Sono pochi quelli che si chiedono il perchè dell'esodo dei cristiani dalla "Terra santa", come, con consueto eufemismo, è chiamato lo Stato d'Israele sui nostri giornali. Si leggano allora l'inchiesta di Davide Frattini sul CORRIERE della SERA di oggi 23.4.2006. Qualqiliya è in Cisgiordania, ma la situazione non è diversa in tutte le altre città dove la maggioranza è musulmana. Ecco l'articolo:
QALQILIYA — Hashem al-Masri è un sindaco tecnocrate. Di quelli che escono per una passeggiata e mostrano agli spazzini quanto le scarpe si sporchino ancora. Hashem al-Masri è un sindaco integralista. Di quelli che si avvicinano alla finestra e proclamano «in questa città tutte le donne vanno in giro con il velo. Se ne incontri una senza, non è di qua». Hashem al-Masri è un sindaco protettore. Di quelli convinti che i cittadini non debbano essere esposti ai «cattivi influssi». Che sia il pop occidentale o un'organizzazione cristiana.
Hashem al-Masri è un sindaco di Hamas. E' lui che amministra Qalqiliya e i suoi 45 mila abitanti dal maggio 2005, quando il movimento fondamentalista ha vinto tutti e quindici i seggi alle municipali. Sarebbe stato il vice, ma fino a due giorni fa il capolista Wajeeh Nazzal era in una prigione israeliana, da dove aveva condotto la campagna elettorale.
In undici mesi al potere ha ripulito i marciapiedi e i conti pubblici. E ha rafforzato le abitudini già tradizionaliste di questa città a nord della Cisgiordania: allo zoo gli altoparlanti non diffondono più musica, quest'estate un concerto è stato cancellato perché uomini e donne si sarebbero ritrovati fianco a fianco. «Haram», proibito dall'Islam.
«Haram» è la guida del sindaco nelle decisioni. Così nei giorni scorsi ha ordinato la chiusura della sede locale della Ymca ( Young Men Christian Association),
dopo una petizione firmata dal muftì di Qalqiliya e da altri quaranta imam, che è stata presentata al ministero degli Interni, guidato da Hamas. «La presenza di questa associazione crea molti problemi e conflitti — hanno scritto i religiosi —. Come può esistere in una città dove non ci sono cristiani?».
I predicatori e i gruppi fondamentalisti hanno accusato la Ymca di svolgere attività missionaria. «Quella sigla, quel nome con la parola "cristiano" è una provocazione — spiega al-Masri nel suo ufficio, dove campeggia una foto di Yasser Arafat, ma non si vedono segni del successore Abu Mazen —. Temiamo che vogliano convertire i giovani musulmani. E' vero danno assistenza, ma la gente non può abbandonare le credenze per i servizi che ottiene».
Con 80 mila dollari all'anno stanziati in parte dalla Commissione Europea, la Ymca a Qalqiliya aiuta venti bambini handicappati e offre sostegno psicologico a venticinque ragazzi tra i 15 e i 20 anni. «Siamo un'organizzazione palestinese anche se apparteniamo a religioni diverse — spiega Nader Abu Amsheh dal quartier generale vicino a Betlemme —. Continueremo a lavorare anche se il nostro ufficio è stato chiuso. Quelli che ci attaccano sono isolati, non rappresentano il vero islam».
Quelli convinti di rappresentare il vero islam sono arrivati una notte con le torce e la benzina per dar fuoco alla sede. Adesso è difficile arrivare alla piccola porta incenerita, nascosta in un vicolo dietro la strada principale: il dirigente locale ha paura di dare l'indirizzo, pochi in città ammettono di conoscere la Ymca. «Siamo musulmani, non abbiamo bisogno di loro. Sono qui come missionari: dietro alla beneficenza nascondo cattive intenzioni», grida un muezzin.
Gli uomini diHamas ripetono cheQalqiliya è sempre stata conservatrice, che loro hanno solo interpretato i desideri degli abitanti. Con qualche errore di valutazione, se alle elezioni parlamentari di fine gennaio, è stata una delle poche città dove il movimento fondamentalista ha perso e il Fatah ha conquistato i due deputati in palio.
«Non siamo come i talebani — prova a giustificare Mustafa Sabri, portavoce dell'amministrazione municipale — però li rispettiamo: hanno fatto le scelte giuste per la loro gente». E' quello che ha ripetuto il ministro della Cultura Atallah Abu Al Sibbah al quotidiano
Guardian: «Non siamo come i talebani, ma ci sono dei limiti. La danza del ventre è inaccettabile, una donna che balla seminuda non è permessa dalla religione. Sono gli egiziani che l'hanno importata nella Striscia di Gaza. Molti organizzano spettacoli privati, in segreto, se il fenomeno si dovesse diffondere non vorrei che i nostri militanti reagissero ammazzando qualcuno».
Sibbah, docente all'università islamica, si prepara a bandire i casinò e sta studiando come proibire la vendita di alcol. Uomini e donne — secondo il suo progetto — dovrebbero essere sempre separati nei luoghi pubblici. Perché per lui la «purificazione morale» è una parte centrale del conflitto con Israele. Il ministro vuole anche dare un'occhiata preventiva ai film. «Quando i cinema dovessero riaprire a Gaza, giudicherò tutte le scene e se c'è da tagliare taglio».
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