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Informazione Corretta Rassegna Stampa
26.04.2006 Intolleranza nel corteo del 25 aprile
bruciate le bandiere israeliane, insultata la Brigata ebraica, fischiata Letizia Moratti

Testata: Informazione Corretta
Data: 26 aprile 2006
Pagina: 0
Autore: la redazione
Titolo: «Intolleranza nel corteo del 25 aprile»

La cultura mafiosa sopravvive in Italia all'arresto di Bernardo Provenzano.
Sopravvive nelle tante cupole che dettano con arroganza le loro leggi al di sopra e contro le regole della convivenza civile.
Per esempio la cupola comunista che non tollera, alla mainifestazione del 25 aprile bandiere diverse da quelle rosse e idee diverse dalle sue.

E' in questo quadro che si può inquadrare quanto avvenuto al corteo milanese per la Liberazione, di cui riferiscono i quotidiani il 26 aprile 2006:  

La cronaca del CORRIERE della SERA, di Maurizio Giannattasio  e Gianni Santucci, a pagina 2, "Milano, 25 Aprile: insulti alla Moratti E bruciano due bandiere israeliane" (sbagliato il sottotitolo, "Tensione autonomi- Brigata ebraica": nessuna tensione, l'intolleranza era a senso unico. Il medesimo errore si trova sul sito web di REPUBBLICA, che titola: “Tensioni tra autonomi e Brigata Ebraica”)  :

MILANO — Lo si capiva dall'inizio che sarebbe stato un 25 aprile difficile. Da quando in testa al corteo invece dei gonfaloni è arrivato un gruppetto sparso di «Pensionati». Simbolo di un 25 aprile dove è successo di tutto. Le bandiere israeliane calpestate e bruciate da un gruppetto di autonomi. I fischi e le contestazioni alla Brigata ebraica. Gli slogan inneggianti ai partigiani iracheni. Gli insulti al ministro Letizia Moratti che accompagnava in corteo il padre Paolo, deportato a Dachau e medaglia d'argento della Resistenza. Ma anche l'abbraccio della folla intorno a Romano Prodi, la mano aperta dei centomila che mostravano cinque dita come i cinque anni di governo che attende l'Unione, la difesa della Costituzione, gli applausi a Dario Fo, l'enorme bandiera della pace che ricopriva 50 metri di corso Venezia.
Pochi minuti alla partenza del corteo per il 61˚anniversario della Liberazione. Dietro, in una terra di nessuno, ci sono una cinquantina di ragazzi. Fanno parte del Coordinamento di lotta per la Palestina. Immigrati e quelli della Panetteria occupata, uno dei centri sociali più agguerriti di Milano. Uno di loro cammina con un fiocco attaccato al piede. È una bandiera israeliana. Si ferma. Ci cammina sopra. Arrivano altri colleghi. Il rituale si ripete. Fino a quando qualcuno tira fuori un accendino e gli dà fuoco. Una non basta. Ne arriva un'altra: bruciata anche questa. Gli slogan sono all'altezza: «Vietnam, Iraq, oggi come ieri americani a casa dentro i sacchi neri». «Bush, Sharon assassini». «Un sasso qui uno là l'intifada vincerà».
Altra inquadratura. A metà corteo sfila anche la Brigata ebraica. Ha combattuto in Italia contro i nazifascisti. Oggi ci sono anziani, donne e bambini. Quando arrivano a piazza San Babila, la sorpresa. Un gruppo di autonomi presidia la piazza. Chiede la liberazione dei «compagni», i 25 che sono ancora a San Vittore, accusati di aver partecipato alle devastazioni di corso Buenos Aires l'11 marzo. È una strettoia. Quando gli autonomi arrivano a contatto con la Brigata ebraica partono gli insulti. «Intifada, Palestina libera, Palestina rossa, stato di Israele, stato terrorista». La polizia fa passare la Brigata trattenendo dietro un cordone gli autonomi che urlano «sionisti, assassini». Il resto del corteo cerca di difenderli. Intanto a piazza del Duomo, dietro le loro insegne, sfilano i sopravvissuti di Dachau, Auschwitz e degli altri campi di sterminio nazisti.
Lo sdegno della comunità ebraica è grande. «Un fatto gravissimo. Ed è chiaro che la nostra Resistenza non è quella di questi facinorosi che dietro parole apparentemente anti-israeliane nascondono rigurgiti antiebraici» attacca Claudio Morpurgo, presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane.
Chiede ai politici italiani di intervenire, di condannare i due episodi. Chiede a Romano Prodi che la nuova legislatura si apra con due certezze: «Da una parte, il sostegno al diritto all'esistenza e alla sicurezza di Israele, oggi minacciato dall'Iran, dall'altra l'isolamento di tutte quelle forze che anche subdolamente contestano questo diritto ricorrendo all'antisionismo ».
Le condanne arrivano. La più dura è quella di Daniele Capezzone, radicale della Rosa nel pugno: «Spero che nessuno minimizzi. Ogni mese a Milano o a Roma ci sono episodi del genere. Bisogna chiamare le cose con il loro nome: c'è un rigurgito non solo anti-israeliano ma antisemita. Ed è bene che questo sia denunciato come tale». «Compiere questo gesto vuol dire porsi fuori dall'antifascismo» sintetizza Marilena Adamo, capolista dell'Ulivo alle prossime elezioni comunali di Milano. «Un episodio riprovevole di un gruppo senza alcun seguito» chiude il diessino Umberto Ranieri. Basterà?

Dalla prima pagina del CORRIERE l'editoriale di Ernesto Galli Della Loggia, "Disapprovare non basta" :

Anche se ha preferito non dare importanza alla cosa, quel che è capitato ieri pomeriggio al ministro Moratti è assai grave, e merita di essere chiamato con il suo nome: una violenta, indecorosa gazzarra che chiama in causa responsabilità più vaste di quelle dei suoi autori. A nulla è valso che Letizia Moratti partecipasse al corteo milanese commemorativo della Liberazione spingendo la carrozzella con il padre medaglia d'argento della Resistenza; a nulla è valso che la sua sola presenza attestasse — se ce ne fosse stato mai bisogno! — la condivisione degli ideali di libertà evocati dalla ricorrenza: no, nulla è valso a nulla per proteggerla dalla salva di fischi, di insulti, di minacce, che le è piovuta addosso per tutta la durata del corteo. Ovvia la sua colpa: stare politicamente nel centrodestra; per giunta come ministro dell'Istruzione e dell'Università del governo Berlusconi, cioè in un ruolo che per lungo tempo è stato oggetto di una vera e propria demonizzazione ad opera dei settori più beceri e massimalisti della sinistra italiana che da decenni, ahimé, si annidano per l'appunto nelle scuole e negli atenei della Repubblica.
Di fronte a quanto accaduto, che è l'esatta ripetizione di quanto già accaduto altre volte in altri 25 aprile, i commenti degli esponenti del centrosinistra, limitatisi tutti (con la sola, felice eccezione, oltre che della Rosa nel pugno e di Mastella, di Bruno Ferrante, concorrente con la Moratti nella prossima elezione a sindaco di Milano) a un formale rincrescimento, appaiono penosamente inadeguati. Tanto più se ricordiamo che sono proprio essi a rammaricarsi regolarmente del fatto che i politici del centrodestra non partecipano ai festeggiamenti della Liberazione: e perché mai lo dovrebbero se questa è la fine che li aspetta? Per superare l'esame di autolesionismo?
Più inadeguata delle altre, per l'evidente importanza della sua figura, la reazione di Romano Prodi, il quale, pur avendo l'occasione di parlare nel comizio a conclusione del corteo, dal palco ha fatto appena un cenno all'accaduto.
Ha evitato così di dire, il nostro futuro presidente del Consiglio, ciò che invece andava detto e che da lui ci aspettavamo. Che allora in sua vece diciamo noi: e cioè che la democrazia italiana non sa che farsene dell'antifascismo dei faziosi e dei violenti; che la nostra democrazia non sa che farsene di quell'antifascismo che — come ha scritto coraggiosamente il direttore di Liberazione
Piero Sansonetti — non capisce che «una cosa è cacciare i nazisti e un'altra è cacciare Berlusconi», che la democrazia italiana non sa che farsene — e non vuole avere niente a che fare — con l'antifascismo che non esita a strumentalizzare le grandi, drammatiche pagine della storia nazionale e i valori più alti del nostro patto costituzionale per sfogare i suoi poveri livori politici, per celare le sue pochezze, all'occasione per maramaldeggiare.
Finché l'antifascismo dei democratici non saprà prendere le distanze dall' antifascismo «militante», da questa sua contraffazione intollerante e violenta, e non saprà farlo a voce alta, esso sarà sempre vittima, anche elettorale, del suo ricatto politico. È così, mi chiedo, è mostrando una simile timidezza ideologica che si crede di poter costruire il Partito democratico? Sul punto di andare al governo con un'esiguissima maggioranza parlamentare, i gruppi dirigenti del centrosinistra commetterebbero un grave errore a non capire che è proprio su questioni come questa che essi si giocano la possibilità di convincere e di raccogliere intorno a sé una parte del Paese più vasta di quella che li ha votati.

A pagina 5 l'intervista un'intervista a Yasha Reibman: "Reibman: l'antisemitismo è ancora troppo diffuso Parole giuste dal Professore, ora aspetto Bertinotti":

 ROMA — «Bene Prodi, mi aspetto che anche Bertinotti faccia sentire la sua voce». Yasha Reibman, portavoce della comunità ebraica di Milano, era tra i partecipanti alla sfilata del 25 aprile, e ha visto di persona la contestazione organizzata dai ragazzi dei centri sociali contro i rappresentanti della brigata ebraica.
Come sono andate le cose?
«Quando siamo arrivati in piazza San Babila quelli dei centri sociali hanno tirato fuori gli striscioni con le scritte "Intifada fino alla vittoria" e "Israele uguale nazismo", hanno cominciato a urlare i loro slogan, mentre in fondo al corteo altri bruciavano la bandiera di Israele».
Se avevano striscioni, la contestazione non è stata spontanea ma preparata?
«Premeditata, e questo è ancora più grave».
Ma nel corteo c'è anche chi ha preso le vostre difese?
«Certo, ed è stata una cosa bellissima. I milanesi applaudivano i rappresentanti della brigata ebraica, che arruolandosi nell'esercito britannico contribuirono a liberare l'Italia dal nazifascismo. E quando quelli dei centri sociali ci hanno attaccato gli hanno urlato contro, dandogli dei fascisti. Quando sono salito sul palco ho avuto la solidarietà anche del responsabile del servizio d'ordine della Cgil».
E i partigiani, vi hanno difeso?
«Sì, anche i partigiani. Del resto con loro abbiamo un rapporto solido e antico: ogni anno organizziamo insieme le cerimonie per la giornata della memoria. Adesso ci aspettiamo che anche la politica batta un colpo, ed in particolare il centrosinistra, visto che l'aggressione è partita dai centri sociali. Dicano che in Italia non si accetta che venga bruciata la bandiera di Israele, dicano che aggressioni come queste non sono ammissibili, soprattutto oggi con Hamas e il jihad nucleare minacciato da Ahmadinejad. Dobbiamo lavorare per regalare un 25 aprile di libertà e democrazia anche agli iraniani».
Prodi ha parlato di «vile manifestazione di intolleranza» E ha telefonato al presidente della comunità ebraica italiana, Claudio Morpurgo.
«Bene, è il segnale che ci voleva, dai Ds ci ha contattato Umberto Ranieri e anche questo è un gesto che abbiamo apprezzato. Mi aspetto che Bertinotti faccia sentire la sua voce».

(Bertinotti, rispondendo alle domande dei giornalisti ha ora giudicato "incompatibile" con il 25 aprile il rogo di "bandiere" e ha ribadito il diritto all'esistenza di Israele, ndr)

Da Rifondazione comunista non è arrivato nessun segnale di solidarietà?
«No, a quanto io sappia. Spero che Bertinotti dia continuità alla proposta fatta anni fa di spiegare all'interno di Rifondazione comunista e anche dei centri sociali la vera storia di Israele».
Bertinotti ha escluso il trozkista Marco Ferrando dalle candidature alle elezioni proprio per le sue frasi su Israele «creatura artificiale».
«Giusto ma non basta. Quello che serve è creare una cultura e una politica che all'interno di Rifondazione ancora non c'è».
Sta dicendo che c'è ancora antisemitismo in Rifondazione?
«L'antisemitismo c'è ancora in Italia, non solo in Rifondazione. In un sondaggio di qualche tempo fa il 30 per cento degli italiani ha detto che sarebbe meglio se Israele non esistesse».
Lei se lo sarà chiesto tante volte: perché accadono episodi come quello di ieri?
«Perché c'è questo antisemitismo diffuso. Perché fin quando c'è qualcuno che dice "Israele Stato terrorista" ci sarà sempre un altro che si sente in diritto di bruciare la bandiera di Israele e aggredire chi la porta. E perché la massa tira sempre fuori il peggio dell'uomo».

A pagina 5 della STAMPA un'intervista di Jacopo Jacoboni a Gad Lerner, "Lerner: sono come i naziskin".

Lerner, la Moratti va al corteo per la Liberazione con suo padre, ex deportato a Dachau, e la fischiano. Poi un gruppo di militanti fischia la Brigata ebraica.
«Io però non vorrei parlare della signora Moratti...».
Era lì con un anziano in sedia a rotelle...
«Innanzitutto chi la fischia si mostra, prima che antisemita, ignorante, perché evidentemente non conosce la storia, e il senso della gratitudine nei confronti di persone, come il papà di Letizia Moratti, che hanno vissuto quell’esperienza atroce».
Poi c’è il capitolo speciale su Israele. Com’è possibile che la sinistra non riesca a immunizzarsi dai suoi vecchi riflessi?
«Ma sa, lì dentro c’è tantissima ignoranza di chi non sa cos’è Israele, non conosce la storia di un popolo e neanche cosa voglia dire il dialogo tra religioni e culture. Sono comportamenti da cane di Pavlov che azzanna appena vede una stella di David...».
Antisemitismo o semplice idiozia?
«Io non ho nessuna esitazione a usare la parola antisemitismo, che è più grave. Capisco che li si possa considerare quattro gatti, estranei al grosso del corteo, ma è ugualmente gravissimo, perché poi fisicamente si trovano in quel corteo. Il fatto che non sappiano nulla, che il loro antisemitismo spesso sia inconsapevole, o negato, a differenza di quello dell’estrema destra, non sposta di nulla il giudizio che se ne deve dare».
Uno se l’aspetterebbe di più a destra, e invece anche la sinistra brilla.
«Che l’antisemitismo sia purtroppo radicato anche all’interno della sinistra è un fatto. Da questo punto di vista, lo dico tristemente, non sono per nulla sbalordito, ci sono tantissime ragioni storiche per cui si capisce - ovviamente senza giustificarlo - da dove provenga questo antisemitismo di sinistra. Ma per me non sposta una virgola, se a fischiare o bruciare bandiere è uno che porta la bandiera rossa io lo sento uguale a un naziskin, ugualmente distante da me, tra i due non c’è nessuna differenza. Il punto è che nella sinistra deve farsi strada l’idea che occorre una vigilanza severa contro ogni antisemitismo, islamico, di destra, di sinistra, a volte anche cristiano...».
Vede un antisemitismo cristiano-revanchista forte?
«Sì, c’è una componente di ipertradizionalismo cristiano che in questa fase storica fa molto sentire la sua voce, ed è spesso una voce autenticamente antisemita».
Che cosa avrebbe fatto da ragazzo se si fosse trovato in corteo accanto a gente così?
«Tutte le volte che uno assiste a gesti odiosi come bruciare una bandiera di Israele, o travestirsi da kamikaze, deve capire che siamo tutti responsabili, deve denunciarlo, punto e basta. A maggior ragione se quello che l’ha fatto milita nelle tue stesse file».
Certo alcuni leader del centrosinistra in passato sono parsi timidi nella denuncia... Uno si aspetta che accadano cose così e i dirigenti della coalizione, sia riformisti sia radicali, siano i primi a condannare, invece spesso si osserva un loquace silenzio.
«... Purtroppo è vero, ma non mi faccia commentare un silenzio, magari prima della fine della giornata diranno qualcosa di chiaro».

Dal sito web della STAMPA le dichiarazioni dell'ambasciatore di Israele in Italia Ehud Gol:

ROMA «Da ebreo e israeliano, ieri, mi sono colmato di vergogna e di rabbia alla vista del barbaro comportamento dei "fascisti" della sinistra estremista che hanno profanato la sacralità della festa della liberazione del 25 aprile, assieme alla memoria dei caduti della Brigata Ebraica in Italia, dando alle fiamme le bandiere dello Stato d'Israele nel corso del corteo di Milano»: è quanto afferma, in una dichiarazione, in ordine a quanto accaduto ieri a Milano, l'ambasciatore
d'Israele, Ehud Gol.
«Come ogni anno - aggiunge l'ambasciatore israeliano Gol - anche nel prossimo mese di maggio mi recherò, assieme alle famiglie, sulle tombe dei caduti della Brigata Ebraica che sacrificarono la propria vita per liberare l' Italia e che, da allora, sono sepolti nella sua terra, in Emilia Romagna. Sarebbe opportuno che l'Italia ufficiale, in quella occasione, chiedesse loro scusa, alla luce del comportamento teppistico di ieri a Milano. Indigna in maniera particolare il fatto che questi elementi hanno ritenuto opportuno bruciare le bandiere d'Israele proprio nel giorno in cui lo Stato ebraico commemorava la Shoah e onorava la memoria dei sei milioni di vittime sterminati dai nazisti».
«Queste persone, così come gli altri che negano la Shoah e invitano alla distruzione dello Stato d'Israele- conclude Ehud Gol -, sono un pericolo per il mondo democratico occidentale».

L'editoriale di Miriam Mafai su La REPUBBLICA, "Chi brucia le bandiere":

 LETIZIA Moratti ha voluto, firmato, difeso e fatto approvare dal Parlamento una legge sulla riforma della scuola. Una brutta legge. Una legge che non ci piace e non piace alla maggior parte degli operatori della scuola. E allora? Forse che questo le toglie il diritto di partecipare, a Milano, con altre decine di migliaia di cittadini, alla celebrazione dell´anniversario della nostra Liberazione? Letizia Moratti ha tutto il diritto di sfilare a Milano e di celebrare così la data del 25 aprile, fondamento della nostra Costituzione e della nostra Repubblica. È un diritto che appartiene a tutti gli italiani e le italiane quale sia il partito per il quale hanno votato.
Il gesto, stupido e fazioso degli autonomi milanesi che con le loro proteste e i loro insulti hanno costretto l´ex ministro dell´Istruzione ad uscire dal corteo ci offende tutti. Ed è tanto più deprecabile in quanto la Moratti vi partecipava accompagnando il padre, già deportato a Dachau e insignito di una onorificenza dal nostro presidente della Repubblica.
La cerimonia di Milano è stata turbata da altre gravi intemperanze degli «autonomi» e di esponenti dei centri sociali. Dopo l´aggressione e l´espulsione dal corteo della Moratti, ci sono stati i fischi ed insulti a Epifani e Pezzotta, non si sa bene di cosa colpevoli. E poi fischi ed insulti ai superstiti di quella Brigata Ebraica che ha partecipato anch´essa, nelle gloriose giornate del 1945 alla liberazione del nostro Paese. Quei reduci, ormai pochi, ieri sfilavano per le vie di Milano con le loro bandiere insieme ai reduci delle nostre brigate partigiane, a fianco e assieme agli esponenti della Comunità ebraica di Milano. Avevano, hanno tutto il diritto di farlo. Hanno diritto alla nostra memoria ed alla nostra riconoscenza. Qualcuno non ha sentito questo obbligo di memoria e riconoscenza. Altri autonomi e componenti dei centri sociali li ha presi a mira dei loro insulti e fischi. Poi, non contenti ancora, gli stessi hanno strappato e bruciato una bandiera di Israele.
Romano Prodi ci ha richiamato spesso, e non ha perso occasione di farlo anche ieri nel corso del comizio di Milano, al compito alto della ricostituzione dell´unità del Paese. Un compito non facile non solo per l´asprezza della campagna elettorale appena terminata ma anche e forse sopratutto per l´arroganza e la protervia con la quale Berlusconi si rifiuta ancora oggi di riconoscere la sua certificata sconfitta. Siamo in una situazione del tutto anomala che rende torbido il clima politico, alimenta nuovi sospetti, esaspera le divisioni. Si rischia così di rendere ogni giorno più difficile quella unificazione del Paese che è condizione indispensabile per l´uscita dalla difficile situazione in cui si trova e per l´avvio della sua crescita.
Tutto ciò che turba, inquina e rende più difficile questo processo di unificazione, di pacificazione del Paese va condannato senza esitazioni ed indulgenza. In primo luogo quando venga dalla parte che è uscita sconfitta dalle elezioni e che cerca con sempre nuovi espedienti di rinviare la formazione del governo.
Ma anche quando venga da alcuni settori, per quanto minoritari, dello schieramento che è uscito vincente dalle elezioni. Ne fanno parte uomini e gruppi che nel nuovo clima che si è creato nel Paese con la vittoria dell´Unione, possono proporsi di accentuare le proprie posizioni, di cercare nuovi consensi, di allargare la propria influenza. Sono gli stessi gruppi che poche settimane fa, a Milano, in nome di un pretestuoso antifascismo, ingaggiarono una battaglia di strada sfasciando le vetrine di Corso Buenos Aires e dando fuoco alle macchine in parcheggio. Sono gli stessi gruppi che hanno contestato a Bologna l´azione del sindaco Cofferati a difesa dell´ordine e della legalità. Sono gli stessi gruppi che ieri a Milano si sono arrogati il diritto di decidere chi potesse partecipare al corteo in memoria della Resistenza, e chi dovesse esserne escluso. Tenere a bada queste spinte e coloro che in nome della «conflittualità sociale» le alimentano sarà compito non solo e non tanto del nuovo governo, ma delle forze politiche che ambiscono dare una guida al Paese e che dal Paese hanno ottenuto fiducia. Non in nome di un aumento della conflittualità sociale, ma in nome, e con la speranza, di una soluzione concordata e pacifica dei più gravi problemi del Paese.

Infine l'intervento di Ralf Dahrendorf sul "Nuova antisemitismo":

Viviamo in tempi violenti. C´è chi pensa che siamo di fronte a conflitti di tipo nuovo: guerre tra culture – non solo tra Occidente e Islam ma anche tra musulmani sunniti e sciiti, o tra gruppi tribali in Africa e in Asia. Ma spesso le ragioni più profonde di questi scontri sono assai più tradizionali.
Di fatto, l´appartenenza a un particolare gruppo culturale è solo un pretesto per le battaglie tra i vincitori e i vinti della globalizzazione, in cui leader spietati mobilitano un seguito di gente disorientata. E soprattutto tra i perdenti, molti sono i giovani senza un futuro al quale guardare, che si lasciano indurre persino ad azioni suicide contro il presunto nemico.
Forse in tempi come questi non ci si dovrebbe sorprendere di veder riemergere dall´ombra l´antisemitismo, il più antico e nefasto tra i nostri risentimenti, causa di tante morti. Questi rigurgiti si manifestano nelle forme classiche di aggressioni contro singoli individui – come il recente assassinio di un giovane ebreo in Francia – o di atti di vandalismo contro luoghi simbolici, come i cimiteri e le sinagoghe. Ma si nota anche un atteggiamento di ostilità più generale contro tutto ciò che è ebraico. Si sarebbe potuto pensare che l´antisemitismo fosse morto con l´Olocausto, ma così non è. C´è persino chi nega la realtà stessa di questa tragedia, o ne contesta le modalità, che pure sono fin troppo documentate. Tra i negazionisti figurano storici di second´ordine come David Irving, o politici apparentemente popolari come il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad, recentemente eletto. Le prove di quanto la Germania nazista è arrivata a fare sono talmente schiaccianti che si potrebbe probabilmente fare a meno di comminare il carcere ai negazionisti, col risultato di renderli oggetto di un´attenzione immeritata.
Un atteggiamento anche più preoccupante, che giustifica la definizione di "nuovo antisemitismo", è quello legato alla realtà dello Stato ebraico. Indubbiamente, il primo bersaglio del risentimento anti-occidentale è l´America, ma il secondo è senz´altro Israele: il solo Paese moderno che abbia saputo affermarsi con successo in Medio Oriente. Per di più, un Paese altamente militarizzato e un potenza occupante, spietata nella difesa dei propri interessi. In Occidente si sta diffondendo uno strano sentimento, la cui importanza non sarà mai sopravvalutata: si potrebbe definirlo un romanticismo filo-palestinese. Questo atteggiamento, cui hanno dato voce intellettuali quali Edward Said, recentemente scomparso, è condiviso da molti, sia negli Stati Uniti che in Europa. E´ un romanticismo che tende a glorificare i palestinesi in quanto vittime del potere israeliano, accusato di trattarli come cittadini di seconda classe, se non peggio, con riferimento ai numerosi incidenti legati all´oppressione dei territori occupati e agli effetti della "barriera di sicurezza" voluta da Tel Aviv. Ovviamente, in teoria si può senz´altro opporsi alla politica israeliana senza essere antisemiti. Dopo tutto, anche tra gli israeliani non mancano le voci critiche nei confronti della politica di Tel Aviv. Ma fare questa distinzione riesce sempre più difficile. Gli ebrei non residenti in Israele ritengono – a torto o a ragione – di dover difendere uno Stato che dopo tutto rappresenta la loro ultima speranza di sicurezza; e chi solidarizza con loro esita a esprimersi con franchezza, nel timore di passare per anti-israeliano, o peggio ancora, per antisemita. Ma le posizioni difensive degli ebrei e i silenzi imbarazzati degli ambienti filo-ebraici hanno lasciato troppo spazio, nel pubblico dibattito, a gruppi che sono di fatto antisemiti, anche se si limitano a usare un linguaggio anti-israeliano.
L´antisemitismo è repellente in qualunque sua forma, come lo è ogni altro sentimento di odio nei confronti di una collettività. Ma la storia dell´Olocausto conferisce all´antisemitismo un carattere unico, dato che questa disposizione d´animo è stata complice del piano – pressoché riuscito – dell´annientamento di tutto un popolo.
Ma il nuovo antisemitismo, legato alla realtà di Israele, non può essere combattuto efficacemente nel resto del mondo solo con l´educazione e il ragionamento. Per chi appartiene a una generazione che ha visto nello Stato ebraico una delle grandi conquiste del ventesimo secolo, e ha ammirato Israele per aver saputo dare una terra orgogliosa a un popolo perseguitato e oppresso, i nuovi segnali d´allarme sono motivo di particolare preoccupazione.

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