Gli equilibri politici israeliani nel dopo-voto la forza di una democrazia consolidata
Testata: Agenzia Radicale Data: 02 maggio 2006 Pagina: 0 Autore: Elena Lattes Titolo: «Gli equilibri politici israeliani nel dopo-voto»
“Compierò ogni sforzo per concludere le consultazioni nel più breve tempo possibile” aveva dichiarato Olmert, leader di Kadima, il partito fondato da Ariel Sharon, al JerusalemPost all’indomani delle elezioni israeliane: Tutte le porte erano aperte e il premier aveva davanti un largo ventaglio di possibilità, sebbene la coalizione con i laburisti di Peretz fosse già allora data per la più probabile.
A guardare soltanto i numeri, infatti, l’entrata del Likud o del russofono Israel Beitenu, che si oppone al disimpegno, nella nuova compagine governativa sembrava meno probabile. Olmert aveva dichiarato la sua disponibilità ad allearsi con qualunque partito sionista (perché, uno dei più grandi paradossi della democrazia israeliana è che all’interno del suo parlamento sono presenti partiti i cui esponenti non riconoscono lo Stato o hanno apprezzato pubblicamente il terrorismo, come è il caso di uno dei partiti che rappresenta la minoranza araba, il Balad) e negli uffici ministeriali già si prevedevano aspre battaglie per posti chiave quali gli Esteri, la Sicurezza, le Finanze e l’Educazione.
Dalla prima legislatura del 1949 ad oggi si sono alternati due grandi “poteri”: la destra rappresentata negli ultimi decenni principalmente dal Likud e la sinistra identificata col Mapai prima e Avodà adesso, vale a dire i Laburisti. La vittoria, seppure risicata, di un partito di centro quale è Kadima, ha rappresentato quindi l’importante novità delle ultime elezioni. Vittoria a cui gli analisti hanno attribuito spiegazioni assai diverse. C’è chi dice, infatti, che il partito ha vinto grazie al lascito carismatico di Sharon, secondo altri invece, perché rappresenta una sorta di unione nazionale e la sintesi tra varie correnti.
Altri ancora pensano che ci sia stata una notevole apatia da parte della popolazione anche perché i grandi leader, come Netanyahu e Peretz, non hanno saputo coinvolgerla nella campagna elettorale. Resta però la questione principale. Infatti Kadima sembra capace di interpretare quelle che sono le esigenze degli israeliani, cioè dare una soluzione ai problemi contingenti secondo le esigenze più stringenti.
Sta di fatto comunque che il partito di Olmert, che ha ottenuto 29 seggi, non avendo raggiunto la maggioranza assoluta (61), non può governare da solo, com’è successo in passato sia per la destra che per la sinistra, ma deve accettare la collaborazione di almeno altri due partiti. Con i laburisti (20) sembra che l’accordo sia già stato raggiunto e firmato: avranno sei ministeri (Difesa, Educazione, Infrastrutture Turismo e Agricoltura più due senza portafoglio), sebbene all’interno stesso del partito le discussioni riguardo all’assegnazione e alla leadership di Peretz siano ancora piuttosto accese. Ai pensionati (7) andrebbero altri due ministeri: Salute e un dicastero creato appositamente, quello dei pensionati appunto. Con i religiosi sefarditi dello Shas (13), la cui alleanza è più probabile che con l’altro partito ortodosso “United Torah judaism”, invece Olmert deve ancora negoziare.
Comunque vadano le cose, Israele ha dimostrato ancora una volta di essere una democrazia forte e consolidata che ha saputo affrontare e superare egregiamente prove difficilissime quali l’“intifada”, la conseguente crisi economica e la scomparsa dalla scena politica di un leader vituperato e discusso quanto carismatico come Ariel Sharon.
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