Sulla STAMPA di oggi, 30.40.2006, un articolo che ci saremmo aspettati di leggere sul MANIFESTO, nemmeno più sull'UNITA'. Chiediamo ai nostri lettori di avere pazienza e di leggerlo fino in fondo, e di indignarsi quel tanto che basta per mandare una e-mail alla STAMPA per protestare contro il suo contenuto, indegno di apparire su un giornale di informazione. L'autore si chiama Gianluigi Ricuperati.
Ecco l'articolo,(ne sottolineiamo le righe più significative, l'ultima frase in particolare)
IL mondo contemporaneo riesce a volte a parlare in una specie di Morse chiarissimo, talmente trasparente che si confonde con l’aria attraverso cui passa l’informazione. Eccola dunque, rotonda, stilizzata, passata del tutto inosservata, un’altra news da pensiero - una piccola sequenza di eventi che apre un cono e vi rovescia dentro i tratti fondamentali di una civiltà, le linee che marcano la distanza tra quella civiltà e altre, i punti che sembrano unire piani psicologici, geopolitici, simbolici.
Ventiquattro tonnellate dell’acciaio delle Torri Gemelle sono state fuse nello scafo di una nave da guerra. Sulla nave da guerra, bandiera americana. Il giorno del varo, previsto a metà 2007. Il giorno dell’inaugurazione, davanti al magma ribollente, a fianco della bandiera americana, a nave appena iniziata, frasi come questa, pronunciata dall’ex sindaco Rudolph Giuliani: «Siamo fieri che un pezzo della nostra città possa viaggiare per il mondo portando democrazia e libertà».
«Siamo fieri»
Il cantiere della «New York», la quinta di una serie di imbarcazioni anfibie all’avanguardia, è stato inaugurato ad Avondale, in Louisiana, nel 2003, sotto gli occhi entusiasti della moglie di Gordon England, che ai tempi dell’11 settembre era «Secretary of the Navy», il responsabile civile di tutte le attività organizzative della marina militare statunitense.
In alcuni dispacci d’agenzia si fa notare che la sede dei cantieri navali della Northrop Grunnam, la società che sta costruendo la «New York» per conto del governo americano, è sita a pochi chilometri dall’area urbana di New Orleans, e perciò si può ben affermare che l’acciaio della New York ha già superato due grandi prove - prima sopravvivere al collasso di fuoco delle Twin Towers, poi a quello d’acqua dell’uragano Katrina, dal quale lo scafo in costruzione è uscito praticamente illeso.
I profili smaglianti che svettavano sul distretto finanziario di Manhattan hanno cambiato stato negli impianti di fusione di Amite, in Louisiana. Junior Chavers, il capomastro della fonderia di Amite, ricordando l’arrivo del materiale alla fonderia ha dichiarato ai cronisti della CBS che «quando ho realizzato che era proprio quello del World Trade Center confesso di aver sentito un brivido lungo la schiena».
«Non dimenticare»
La «New York», secondo i vertici militari, avrà «il compito di spingere l’influenza e il potere americano fin negli angoli più remoti del pianeta». Il costo totale dell’operazione ammonta a circa 700 milioni di dollari. Sulla fiancata della «New York», una frase, due parole: «never forget», non dimenticare mai.
La rivista internazionale di architettura Domus ha dedicato, nel numero in uscita ai primi di maggio, uno spazio rilevante all’analisi di questa piccola vicenda straordinaria. Discutendone con i suoi animatori e redattori, mi è capitato di annotare alcune frasi sconnesse, appunti che forse vale la pena di lasciare così, senza articolarli troppo. Uno aveva a che fare con Moby Dick, con quei capitoli del capolavoro di Melville in cui la portata epica si rifrange in strati di dettagli sulla costruzione della baleniera. Un altro era una reminiscenza biblica confusa e fondante, che poi è il Salmo 18, «O Dio che arridi alle mie vendette / Che fai sputare ai popoli la resa».
E ancora, con un balzo spericolato, una delle canzoni più toccanti degli ultimi decenni, «Shipbuilding», in cui Elvis Costello, all’indomani della decisione thatcheriana di dare inizio al conflitto delle Falkland, racconta dal punto di vista dei lavoratori delle zone depresse dell’Inghilterra il processo di costruzione delle fregate britanniche, invocando il desiderio di tuffarsi a raccogliere perle invece che a recuperare il corpo di qualcuno.
E infine un insolente attacco di frizione utopica, che al solo pensarla riascolti il suono delle domande fatte a sette anni, e prevedi il coraggio un po’ stupido delle risposte che arrivano a ottantacinque. Ma se sulle fiancate delle navi da guerra si cominciasse a scrivere, una volta per tutte, per accordo internazionale, «l’attacco è la peggior difesa»?