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Il Foglio Rassegna Stampa
28.04.2006 Perché l'Iran é la minaccia più grave
e l'Onu é il peggior rimedio possibile

Testata: Il Foglio
Data: 28 aprile 2006
Pagina: 1
Autore: la redazione
Titolo: «Loro hanno un piano. Noi? - L'Onu é il problema, non la soluzione»

Un apello a prendere finalmente in considerazione la sfida alla comunità internazionale rappresentata dall'Iran, pubblicato dal FOGLIO  di venerdì 28 aprile 2006:

Ecco il testo:Oggi scade l’ultimatum imposto dal Consiglio di sicurezza dell’Onu all’Iran, con il quale la comunità internazionale ha chiesto di mettere fine ai processi di arricchimento dell’uranio. Il presidente Ahmadinejad ha già fatto sapere che non lo rispetterà. Non è stato ancora stabilito, né in sede Onu né altrove, quale sarà il prossimo passo. Questo appello mira a porre l’attenzione sull’urgenza di definire in tempi ragionevoli una strategia nei confronti della minaccia iraniana. Ecco il testo nella versione inglese e italiana.

There is no greater historical challenge for the world community today than the one represented by the Islamic Republic of Iran. Not a day goes by without an act of defiance by the Iranian leadership, be it in the guise of its nuclear ambitions or its warmongering posture towards the west. Calls for the annihilation of the State of Israel by Iranian president Mahmoud Ahmadinejad have become so common that the press hardly takes notice. “It is all an issue of biased political relativism”, claims the mullahcracy in Teheran and the world community goes along with it, caught up in a relentless effort to justify its motives. By threats and intimidations Iran is shaping the world we live in and the west is lying idle. At pains to take a stand, the international community hides behind technicalities. After 3 years of fruitless negotiations, diplomats still play their game with sticks and carrots hoping the storm will eventually die down. Others wish to appease the calculated fury of the regime with a “grand bargain”, as if the mullahs in Teheran could be actually considered reliable partners, or partners at all. Meanwhile the plight of the silenced Iranian majority is brushed aside on the altar of realism. Iran too has its Sakharovs and Solzhenitsyns who are forgotten in their jails, but no one is interested. To the so-called pragmatists, Iranian human rights and democracy are merely sentimental aspirations that must bow to the reality of power politics. On the contrary, what the facts on the ground should prove is that in the case of Iran no amount of cooperation will bend the regime. This is not an issue that can be solved through a quarrel about the level of uranium enrichment and centrifuges: we cannot postpone any longer an open and sincere discussion about the nature and urgency of the Iranian threat.

Oggi la Repubblica islamica dell’Iran costituisce la minaccia più grave per la comunità mondiale. Non passa giorno senza un atto di sfida lanciato dalla leadership iraniana, che si tratti delle sue ambizioni nucleari e delle sue minacce di guerra all’occidente. Gli appelli alla distruzione di Israele proclamati dal presidente Mahmoud Ahmadinejad sono ormai così frequenti che la stampa non ne dà quasi più notizia. “E’ soltanto questione di un relativismo politico colmo di pregiudizi”, afferma la mullahcrazia di Teheran, e la comunità mondiale si inchina, intrappolata nell’incessante sforzo di trovare una giustificazione a queste parole. L’Iran sta deformando il mondo in cui viviamo con le minacce e le intimidazioni, e l’occidente non reagisce. Preoccupata dalla difficoltà di assumere una posizione precisa, la comunità internazionale si nasconde dietro dettagli tecnici. Dopo tre anni di inutili negoziati, la diplomazia continua a fare lo stesso gioco del bastone e della carota, sperando che alla fine la tempesta finirà. Altri vorrebbero placare la furia calcolata del regime iraniano con un “grand bargain”, un grande patto, come se i mullah di Teheran fossero interlocutori affidabili, anzi degli interlocutori tout court. Nel frattempo l’appello della maggioranza iraniana, messa a tacere con la forza, è dimenticato e sacrificato sull’altare del realismo. Anche l’Iran ha i propri Sacharov e Solzhenitsyn rinchiusi in carcere, ma nessuno se ne preoccupa. Per i cosiddetti pragmatici, i diritti umani e la democrazia degli iraniani sono un’aspirazione romantica che deve essere subordinata alla realtà della politica di potenza. Al contrario, ciò che i fatti concreti dimostrano è che al regime iraniano non può essere data fiducia. Questa non è una questione che può essere risolta attraverso una controversia sul livello di arricchimento dell’uranio e sulle centrifughe utilizzate: non si può posticipare ancora una schietta discussione sulla natura e sull’urgenza della minaccia iraniana.

I primi firmatari:
Martin Peretz, proprietario e direttore editoriale di New Republic, principale settimanale liberal americano
Leon de Winter, scrittore e commentatore politico olandese
Paulo Casaca, europarlamentare socialista portoghese
Max Boot, analista del Council on Foreign Relations
Norman Podhoretz, scrittore e saggista americano
Michael Ledeen, analista americano dell’American Enterprise Institute
Mark Palmer, ambasciatore e saggista americano
Thomas Cushman, direttore del Journal of Human rights, magazine liberal, e professore di Sociologia al Wellesley College
Matthias Küntzel, saggista e analista politico tedesco
Stephen Pollard, commentatore politico del Times di Londra
Benny Peiser, antropologo della Liverpool John Moores University
David B. Kopel, direttore delle ricerche all’Independence Institute del Colorado
Nile Gardiner, analista dell’Heritage Foundation.

Sempre dalla prima pagina del FOGLIO riportiamo un articolo che spiega perché, nella crisi iraniana ( e non solo in quella) "L'Onu é il problema, non la soluzione".
Ecco il testo:

Oggi scade l’ultimatum posto all’Iran dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Una volta scaduto, non succederà nulla. Al massimo ci sarà un altro ultimatum, poi altre riunioni, un rapporto dell’Agenzia atomica, qualche scaramuccia, proposte di incontri, appelli al dialogo, bozze di risoluzioni, sanzioni sì, sanzioni no, tira e molla. Sperare che la questione del programma nucleare degli ayatollah islamici, e delle esplicite minacce del presidente iraniano di voler cancellare dalla carta geografica lo stato di Israele, possa essere risolta da quell’inutile carrozzone che ha sede nel palazzo di Vetro sull’East river di New York è un’illusione, un pio desiderio, probabilmente un’arma a disposizione dei turbanti atomici. Ci sono voluti 980 giorni, cioè quasi tre anni, affinché il Consiglio di sicurezza si riunisse per discutere le violazioni iraniane del Trattato di non proliferazione nucleare scoperte nel 2003 dall’Agenzia atomica dell’Onu (Aiea). Questa sera saranno trascorsi 51 giorni da quando il Consiglio di sicurezza si è riunito per la prima volta. Eppure, ora che è scaduto l’ultimatum, non c’è accordo tra i cinque membri permanenti su che cosa fare per far rispettare la decisione del Consiglio. Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia vorrebbero imporre sanzioni economiche, Russia e Cina no. Il 2 maggio i cinque paesi, più la Germania, proveranno a trovare un’intesa. Nel frattempo l’Onu offre ai fondamentalisti iraniani grandi e meravigliose opportunità. Qualche giorno fa, infatti, le Nazioni Unite hanno eletto l’Iran come vicepresidente della Commissione sul Disarmo. Non è uno scherzo, piuttosto è un classico del modello Onu: l’Iran è davvero il nuovo vicepresidente della Commissione Disarmo, così come in passato la Libia ha guidato la Commissione Diritti umani. Conquistato il posto, Teheran ha subito trasformato il consesso – che in teoria dovrebbe disarmare l’Iran – in un carosello di opinioni antisemite. In una delle prime riunioni, il rappresentante di Teheran ha detto che l’idea che il suo paese si stia dotando di un programma militare nucleare è “propaganda ebraica” creata ad arte dalla “lobby giudea” degli Stati Uniti. Queste dichiarazioni sono state contestate dal delegato americano, ma il presidente della Commissione e gli altri stati membri sono rimasti in complice silenzio. Un episodio simile è successo l’altro ieri, ma è pratica quotidiana all’Onu. Al Comitato sull’Informazione, il rappresentante iraniano ha accusato “il regime israeliano”, non mettetevi a ridere, di minacciare Teheran, di essersi dotato “illegalmente” di un arsenale nucleare e di praticare “terrorismo di stato”. L’ambasciatore iraniano ha addirittura detto che il suo paese “non ha mai minacciato nessuno, tantomeno ha mai espresso il desiderio di cancellare uno stato”. Nessuno, tranne i soliti noti, ha denunciato la panzana. L’Onu, piuttosto, ha conferito a una rappresentante del regime degli ayatollah il premio “Champion of the Earth 2006”, Campione della Terra, per la sua “creatività, visione, leadership” e nella speranza che “le sue idee e il suo lavoro possano essere replicate in tutto il mondo”. La vincitrice è l’ex vicepresidente dell’Iran, Massoumeh Ebtekar, la famigerata “screaming Mary”, che fu tra i leader del sequestro degli ostaggi americani del 1979 e dell’assalto all’ambasciata statunitense di Teheran. L’Onu è questa cosa qui, un ente pressoché inutile condizionato dalle dittature e finanziato dall’occidente. Pensare che possa far cambiare idea a chi crede che la distruzione di Israele col nucleare farà tornare il dodicesimo imam della tradizione sciita equivale a bendarsi gli occhi. A giorni l’Iran – che è considerato da Freedom House come uno dei più grandi violatori dei diritti umani al mondo – sarà eletto al nuovo Consiglio sui Diritti umani di Ginevra, quel topolino uscito dalla tanto strombazzata grande riforma di Kofi Annan. La vecchia Commissione, sgangherata e screditata, ha chiuso per fallimento, ma la differenza con il nuovo Consiglio è minima. Ci saranno sempre gli stessi violatori a vigilare sugli abusi, mentre la settimana scorsa il Consiglio ha assunto come “esperto” il marxista svizzero Jean Ziegler, già fondatore del “Premio Gheddafi per i diritti umani”. Tre giorni fa il potente movimento dei paesi non allineati, di cui l’Iran è uno dei leader, ha annunciato che sceglierà il successore di Kofi Annan tra i paesi asiatici. L’Iran è in Asia.

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