Due servizi sul FOGLIO di oggi,29.4.2006, sui rapporti Iran-Onu-Occidente e un'intervista con il vice presidente dlla Commissione europea Franco Frattini, nella quale viene affrontato anche il rapporto con Hamas.
Ecco il primo articolo:
Roma. L’Iran non ha ascoltato l’avvertimento della comunità internazionale, non sospeso le sue attività atomiche. “Non ce frega niente” dello scadere dell’ultimatum del Consiglio di sicurezza, ha detto ieri pomeriggio il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad. Le Nazioni Unite hanno chiesto a Teheran di rinunciare ai processi d’arricchimento dell’uranio. Ora si aprirà un confronto per considerare l’eventualità d’applicare sanzioni economiche punitive all’Iran, come ha chiesto ieri l’ambasciatore americano all’Onu, John Bolton. Russia e Cina, due dei cinque membri permanenti del Consiglio, non accettano questa ipotesi, ma il presidente statunitense, George W. Bush, ha detto ieri che la via diplomatica deve andare avanti e soprattutto che il fronte occidentale deve rimanere unito. L’occidente cerca di capire che fare, il regime dei mullah già lo sa, e infarcisce di toni sprezzanti la sua strategia aggressiva. Wall Street Journal ha chiesto a Bush die infatti si moltiplicano sui giornali americani le opinioni, i contributi, i commenti. Foglio ha pubblicato ieri un appello per richiamare l’occidente a una discussione seria sulla questione iraniana, che includa questione nucleare, le minacce a Israele, il rispetto dei diritti umani. Da Gerusalemme, la giornalista Ruthie Blum del Jerusalem Post, firmando l’appello, ha detto che non si dovrebbe “permettere al mondo pensare che l’Iran sia una minaccia soltanto per Israele, perché in questo caso Israele rappresenta un piccolo esempio della civiltà occidentale”. Molti paesi continuano a reagire passivamente alle provocazioni del presidente Ahmadinejad. I firmatari dell’appello sono intellettuali e analisti, in Europa e negli Stati Uniti, di destra sinistra, conservatori e liberali. Matthias Küntzel, professore e analista politico d’Amburgo, autore di “Ahmadinejad’s demons”, un lungo saggio pubblicato dal setsonatimanale liberal The New Republic, al Foglio ha detto che l’occidente “non sta trattando la questione iraniana nella giusta maniera” e propone un “warfare politico”, un’offensiva politica capace di portare a un cambiamento di regime. Paul Berman, intellettuale liberal americano, autore di Terrore e Liberalismo” e di “Sessantotto: la generazione delle due utopie”, in uscita nell’edizione italiana a breve, non ha firmato. “Sono completamente d’accordo con voi – ha scritto via e-mail al Foglio – la questione del nucleare iraniano è assolutamente spaventosa. Soltanto ieri (martedì, ndr), Ahmadinejad si è offerto di condividere tecnologia nucleare con il governo del Sudan, un governo che ha già all’attivo una lunga storia di genocidio. E’ un matto farneticante, ed è giusto sottolinearlo”. Berman non ha perà firmato perché teme che testo possa “infiammare una specie di sentimento anti occidentale e anti imperialista”. Ian Buruma, scrittore e commentatorecommentatore politico, dice di non firmare solitamente petizioni e appelli, se non per casi individuali, come prigionieri politici, ciononostante al Foglio ha detto di pensare che “l’Iran sia un pericolo”. E’ un’idea condivisa. Paulo Casaca, europarlamentare socialista portoghese, a capo gruppo “Friends of a Free Iran”, ha affermato di voler “sottoscrivere ogni parola” contenuta nell’appello. Brent Budowsky, che un tempo lavorava con i democratici americani e oggi fa l’imprenditore, dice di opporsi, al momento, a un’iniziativa militare americana, ma di appoggiare una mobilitazione per la libertà, la democrazia, la tolleranza religiosa e la fine delle minacce contro Israele. “Si vedrà come andranno le cose, ma ora bisogna mobilitare un consenso universale e un sostegno politico, diplomatico, economico, sociale, culturale per ottenere obiettivi, includendo anche un maggior appoggio agli oppositori del regime attraverso organizzazioni non governative”.
Segue da Bruxelles l'intervista con Frattini:
Bruxelles. Il vicepresidente della Commissione europea, Franco Frattini, sembra condividere l’appello lanciato dal Foglio sull’Iran. "Un dibattito serio e senza pregiudizi" sulla reale natura della minaccia della Repubblica islamica iraniana "merita di essere aperto". Il vantaggio, secondo Frattini, è duplice: "Evitare la tesi di quelli che vorrebbero fare la guerra, magari subito, e tenere uniti i grandi attori internazionali", in primo luogo Cina e Russia. Pechino e Mosca sono ostili a un’azione risoluta del Consiglio di sicurezza dell’Onu, che ieri si è riunito a New York per certificare che l’Iran "non collabora pienamente" con l’Agenzia per l’energia atomica. Frattini ritiene che "il Consiglio di sicurezza si gioca la sua credibilità e la sua capacità di dare segnali molto chiari". Se l’Onu "prevede le sanzioni come mezzo di violazione di un ultimatum, allora sono strumenti possibili". Quanto all’ipotesi di un intervento militare, "il Consiglio di sicurezza, che ha a lungo discusso suldi la sua legittimità nelle situazioni di vera crisi, ha un campo libero e aperto che non sarebbe giusto limitare". La sfida è ancor più importante per il fatto che occorre evitare che l’Iran "approfitti dello spirito pacifico di dialogo della comunità internazionale". Ci sono molti "ma" nel discorso dell’ex ministro degli Esteri italiano. L’Iran "è una grande potenza regionale nella regione più delicata e difficile del mondo". Non è quindi "nell’interesse di Teheran destabilizzare", perché la sua posizione "sarebbe indebolita". "Nella prassi della storia iraniana, accanto a un messaggio minaccioso, ce n’è sempre stato un altro pragmatico". Lo conferma il fatto che i mullah si sono "affrettati a dire che non intendono destabilizzare il mercato del petrolio" e che abbiano solo rinviato e non definitivamente cancellato" colloqui informali con gli Stati Uniti sull’Iraq. La comunità internazionale deve essere "fermissima quando ci sono intenzioni minacciose o attività pericolose, ma un po’ sul pragmatismo non fa male". In testa alle preoccupazioni di Frattini c’è l’opzione militare, perché "l’Iran ha strumenti e storia davvero temibili". Comunque, non sarà l’Europa a "mettere sul tavolo la possibilità di un intervento militare". Preoccupano anche le sanzioni, che rischiano di rendere la popolazione iraniana "ancor più prigioniera del fondamentalismo" e di dividere la comunità internazionale. Soprattutto, con le sanzioni "non c’è dialogo". Frattini è più franco contro i terroristi, soprattutto con Hamas che, su sua iniziativa, è stato iscritto nella lista europea delle organizzazioni terroristiche. L’Ue, dopo aver congelato i finanziamenti diretti, ora pensa a vie alternative per fare arrivare i fondi necessari alla sopravvivenza dell’Anp. Incontrando il rais Abu Mazen a Parigi, Jaques Chirac ha parlato di un fondo fiduciario della Banca mondiale per pagare i salari dei funzionari palestinesi. Frattini, invece, attende ancora che le "aperture (di Hamas) si traducano in fatti molto semplici e chiari": rinuncia alla violenza, riconoscimento di Israele e adesione alla road map. Fino a quando Hamas non dirà "sono d’accordo", l’Ue deve avere Abu Mazen come unico interlocutore. Poi c’è l’Iraq, dove il contingente italiano è appena stato colpito a Nassiriyah. "L’Italia non può farsi dettare l’agenda dagli atti di terrorismo", dice Frattini. La risposta all’attacco deve essere "l’aiuto concreto sul terreno" al nuovo primo ministro, Jawal al Maliki: il programma di ritiro deve essere "concordato con il governo". Colomba con i mullah, da commissario europeo vuole dichiarare guerra al "network internazionale del terrore, che non ha un’unica testa, ma che persegue fine politico dittatoriale su scala mondiale". E all’immigrazione clandestina. Se il nuovo governo italiano chiuderà i centri di accoglienza temporanea come Lampedusa, Frattini dovrà "esperire una procedura" di infrazione, perché la politica tollerante è contraria alla strategia Ue".
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