’Iran è un paese minacciato dagli Stati Uniti e l’Europa dovrebbe far capire agli americani che devono ipegnarsi per dare garanzie ad Ahmadinejad”. Stefano Silvestri, direttore dell’Istituto affari internazionali, propone un piano d’azione: “Si potrebbe cominciare con piccoli segnali come far sapere a Teheran che il suo presidente è persona non grata, per esempio ai mondiali che si terranno a luglio in Germania. Se non dovessero arrivare segnali incoraggianti dal regime dei mullah, si dovrebbe iniziare un lavoro concreto di piccole sanzioni che non avrebbero ripercussioni sulla popolazione. Per esempio sul piano tecnologico, magari seguendo il modello elaborato per la Libia, poiché la società iraniana è articolata e capirebbe l’atteggiamento dell’occidente, che non è arrogante, come vuol far credere il presidente Ahmadinejad, ma mirato a creare un sistema di stabilità e di reciproco rispetto”.
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