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La Repubblica Rassegna Stampa
27.04.2006 Hamas non é "pronto alla pace"
disinforma chi vuol farcelo credere

Testata: La Repubblica
Data: 27 aprile 2006
Pagina: 17
Autore: Alix Van Buren
Titolo: «"Hamas pronto alla pace ecco le nostre condizioni"»

Hamas non é, come invece titola La REPUBBLICA di giovedì 27 aprile 2006 presentando un'intervista al premier palestinese Haniyeh "pronto alla pace".
Lo si può capire anche leggendo fra le righe del testo, dato che Haniyeh non assicura mai un riconoscimento di Israele, anche qualora questa acconsentisse a tutte le condizioni poste. Una delle quali (il riconoscimento del diritto al  ritorno dei profughi) equivale per altro a un suicidio.
Alix Van Buren, la giornalista autrice del pezzo, non fa però emergere questa realtà.
Haniyeh fa propaganda, con l'ovvio scopo di rompere l'isolamento del suo governo.
Ma l'informazione dovrebbe essere un'altra cosa.
Ecco il testo:


DAMASCO - Nella villa-fortezza da cui governa in esilio, Khaled Meshaal è di umore tempestoso: «Che a porci l´assedio fossero i nostri antagonisti, America e Israele, questo era previsto. Ma che certi elementi palestinesi si prestassero a fornire il cavallo di Troia, questo no, davvero non me l´aspettavo». Meshaal, il leader supremo di Hamas, manda quiete scintille.
«Però chi scommette sulla nostra disfatta, sbaglia. Il governo di Hamas, In cha Allah, riuscirà, perché ha il sostegno popolare, perché è un governo legittimo e ha la capacità di imporre il buon governo».
Nel salotto blindato il via vai dei messaggeri reca notizie che volgono al plumbeo, come l´orizzonte mediorientale che dipinge Meshaal. Riferiscono di scontri fratricidi nelle piazze palestinesi, del braccio di ferro tra governo e presidenza per il controllo delle forze di sicurezza, dell´arresto da parte di Israele di nuovi leader governativi, e dell´impasse nel trasferire verso i territori palestinesi i fondi raccolti per disinnescare la crisi economica e umanitaria. Il divieto della Casa Bianca impedisce alle banche ogni transazione con l´Autorità palestinese.
«Stiamo cercando di aggirare l´ostacolo con l´aiuto della Lega e dei governi arabi, mentre un quarto dei palestinesi è senza salario da marzo. Come vede non siamo noi ad affamare la popolazione».
Meshaal, è svaporata la vittoria? Dai ranghi di Fatah vi accusano d´avere già fallito.
«Parlare di fallimento dopo appena tre settimane al governo è precipitoso, non crede? Piuttosto, è vero il contrario: a dispetto delle apparenze, il blocco contro Hamas va sgretolandosi. Il fronte della solidarietà internazionale nell´offrirci sostegni politici ed economici si allarga, ci giungono aperture dalle cancellerie straniere».
Ci regala qualche esempio?
«Penso al rappresentante del Vaticano in Terra Santa, ad altri esponenti cristiani: è uno sviluppo benvenuto. È in corso un dialogo con funzionari e ambasciatori europei sia in Palestina sia all´estero; c´è un primo approccio con la Cina, l´apertura importante della Russia. Quanto all´Italia, abbiamo accolto con favore le parole del primo ministro Romano Prodi; ci auguriamo che la posizione italiana sia equilibrata. Insomma sono ottimista. Però, vede, più noi riusciamo ad allentare il cappio, e più aumenta la pressione. Ma l´America, Israele e l´Europa sappiano: la continua pressione sulla Palestina condurrà a un´esplosione nella regione».
Meshaal, lei scaglia parole roventi contro l´Autorità palestinese, parla di un complotto. È una denuncia affrettata?
«Io denuncio le posizioni di alcuni, e sottolineo "alcuni", che vedono l´assedio e non intervengono, nell´attesa di rimpiazzarci al governo. La corruzione finanziaria non è una novità. Ci hanno lasciato la cassaforte vuota. L´Autorità dispone di un fondo di investimenti, cui l´esecutivo attingeva. Al governo di Hamas questo non è concesso. Chieda ad Abu Mazen (ndr. il presidente palestinese) perché non usa quei fondi per pagare i salari?. Se ha a cuore l´interesse della nazione, non ci sottragga gli strumenti di governo. Ci consenta di riportare l´ordine restituendoci l´autorità sulle forze di sicurezza com´è previsto dalla legge, richiami i gruppi armati che stanno architettando il caos. Lo scontro avvenga nella sede politica, non nelle piazze. Intanto io tendo la mano, invoco l´unità nazionale».
Abu Mazen avvisa che ha il potere di sciogliere il governo.
«Abu Mazen agita una minaccia, vuole strapparci concessioni nei confronti di Israele».
Hamas insiste nel rifiutare ogni negoziato?
«Ascolti, i negoziati come sono stati condotti finora non hanno prodotto alcun risultato. C´è una certa ipocrisia in chi ci accusa di rifiutare Oslo, Camp David, Wye Plantation. I parametri della pace, dopo tanto negoziare, sono noti a tutti. Basta volerli applicare».
Quali sono?
«In breve, consistono nel riconoscere ai palestinesi il diritto di vivere in pace in un proprio Stato entro i confini dei territori occupati da Israele nel 1967. Su questo il consenso è quasi universale».
Nelle sue parole si direbbe sia implicito il riconoscimento di Israele. Questa è una svolta?
«Vediamo prima se Israele è disposta a riconoscere i nostri diritti. Hamas sta elaborando un piano di pace: Israele accetti il principio del ritiro da territori occupati nel 1967, compresa Gerusalemme Est, il riconoscimento del diritto al ritorno dei profughi, il rilascio dei prigionieri, lo smantellamento del Muro».
Sono condizioni irrinunciabili?
«Sono il nostro obiettivo, il principio che Israele deve accettare per avviare un dialogo. Tutto ciò può accadere secondo passi da stabilire attraverso un accordo. Israele dica che è disposta a negoziare questo. Se vuole la pace, noi siamo pronti alla pace. Se no, riprenderemo la resistenza».
Lei però conferma la scelta della tregua?
«Noi osserviamo la tahdia, la quiete, come scelta strategica da oltre un anno. Valuteremo la situazione di volta in volta. La tahdia è scaduta, Israele l´ha infranta, è responsabile dell´escalation».
Il suo governo ha condannato l´attentato in Egitto. E lei, Meshaal?
«Lo condanno con forza: è un orrendo atto criminale e un´offesa alla nostra fede. Lo condanno come gli attentati a Sharm el Sheikh un anno fa».
Alla vigilia è giunto un messaggio da bin Laden. Si è rivolto anche ad Hamas.
«Tutto ci divide da al-Qaeda: noi abbiamo scelto la via delle urne, della legittimità. La nostra resistenza è solo contro l´occupazione israeliana. Mi auguro che ci sia permesso di scegliere la legge».

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