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Giorgia Greco
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Giovanna D'Amico Quando l'eccezione diventa norma 11/05/2006

Quando l'eccezione diventa norma
Giovanna D'Amico
Bollati Boringhieri

I conti con le persecuzioni razziali non furono semplici da fare, nell'Italia postfascista. Non si trattava solo di cancellare le leggi antisemite, ma di porre riparo in qualche modo alle loro devastanti conseguenze sulle vite di migliaia di persone. Per giunta bisognava farlo in un Paese semidistrutto e alla fame per via della guerra. Giovanna D'Amico, studiosa delle deportazioni naziste, affronta la questione nel saggio
Quando l'eccezione diventa norma
(Bollati Boringhieri) e trae due conclusioni importanti.
La prima è che abrogare le leggi razziali non garantì «una piena riparazione dei diritti violati», perché non venne sancita la nullità originaria e completa «degli atti giuridici che avevano concretamente espulso gli ebrei dalla società». Per esempio si decise di «non azzerare per legge le vendite fatte dagli ebrei subito dopo l'avvio della persecuzione» sotto l'impulso del bisogno. E sulle riparazioni dovute a chi aveva perso l'impiego si aprì una questione ingarbugliata con polemiche anche dure, come quando il capo del governo Ivanoe Bonomi s'impose al ministro del Tesoro Marcello Soleri e ottenne che fossero messi a carico dello Stato (e non dei diretti interessati) i contributi previdenziali da versare nel periodo intercorso tra il licenziamento e la riassunzione di chi era rimasto senza lavoro per motivi razziali.
Il secondo punto è una riflessione di portata generale. Gli interventi legislativi ordinari, nota Giovanna D'Amico, erano «di per sé insufficienti a ripristinare integralmente le posizioni perdute: come restituire il danno morale, gli anni di scuola perduti, l'offesa?». Per venirne a capo, prosegue l'autrice, sarebbe stato necessario «travalicare l'ordinamento giuridico» ed emanare «una normativa specifica per le vittime», facendo « tabula rasa del passato». Così non fu. Mancava allora, e sarebbe mancata a lungo, una piena consapevolezza di quanto fosse stata grave la ferita inferta dal fascismo agli ebrei.

Antonio Carioti dal Corriere della Sera del 11/05/2006


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