Hamas e la ragnatela del fanatismo l'analisi di Federico Steinhaus
Testata: Informazione Corretta Data: 21 aprile 2006 Pagina: 0 Autore: Federico Steinhaus Titolo: «Hamas e la ragnatela del fanatismo»
Da quando Hamas ha vinto le elezioni palestinesi ed ha assunto il potere ci si interroga ovunque su quale debba essere l’approccio ad uno sviluppo politico che non era stato inserito con sufficiente attenzione nelle proiezioni dei possibili scenari del “dopo Arafat”. Nella sostanza le metodologie proposte sono, semplificando, due: la massima intransigenza sempre e comunque e l’annullamento di tutte le contribuzioni internazionali , oppure una intransigenza in cui la fermezza lasci aperto lo spiraglio verso una revisione ed una riapertura dei flussi di denaro qualora Hamas dimostri una qualche flessibilità. La prima opzione sottovaluta le ripercussioni del problema umanitario conseguente al blocco degli aiuti in relazione anche alle posizioni politiche delle varie pedine – occidentali ed arabe – che hanno interessi divergenti o conflittuali nella regione. La seconda opzione invece tende a cercare un punto di equilibrio nella antica politica del bastone e della carota, che soddisfi le legittime esigenze di sicurezza di Israele senza scontentare il massimalismo arabo ed islamico. In linea di principio il dilemma ha una sua legittimità e le motivazioni addotte per una scelta di flessibilità non possono essere scartate a priori con senso di fastidio, come alcuni fanno. Si tratta piuttosto di approfondire le valutazioni che in questa opzione sono state lasciate in ombra, e che a nostro parere dimostrano quanto i suoi fautori siano preda di illusioni e quanto poco realismo dimostrino. Innanzi tutto dobbiamo rileggerci alcuni passaggi fondamentali della carta costitutiva di Hamas, che come noto si basa su elementi di fede vissuti con un radicalismo che esclude ogni possibilità di rinuncia o revisione. “La base del Movimento di Resistenza Islamico è l’Islam. Dall’Islam deriva le sue idee e i suoi precetti fondamentali, nonchè la visione della vita, dell’universo e dell’umanità; e giudica tutte le sue azioni secondo l’Islam, ed è ispirato dall’Islam a correggere i suoi errori” (art.1). “Il Movimento di Resistenza Islamico...si sforza di innalzare la bandiera di Allah su ogni metro quadrato della terra di Palestina” (art.6). “Il Profeta - le preghiere e la pace di Allah siano con Lui – dichiarò: « L’Ultimo Giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno, e fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra e l’albero diranno : O musulmano, o servo di Allah, c’è un ebreo nascosto dietro di me – vieni e uccidilo »”(art.7). “Dio come scopo, il Profeta come capo, il Corano come costituzione, il jihad come metodo, e la morte per la gloria di Dio come più caro desiderio” (art. 8). “Il Movimento di Resistenza Islamico crede che la terra di Palestina sia un sacro deposito (waqf), terra islamica affidata alle generazioni del’Islam fino al giorno della resurrezione. Non è accettabile rinunciare ad alcuna parte di essa...la stessa regola si applica a ogni terra che i musulmani abbiano conquistata con la forza...”(art.11). “Le iniziative di pace, le cosiddette soluzioni pacifiche, le conferenze internazionali per risolvere il problema palestinese contraddicono tutte le credenze del Movimento di Resistenza Islamico. In verità cedere qualunque parte della Palestina equivale a cedere una parte della religione” (art.13). “La natura islamica della questione palestinese è parte integrante della nostra religione...”(art. 27). Queste parole sono molto diverse dalle minacce di annientamento che erano contenute nella costituzione, laica e politica, dell’OLP. L’OLP le ha potute modificare con una decisione assembleare. Hamas non potrà fare altrettanto senza rinnegare l’Islam. Da qui partono anche le spiegazioni che ci consentono di comprendere quanto sta succedendo, in particolare nel modo di rapportarsi ad Hamas che si manifesta in molte parti dell’Islam. Innanzi tutto la rete di collusioni che sta nascendo, e che non è di certo limitata al solo fanatico Iran. Anche l’Arabia Saudita ha già promesso ad Hamas 92,5 milioni di dollari, ed il Qatar ne ha promessi 50. Partecipando ad un vertice islamico nello Yemen, prima della costituzione formale del governo, alcuni esponenti di primo piano di Hamas si sono incontrati con uomini di Al Qaeda vicini a Bin Laden. Sempre nello Yemen vive sotto la protezione dello stesso presidente Abd Al-Majid Al-Zindani, capo del’Università Islamica Al-Iman e presente fin dal febbraio 2004 nella lista dei terroristi di Al Qaeda delle Nazioni Unite; lo scorso 23 marzo Al-Jazeera ha trasmesso un suo discorso a sostegno dei terroristi suicidi palestinesi, tenuto ad una conferenza organizzata (sempre nello Yemen) a favore di Hamas. Appare sconcertante che il recente attentato di Tel Aviv abbia colto di sorpresa le autorità israeliane in quanto, per la prima volta, era stato preparato all’estero. La pianificazione era avvenuta durante un incontro a Teheran del capo della Jihad Islamica a Damasco, Ramadan Shalah, con Mohammad al Hindi che guida la medesima organizzazione terroristica a Gaza, con il vice-comandante degli Hezbollah Sheikh Ali Qassem e con il generale Kasim Suleimani che è a capo delle Guardie Rivoluzionarie Iraniane. Pur avendo scoperto e sventato nelle settimane precedenti 70 tentativi di compiere attentati, in questa occasione le forze israeliane sono state colte di sorpresa. Pare che il giovanissimo terrorista sia stato prelevato dalla sua casa pochi giorni prima e portato in un luogo sicuro sotto la sorveglianza degli Hezbollah per mettere a punto l’attentato. La Giordania ha annullato la visita del primo ministro palestinese prevista per il 19 aprile dopo che erano state scoperte armi, esplosivi e missili introdotti nel paese da Hamas. Sono segnali di collegamenti che sfuggono al monitoraggio politico occidentale, incapace di comprendere anche l’ostinazione con cui il presidente iraniano enuncia messaggi di terrore e distruzione incurante dello sgomento ostile che suscitano – come del resto è incapace di comprendere un fanatismo religioso che incita a commettere un suicidio-omicidio per meglio onorare Dio. Forse sta nascendo una ragnatela di fanatismi islamici convergenti e pronti a collaborare fra loro, ispirati come sono dal medesimo odio; che ciò sfugga alle analisi occidentali e venga ignorato dai media non depone a favore della capacità di tenerle testa. Se il futuro che ci si prospetta come scenario politico è questo, non meno grave appare quello culturale. Come e più che ai tempi di Arafat la televisione palestinese educa i giovani – anche i bambini – all’odio e li prepara al martirio come massima aspirazione. Dal sito della Fratellanza Musulmana in Egitto (http://www.ikhwanonline.com/) ci si può facilmente connettere al sito che i Fratelli Musulmani hanno creato per i piccoli (http://www.awladnaa.net/: “I nostri bambini”), nel quale vengono mescolati argomenti piacevoli e banali con risposte che vengono date alle immaginarie domande dei bambini. Nella rubrica “cultura generale” la domanda “Lo sapevate?” introduce all’argomento palesemente più importante. Vi si afferma che “la resistenza irachena è il più bell’esempio della lotta per l’indipendenza”, che “gli ebrei hanno assassinato 25 profeti di Allah, e la loro nera storia è piena di crimini ed omicidi e corruzione”, anzi, essi abitualmente uccidono i bambini. In un altro settore l’Andalusia viene descritta come “parte della grande patria musulmana”. Certo, quando viene commessa una strage come quella di Tel Aviv e le decine di altre che l’hanno preceduta, in cui perdono atrocemente la vita figli dinanzi ai genitori, genitori dinanzi ai figli, persone qualunque che avrebbero voluto fare la spesa, divertirsi, mangiare una pizza in compagnia – quando ciò accade è difficile non associarsi ai sanguigni, addolorati, furiosi commenti di Deborah Fait. Quando si mettono in fila tutte le informazioni che compaiono in questa pagina non è facile mantenere il contatto con la propria razionalità e con il proprio equilibrio di giudizio. Ma la politica, anche quando ci costa molto farlo, chiede il distacco dall’emotività pura. E’ dalla politica che speriamo di ricevere risposte alle terribili domande che abbiamo poste, e prospettive non retoriche di pace, una pace che quasi tutti vogliono appassionatamente, di cui tutti indistintamente hanno bisogno, ma contro la quale alcuni scatenano l’ira dell’inferno.