Guido Rampoldi su La REPUBBLICA del 26 aprile 2006 trae dalla strage di Dahab la lezione del fallimento della strategia di democratizzazione del Medio Oriente.
A chiunque é chiaro che solo tempi decisamente più lunghi potranno confermare o smentire una diagnosi così affrettata.
Nel frattempo Rampoldi dovrebbe fornire un'alternativa... della quale evidentemente non dispone, dato che la democratizzazione del Medio Oriente é stata tentata dagli Stati Uniti solo quando l'11 settembre ha manifestato il fallimento delle altre politiche verso quella regione del mondo.
Circa il successo dei Fratelli musulmani alle elezioni egiziane: osserviamo che, contrariamente a quanto sostenuto da Rampoldi, il regime di Mubarak ha favorito l'opposizione islamista che é stata molto più libera di quella liberale e laica.
La stessa strategia era stata seguita, con gli esiti noti, dal governo algerino.
Il dibattito sulla democratizzazione risulta irrimediabilmente falsato se non chiarisce a quale democrazia si pensa. Se a quella totalitaria nella quale il fondamentalismo contende il potere al socialismo arabo e gli altri oppositori sono in galera o a quella liberale.
Ecco il testo:
La strage di Dahab ha prodotto un unico effetto rilevante: uscita dalla sua accidia etica, per la prima volta Hamas palestinese ha condannato senza le solite ambiguità un massacro compiuto dal terrorismo islamico. Se questo è il risultato, allora c´è da chiedersi se gli attentati di Al Qaeda obbediscano ancora ad una strategia politica, o piuttosto ormai soltanto ad una coazione ad uccidere, al furore distruttivo e auto-distruttivo che è stato fatale a tante organizzazioni terroriste. Se l´attentato doveva indebolire Mubarak, pare riuscito piuttosto ad attirargli una vasta solidarietà internazionale. Se era un´operazione di propaganda, ha suscitato indignazione anche in Medio Oriente. E se infine voleva gettare nel panico gli occidentali, l´esito non poteva essere più deludente. I terroristi si sono accampati per ore nei notiziari europei e americani, ma già ieri pomeriggio la Bbc anteponeva i servizi dal Nepal e da Ceylon. La tv egiziana ha depurato d´ogni traccia d´orrore le immagini diffuse da Dahab subito dopo la strage, e le tv occidentali giunte in seguito hanno confezionato filmati incruenti. Rimossa la brutalità del massacro, ricomposte le salme, lavato il sangue, la vita ricomincia. La gran parte dei turisti sopravvissuti alle bombe non rimpatria in anticipo, la gran parte dei turisti in arrivo non disdice le prenotazioni negli alberghi: stamane i sub torneranno a immergersi, i surfisti a cavalcare l´onda. Non è questione di coraggio né di insensibilità, ma d´una certa consuetudine con la morte violenta, e di inevitabile fatalismo: ormai può accadere ovunque d´essere dilaniati da una bomba. E finché nel Sinai le probabilità resteranno molto più basse delle possibilità di morire in un incidente d´auto in Europa, gli hotel sul Mar Rosso non resteranno mai vuoti.
A quasi cinque anni dall´11 settembre non possiamo dire d´esserci abituati al terrorismo ma ormai conosciamo le tecniche per impedirgli di invadere il nostro immaginario e di giganteggiarvi, come invece accadeva in passato. Forse è l´unico autentico successo che l´Occidente possa dire d´aver colto. Ma a parte questo risultato, neppure del tutto intenzionale, non v´è altro di cui americani ed europei debbano andare fieri. La war on terror, la guerra al terrorismo proclamata nel 2001 da Bush, è stata inconcludente. I piani grandiosi prodotti da Washington si sono afflosciati l´uno dopo l´altro, insieme alla nuova grande idea che li sorreggeva: la convinzione che bastasse indire libere elezioni perché d´un tratto fiorisse la democrazia, considerata la vocazione spontanea delle popolazioni e l´antidoto contro il terrorismo.
Questo ragionamento fondava in particolare il progetto americano denominato "il Grande Medio Oriente". Il Dipartimento di Stato e i governi amici ne discussero per due anni, tra loro e con i regimi arabi, recalcitranti. Poi lo cancellarono dalle loro agende. Accadde in seguito ad un´ondata di elezioni, relativamente libere per criteri mediorientali. Vinsero ovunque partiti etnici e "religiosi" ostili agli Stati Uniti. Così nelle prime comunali saudite (buon successo dei candidati appoggiati dai mullah). Nelle presidenziali iraniane (trionfo di Ahmadinejad). Nelle politiche irachene (tracollo dei partiti non etnici, grande affermazione dei partiti sciiti, soprattutto dello Sciri, filo-iraniano). Nelle elezioni palestinesi (vittoria dei fondamentalisti di Hamas). Nelle politiche egiziane (ottima prova dei Fratelli musulmani). Alla fine di questa sequenza fu chiaro l´effetto prodotto dall´invasione dell´Iraq: qualsiasi regime, partito o candidato fosse stato percepito dall´elettorato come filo-americano, o in qualche modo filo-occidentale, sarebbe uscito male dalle urne. Allora il progetto del Grande Medio Oriente fu riconsegnato ai cassetti e né Washington né gli europei tentarono di sostituirlo con una nuova idea.
L´Egitto racconta bene il tragitto della progettualità statunitense, dalle ambizioni più smodate al nulla attuale. Tre anni fa, in un discorso altisonante Bush aveva candidato il regime di Mubarak ad un ruolo-guida: sarebbe stato il battistrada della democrazia in Medio Oriente. Quel che agli americani sfuggiva sembrava però chiaro al raìs: in Medio Oriente un regime non può diventare democratico senza essere spazzato via; e anche se avesse qualche probabilità, mai sopravviverebbe a libere elezioni restando amico degli Stati Uniti. Incalzato rudemente da Washington, infine Mubarak modificò la Costituzione, si affidò ad un governo di giovani tecnocrati e indisse una tornata di elezioni con modalità più trasparenti, ma tali da garantire comunque al regime la maggioranza assoluta. Il fatto che oggi un quinto dei parlamentari appartengano ai Fratelli musulmani, integralisti, non impensierisce Mubarak e anzi gli è utile per dimostrare a Washington l´insidia nascosta nelle urne.
Quel che però cambia le cose è la sollevazione della magistratura. Una pattuglia di giudici autorevoli e indipendenti dapprima ha contestato brogli occorsi durante le elezioni, poi ha lanciato una campagna per una riforma del sistema giudiziario (nel modello vigente il governo può ottenere facilmente la rimozione d´un magistrato sgradito). Lo scontro è tuttora in corso. Il regime sta cercando di trasferire i due vice-presidenti della Cassazione, capi della protesta, che però godono d´un appoggio vasto nella società egiziana. Non risulta che Washington o l´Unione europea abbiano preso a cuore l´esito di questa prova di forza, per molti versi decisiva. In gioco è la possibilità di trasformare uno Stato di polizia in un Stato di diritto liberale, cioè in un sistema dove anche il potere sia soggetto a controlli e a regole: in Medio Oriente si tratterebbe d´una rivoluzione. Si getterebbero le basi d´una democrazia autentica, cosa diversa dalla dittatura d´una maggioranza. E si alleverebbe la società a diritti fondamentali in genere ignorati dai più (altrimenti non sarebbe tanto venerata la memoria dello sceicco Yassin, capo spirituale di Hamas quando l´organizzazione patrocinava massacri di civili israeliani). In altre parole la war on terror non passa per le urne ma innanzitutto per le aule di giustizia. Che gli occidentali ne siano così poco consapevoli è preoccupante ma non può sorprendere: nella lotta al terrorismo il diritto è parso finora più un impaccio che una risorsa a molti governi occidentali.
A pagina 11 La REPUBBLICA pone il seguente quesito:
Nuovo attentato con molte vittime in Egitto, tutti chiedono di fermare il terrorismo. Secondo voi:
1) Nessuna trattativa, colpire esecutori e mandanti con dure azioni militari e di polizia
2) Bisogna trattare, la sola azione militare non basta e peggiora la situazione
Viene poi chiesto di inviare, , con un piccolo costo, un sms con scritto VOTO, uno spazio, ESTERI, il numero della risposta scelta al numero 48442.
A noi sembra che un simile quesito sia oltraggioso (trattare con Al Qaeda?) e irrelaistico (trattare su cosa? sul nostro suicidio?).
Rileviamo inoltre che la seconda opzione é motivata (l"a sola azione militare non basta e peggiora la situazione"), la prima no. un modo di influenzare i risultati del sondaggio.
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