Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Testata: Corriere della Sera Data: 25 aprile 2006 Pagina: 2 Autore: Davide Frattini - Guido Olimpio Titolo: «Mar Rosso, strage al tramonto «Hanno attaccato tre kamikaze» - Un attentato contro i civili, come ha chiesto Osama»
Dal CORRIERE della SERA di venerdì 25 aprile 2006:
GERUSALEMME — Sham e-Nessim. La festa della primavera. I terroristi hanno scelto di colpire nei giorni in cui la penisola del Sinai è affollata non solo da turisti europei e israeliani, ma soprattutto da egiziani arrivati da tutto il Paese. Un ristorante, un supermercato, un albergo. Tre kamikaze, entrati simultaneamente in azione. Alle sette di sera, quando a Dahab la gente torna dal mare e passeggia tra i negozi e i bar. Almeno 23 morti e oltre 70 feriti, secondo ministero degli Interni del Cairo: un bambino tedesco, un russo e uno svizzero tra gli stranieri identificati. Tre italiani ustionati, non gravi. Taba (7 ottobre 2004, 34 morti). Sharm el-Sheikh (23 luglio 2005, 67 morti). I racconti, i dettagli, la paura sono gli stessi delle altre bombe che hanno terrorizzato il Sinai. «Stavo nuotando nella piscina dell'albergo, quando ho sentito l'esplosione. Mia madre è stata ferita, anche mio marito è all'ospedale». «C'erano corpi e macerie, la gente correva dappertutto». «Ho visto le colonne di fumo alzarsi dalla zona dei ristoranti, a quell'ora le famiglie vanno a cena». Dahab è frequentata soprattutto da giovani, i prezzi sono più bassi che in altre aree sul Mar Rosso, le grandi catene alberghiere stanno cominciando ad arrivare solo adesso. Nel villaggio, fondato dalla tribù beduina Muzeini, vivono anche una ventina di italiani, mentre i turisti vengono per la maggior parte in gita da Sharm el-Sheikh. «Devo ringraziare l'amico che mi è venuto a prendere, perché è arrivato con un paio di minuti di ritardo, altrimenti ora non sarei qui a parlare — racconta Marco Merlino, istruttore subacqueo che vive e lavora a Dahab —. Stavo andando al supermercato, dove è esplosa una delle bombe, a comprare i pannolini per mia figlia quando una macchina davanti a noi ci ha fermato». Silvio Broggi, un medico dell'astigiano, stava camminando insieme alla moglie, proprio sul lungomare dove è avvenuta una delle esplosioni. «Sarebbe bastato fermarsi mezzo minuto in più su quel ponticello e saremmo morti», ricorda. «I passanti egiziani hanno capito di che cosa si trattasse prima di noi e ci hanno spinti per farci allontanare dall'esplosione, prima ancora che intervenisse la polizia». Poche ore dopo l'attacco, Dahab è ancora sigillata. Nessuno ha potuto lasciare la zona e l'Egitto ha chiuso la frontiera con Israele per evitare che i terroristi possano cercare di fuggire. «Questo atto malvagio verrà punito», ha promesso dal Cairo il presidente Hosni Mubarak. È notte quando il governatore del Sinai Mohamed Hani dice alla Reuters che ad agire sono stati tre kamikaze. Niente bombe a distanza, come è stato detto all'inizio. La polizia è convinta della pista legata ad Al Qaeda (dopo il messaggio di Osama Bin Laden diffuso domenica), ma per gli analisti non è da escludere una pista tutta interna. Un'altra coincidenza è quella con la celebrazione in Egitto della liberazione del Sinai dall'occupazione israeliana. «Sono piccole cellule — spiega Omar Shobaki del centro studi Al Ahram — che vogliono distruggere l'economia. Ma può anche essere una vendetta locale per gli arresti tra i beduini dopo le bombe a Taba e Sharm el-Sheikh». È l'ipotesi che fa Montasser El Zayatt, avvocato vicino ai Fratelli musulmani, che difende alcuni degli imputati per i precedenti attentati: «Gli eccessi della polizia verso familiari e amici dei detenuti — ha commentato ad Al Jazira — hanno creato una generazione che vuole vendicarsi del governo». Il presidente americano George W. Bush ha condannato l'attentato: «Ancora una volta questi terroristi provano a definire il mondo come lo vogliono loro. Posso assicurare al nemico: rimarremo all'offensiva, non ci tireremo indietro. Vi porteremo davanti alla giustizia, in nome della pace e dell'umanità».
Di seguito un'analisi di Guido Olimpio:
Quel che conta è la percezione. Domenica Osama invita a colpire in modo indiscriminato i «crociati», siano essi civili o militari. Ieri un gruppo di terroristi attacca con una triplice azione un bersaglio «morbido», rappresentato da turisti in vacanza. Un obiettivo che rientra nella categoria qaedista. Forse non ci sarà un collegamento operativo, perché la catena informativa che diffonde i proclami di Osama chiede tempo, ma l'effetto è identico. Quel legame invisibile — che pure esiste — è colto tanto in Medio Oriente che all'Ovest. In realtà le bombe di Dahab provano come il terrorismo ispirato da Bin Laden sia portato avanti da un insieme di gruppi, piuttosto che da una organizzazione. Più movimento che network, con i mujaheddin che agiscono secondo le opportunità e lungo le ampie direttrici indicate dal Califfo. Un terrorismo sicuramente difficile da contrastare perché non lascia punti di riferimento, linee di comunicazione precise. Lo intravvedi, ti aspetti che colpisca questa sera e invece ti sorprende dopo mesi. Quindi chiude il cerchio offrendo il sangue versato alla causa di Osama o del Zarkawi di turno. Infatti l'attentato sul Mar Rosso non è stato preceduto solo dall'intervento audio di Bin Laden. Ci sono stati altri segnali che l'onnipresente Mukhabarat egiziano ha colto senza però riuscire a impedire la terza strage in due anni (dopo Taba e Sharm el Sheikh) e sempre nel polmone economico (grazie al turismo) del Sinai. Segnali che indicano chiaramente come tra il Cairo e la penisola abbiano messo le tende non solo i beduini ma anche cellule di ispirazione qaedista. Il 22 novembre, a El Arish, la polizia intercetta e uccide tre estremisti che intendevano infiltrarsi per attaccare i turisti. Diversi rastrellamenti hanno permesso di neutralizzare un pericoloso gruppo ma — secondo fonti israeliane — non hanno sradicato la base, creata con l'aiuto di elementi locali nel Sinai. Per mesi, i servizi di sicurezza hanno sostenuto che le stragi fossero state opera di una banda composta da beduini e trafficanti. Solo a marzo, il Cairo ha ammesso che i terroristi appartenevano ad Al Tawhid wal Jihad (Unità e guerra santa), gruppo nell'orbita qaedista. Quasi un mese dopo gli 007 annunciano, con grande fanfara, la cattura di 22 sospetti, accusati di preparare attentati contro installazioni petrolifere, siti turistici e luoghi religiosi cristiani. Gli estremisti — sostengono le autorità — appartengono alla formazione «Al Taifa Al Mansoura» (Gruppo vittorioso), hanno imparato a costruire le bombe su Internet e sono in contatto con non meglio precisati «complici all'estero». La loro età varia tra i 18 e i 31 anni, con background diversi: c'è un predicatore, un negoziante, uno studente, un meccanico. Il loro capo si fa chiamare Abu Musab e ha pensato di affittare un terreno da trasformare in campo d'addestramento. L'immagine è quella dei «terroristi-fai-da-te», magari agganciati a militanti con maggiore esperienza. La sigla usata è infatti identica a quella di un gruppo di fuoco catturato in Giordania nel marzo di quest'anno e di una fazione attiva in Iraq. Poi altri due «avvertimenti» seri: un possibile gesto dimostrativo contro la nave Queen Elizabeth II eunattacco lungo il canale di Suez in seguito alla crisi delle vignette danesi. L'insieme di questi dati sparsi permette di sintetizzare così il quadro. 1) L'Egitto, buon alleato dell'Ovest, resta un bersaglio privilegiato: il tentativo è quello di imbarazzare il regime e di provocare danni economici con conseguenze sociali pesanti. Neppure la recente liberazione di centinaia di integralisti è riuscita a fare da calmiere. 2) Il Sinai è ormai una piattaforma ideale per nuclei eversivi che usano le zone dell'interno quali retrovie e possono contare su appoggi esterni. La frequenza degli attentati — quasi identici — rivela l'efficienza dei criminali e la carenza degli 007. 3) I qaedisti, come ha indicato l'ideologo egiziano Ayman Al Zawahiri, puntano alla «terza fase» o «rinascita» che prevede attacchi in Giordania, Egitto, Arabia Saudita, Libano e probabilmente in Israele. 4) Si moltiplicano, a volte usando la stessa firma, organizzazioni che si ispirano ai metodi di Al Zarkawi e risentono dell'effetto Iraq. 5) Sotto il profilo militare, i terroristi dimostrano di saper cambiare tattica, pur cercando di mantenere un'uniformità nella scelta degli obiettivi (facili) come nella dinamica degli attacchi (multipli). Uno sforzo operativo che tuttavia non ha soddisfatto le ali più radicali. A loro dire nessun membro di Al Qaeda ha impugnato le armi «contro il Faraone e gli apostati».
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