Imma Vitelli su EUROPA del 21 aprile 2006 accusa l'isolamento diplomatico e il taglio dei finanziamenti (non esiste alcun taglio degli aiuti umanitari) al governo dell'Anp di "creare un circolo vizioso" e persino di provocare la morte negli ospedali "perché sono finite le medicine"(la responsabilità di questa afefrmazione é priudentemente attribuita a un "fruttivendolo" palestinese).
La tesi é che occorra finanziare Hamas per non spingerla sotto l'influenza dell'Iran, come se l'organizzazione terroristica avesse bisogno dell'influenza di Teheran per essere "estremista"...
Ecco il testo:
A Gaza, un fruttivendolo riassume così il pensiero della piazza palestinese: «Il mondo ci affama. Ma con le nostre bombe umane, sapranno che siamo vivi e che resistiamo». Il Jihad islamico, finanziato dagli iraniani, fa nove morti a Tel Aviv con una amalia istishadiya, un’operazione martirio? «È il nuovo asse del terrore», commenta Dan Gillerman, ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite.
Il fruttivendolo palestinese parla dell’assedio economico ad Hamas da parte di Israele, Usa ed Unione Europea e dei suoi effetti sui civili: gli stipendi non pagati, la gente che muore negli ospedali della Striscia perché sono finite le medicine.
Il diplomatico israeliano si riferisce alle mani astutamente allungate da Teheran sulla causa di tutte le cause nel mondo arabo, quella palestinese, sicura fonte di consenso in Medio Oriente, di cui i mullah hanno bisogno, avendo deciso di forzare i tempi della sfida nucleare.
È un faccia a faccia senza sconti né mezze misure che, spiega a Europa Rami Khouri, editorialista giordano del quotidiano Daily Star, «rischia di trasformare il conflitto israelopalestinese in una guerra di civiltà con più fuochi in tutta la regione».
A fare da detonatore, una serie di eventi messi in moto dalla vittoria di Hamas alle elezioni di fine gennaio nei territori occupati: in primis, la decisione degli integralisti di non riconoscere lo stato di Israele; seguita dalla politica intrapresa dalle cancellerie occidentali «determinate a distruggere il governo della resistenza islamica attraverso l’isolamento diplomatico e il taglio degli aiuti».
È, questa, una dinamica che non interrompe il circolo vizioso, ma che anzi l’aggrava: se è vero che a ogni azione corrisponde una reazione, sullo scacchiere mediorientale si allungano nuove ombre. Spiega Khouri: «Da una parte, il vuoto creato dai fondi occidentali ha consegnato a un paese come l’Iran la fantastica opportunità di apparire come il salvatore dei palestinesi affamati dai cattivi occidentali. Dall’altra, affondare il governo democraticamente eletto di Hamas potrebbe avere ripercussioni enormi. Essenzialmente, si mette a repentaglio la legittimità stessa del processo elettorale e, con essa, la decisione di gruppi islamisti di prendere parte alla vita politica e andare al governo».
I risultati non si faranno attendere: «Prevedo un boomerang.
Centinaia di migliaia di giovani hanno creduto negli ultimi tempi alla possibilità di un cambiamento politico pacifico al vertice delle loro società. Ebbene questi giovani si sentiranno traditi e delusi e concluderanno che davvero non c’è alternativa alla lotta armata sotto le bandiere dell’Islam ». Khouri, su questo punto, è apocalittico: «Il tradimento dell’ideale democratico ingrosserà le fi- la dei fondamentalisti, quelli che in questi tempi di turbolenze hanno predicato intransigenza e rifiuto. Dopo una breve stagione di sperimentazione elettorale, passerà sempre più il messaggio dettato dagli ideologi di al Qaeda e cioè che Israele, Usa ed Europa anteporranno sempre e comunque i diritti degli israeliani a quelli dei palestinesi, e il terrorismo indiscriminato alla Osama bin Laden è l’unica strada».
Il fosco scenario disegnato dall’analista giordano non è poi così lontano, e non lo è neppure quel nuovo “asse del terrore” denunciato dall’ambasciatore israeliano al Palazzo di vetro. Lo adombrano le cronache: la scorsa settimana gli iraniani hanno ospitato un convegno di tre giorni per raccogliere fondi a sostegno di Hamas; la parola d’ordine è stata: resistenza! Il sito Internet del Jihad islamico palestinese, una creatura degli ayatollah, nel giorno dell’attentato suicida di Tel Aviv, informava trionfalmente di aver reclutato settanta ragazze e ragazzi aspiranti martiri; a fine marzo un’armata Brancaleone di integralisti capeggiati da Hamas e dalla milizia sciita libanese Hezbollah, altro gruppo fedele alla linea di Teheran, rilanciava, in joint venture con gli inviati del baby sceicco iracheno Moqtada Sadr, la santa alleanza islamica contro l’Ovest. Hamas, Hezbollah, milizie irachene e, naturalmente, la Siria di Bashar Assad: tutti clienti del presidente persiano Mahmud Ahmadinejad e dei suoi servizi. Riuniti nell’asse del terrore che non fa dormire gli israeliani e neppure gli intellettuali arabi vicini agli Stati Uniti e ai circoli neocon di Washington.
Non a caso, uno di essi, il libanese Michael Young, è durissimo con i mullah: «In fondo, a loro fa comodo che i territori occupati esplodano. Se ci dovesse essere una nuova intifada, ai regimi arabi non resterà altra scelta che schierarsi dalla parte dei palestinesi, poco importa se pilotati da Teheran e poco importa anche che, così facendo, i dinosauri del Cairo, Amman e Riyadh certificherebbero l’ascesa dell’Iran e il loro declino».
E i palestinesi? Senza speranza, spiega Young. «Sono saliti sul carro degli apparati di intelligence iraniani.
Sono scioccamente diventati pedine di scambio nella battaglia che Iran e Stati Uniti stanno combattendo per l’egemonia in Medio Oriente e pagheranno un prezzo altissimo chiunque sia il vincitore. Il conflitto con Israele è senza soluzione, probabilmente per decenni. E così i palestinesi continuano a lottare. L’unica differenza è che questa volta applaudono i mullah, mentre invece nel 1990 si sperticavano per Saddam Hussein».
Si sarà capito: anche Young, al pari di molti arabi posizionati nella guerra delle idee sul fronte occidentale, vede nero. A suo avviso, il futuro del governo Hamas è solo uno dei tanti dossier nel più ampio braccio di ferro tra Washington e Teheran: «La strategia di Ahmadinejad è a più punte», dice ancora Young. «C’è il fronte palestinese, quello libanese con gli Hezbollah, quello siriano, quello delle comunità sciite in Iraq e nel Golfo e quello, ovviamente, del nucleare. Il problema è che tutte queste punte stanno innervosendo Washington e aprendo nuovi scenari». Venti di guerra? «Se lo scopo degli iraniani è cacciare gli americani dalla regione, prepariamoci ai fuochi d’artificio, perché arriveranno. Nel 2007».
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