Il Sinai é una zona franca per i terroristi per questo l'Egitto é un bersaglio costante
Testata: La Stampa Data: 25 aprile 2006 Pagina: 2 Autore: Maurizio Molinari Titolo: «Oltre quel confine é come l'Afghanistan»
Da La STAMPA del 25 aprile 2006:
«Gli attentati avvengono nel Sinai perché questa regione dell’Egitto è come il Waziristan, nel Pakistan nord-occidentale». E’ questa la chiave di lettura con cui Steven Cook, analista di affari egiziani e titolare al Council on Foreign Relations di New York di una task force di studio sui Paesi arabi, interpreta l’azione terroristica avvenuta ieri a Dahab. Che cosa accomuna il Sinai ed il Waziristan pakistano? «In entrambi i casi si tratta di regioni impraticabili, geograficamente difficili da pattugliare per le forze di polizia, dove ci sono poche strade e sentieri agibili. A governare quelle zone sono clan e tribù sensibili ai pagamenti da parte dei gruppi islamici e, a volte, in combutta con loro. Nel caso del Sinai sono già emerse in passato complicità di tribù beduine che offrivano rifugio ai terroristi. A ciò si deve aggiungere che, mentre in Waziristan i pakistani usano l’esercito regolare, nel Sinai gli egiziani non possono fare altrettanto perché parte della penisola è smilitarizzata da quando Gerusalemme ed il Cairo firmarono gli accordi di pace». Perché è stata colpita proprio Dahab? «Per lo stesso motivo per cui il precedente attentato era avvenuto a Sharm el Sheikh e quello ancora prima a Taba. Si tratta di località turistiche, dove è facile uccidere gli occidentali ed anche gli israeliani sparando nel mucchio. Sono obiettivi logisticamente semplici che per di più si trovano a ridosso delle basi dei terroristi. E’ come se un club per vacanze si trovasse a pochi chilometri di distanza dalle regioni tribali del Pakistan al confine con l’Afghanistan». Che cosa le suggerisce il fatto che l’obiettivo degli attentatori siano stati i turisti? «Che c’è la mano di Al Qaeda dietro questo attentato. Sebbene non vi siano ancora rivendicazioni ed anche se a rivendicarlo nelle prossime ore potrebbe essere una cellula locale egiziana l’idea di fare strage di turisti è frutto della strategia di Al Qaeda, come abbiamo già visto tante volte in diverse parti del mondo, dalla Giordania all’Indonesia». Il fatto che solo 24 ore prima vi sia stato il messaggio di Osama bin Laden è una coincidenza... «Difficile pensare che qualcuno possa essere riuscito a coordinare la trasmissione della cassetta con il messaggio, e l’attentato avvenuto ieri. E’ però certo che bisognerà adesso riascoltare attentamente la voce di Osama bin Laden. Non possiamo escludere che nelle frasi pronunciate da lui vi fosse un segnale di luce verde per una particolare cellula». Come ad esempio il fatto che Osama bin Laden ha accusato tanto i «popoli» che gli «Stati» nemici, suggerendo che anche i civili occidentali sono avversari dell’Islam... «Questo può essere uno spunto. Bisogna esaminare il testo con molta cura. Ma ripeto: potrebbe anche non esservi alcun legame, è possibile che invece si tratti di cellule islamiche che operano indipendentemente le une dalle altre. Quando possono, colpiscono. Ispirandosi all’ideologia di Osama bin Laden». Perché il governo egiziano non riesce a smantellare questa rete di gruppi terroristi? «Perché neanche l’America è riuscita a smantellarla sul proprio territorio. Lo abbiamo visto l’11 settembre del 2001. Prendere singoli individui che pianificano attacchi è molto difficile». C’è qualcuno che suggerisce che gli attentati in Egitto e in Giordania abbiamo come regista unico Abu Musab al Zarqawi e nascano dalla rete degli jihadisti iracheni. Lo ritiene possibile? «Non possiamo escluderlo. Bisogna però tenere presente che i gruppi della Jihad islamica in Egitto sono ben radicati e costituiscono una delle anime dalle quali la moderna Al Qaeda è nata».
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