Sergio Romano e Renzo Guolo contro l'unilateralismo e il blocco dei finaziamenti ad Hamas ma non forniscono alternative realistiche
Testata: Autore: la redazione Titolo: «Punire o dialogare con il governo Hamas?»
L'UNITA' del 20 aprile 2006 pone a Sergio Romano, Renzo Guolo, Boris Biancheri e Amos Luzzato i seguenti quesiti:"1) Stati Uniti e Unione Europea fanno leva sul blocco degli aiuti economici all’Autorità nazionale palestinese come strumento di pressione sul governo targato Hamas perchè riconosca il diritto alla sicurezza e all’esistenza dello Stato d’Israele e rinunci alla violenza e al terrorismo. Come valuta il blocco degli aiuti e a quale obiettivo praticabile questo strumento di pressione dovrebbe essere finalizzato? 2) Dopo la strage di Tel Aviv, il premier ad interim israeliano Ehud Olmert ha posto sotto accusa il governo Hamas ma non ha dato il via libera alla reazione militare. Come valuta la posizione assunta in questo delicato frangente dal leader israeliano e qual è a suo avviso la strategia perseguita dal successore di Ariel Sharon in rapporto alla nuova leadership palestinese a egemonia islamica?" Ecco la risposta di Romano:
1) «L’obiettivo è costringere Hamas a riconoscere l’esistenza dello Stato d’Israele. Non ho l’impressione che ci riusciranno, perchè non credo che in questo momento Hamas sia pronta a un tale giro di boa. Gli aiuti servono grosso modo a pagare gli stipendi di 140mila dipendenti pubblici; se si calcola la dimensione media di una famiglia palestinese, questo blocco incide sulla vita di quasi un milione di persone se non di più. È evidente che l’Autorità palestinese non può fare a meno di questo sostegno economico, sapendo però che una crisi umanitaria nei Territori ricadrebbe pesantemente anche su Israele che è pur sempre responsabile di quei Territori. D’altro canto, Hamas si sta guardando attorno e quei soldi sembra che li stia trovando: in Iran, in Qatar, in Arabia Saudita. A questo punto non soltanto l’Unione Europea non ha raggiunto lo scopo ma ha finito per consegnare il governo palestinese nelle mani di potenze che hanno meno voglia di incidere, in termini di moderazione, sulla linea politica di Hamas». Qual'é l'alternativa proposta? Che l'Europa finanzi in prima persona il terrorismo di Hamas?
2) «L'obiettivo di Olmert è esattamente quello del suo predecessore, Ariel Sharon, cioè la creazione di una “casa palestinese” realizzata con provvedimenti autonomi e unilaterali del governo israeliano, non concordati a un tavolo negoziale con la controparte palestinese. Era la linea di Sharon, è diventata quella di Olmert con un argomento in più: Hamas non ci riconosce e quindi non può essere un interlocutore. Debbo dire che anche Abu Mazen, che pure lo Stato d’Israele lo ha riconosciuto, non era considerato un interlocutore in quanto Sharon stava procedendo unilateralmente. E questa mancanza di risultati concreti al tavolo negoziale ha contribuito e non poco alla disfatta elettorale di Al Fatah, il partito di Abu Mazen.
Abu Mazen era personalmente contrario al terrorismo, ma non lo combatteva. Né combatteva Hamas e la corruzione di Al Fatah che ha portato quel gruppo a vincere le elezioni. Non era considerato un interlocutore perché, come i fatti hanno dimostrato, non lo era. Inoltre, dopo il ritiro da Gaza, i palestinesi avrebbero potuto capire che il miglior modo per arrivare a un negoziato con Israele, evidentemente disposta a concessioni, era premiare una linea politica moderata. Hanno fatto la scelta contraria.
E quella di Guolo:
Ma la strada dell’unilateralismo rischia di portare Israele verso alternative impossibili: se c’è un attentato e Hamas non lo sconfessa, bisogna considerare a questo punto Hamas implicitamente complice, ed è ciò che il governo israeliano sta sostenendo; ma da questo non può trarne la conseguenza che bisogna colpire Hamas perchè altrimenti finirebbe per non avere nemmeno quel minimo di “diaframma” che il governo Hamas pur sempre rappresenta tra Israele e il peso di una amministrazione diretta dei Territori. A me pare che Israele stia rimanendo prigioniero del meccanismo dell’unilateralità».
L'alternativa posta da Romano é inesistente:la responsabilità di Hamas é oggettiva, ma se, constatata l'irriducibilità del gruppo islamista, Israele decidesse di difendersi attivamente non avrebbe alcun obbligo di "amministrare" i territori palestinesi, nei quali é insediato un potere nemico e terrorista. L'unica vera domanda é se la comunità internazionale é pronta a riconoscere il diritto all'autodifesa di Israele 1)«Si tratta di un pressione nei confronti del governo di Hamas per indurlo a riconoscere Israele. Sappiamo le difficoltà in cui versa il nuovo governo palestinese di fronte al fatto che è impossibile far funzionare regolarmente l’amministrazione e pagare le forze di sicurezza senza questi aiuti. Il rischio, come abbiamo già visto in questi giorni, è che con l’entrata in campo dell’Iran, Hamas finisca per appoggiarsi a Teheran saldando un fronte tra la questione del nucleare negato e questione palestinese, che inevitabilmente complica il quadro. L’Iran rischia di fare la parte del leone e svolgere una profonda influenza anche in campo palestinese dopo averla già esercitata in Iraq. Teheran gioca la sua partita con l’obiettivo dichiarato di saldare la salvaguardia del proprio progetto nucleare alla questione palestinese, facendo così diventare esplosivo tutto il fronte mediorientale».
Qual'é l'alternativa proposta? Che l'Europa finanzi in prima persona il terrorismo di Hamas?
2) «È chiaro che il nuovo quadro politico che emerge dalla vittoria elettorale di Kadima e dal ritorno al potere, sia pure in posizione di condominio, del Labour di Amir Peretz, inevitabilmente porterà al tentativo, peraltro già enunciato da Olmert, di definire i confini di Israele entro il 2010. Questo significa che, con i palestinesi o senza, secondo le intenzioni di Kadima queste linee di confine saranno fissate. È chiaro che quanto più l’atteggiamento di Hamas o di un altro governo sarà ostile, tanto più questa ridefinizione dei confini sarà svolta in maniera unilaterale. Questa priorità discende dal timore di Israele che se non ridefinirà i confini potrebbero emergere i “fantasmi” della maggioranza araba dentro Israele e ai territori occupati, rimettendo così in discussione la stessa natura di Israele come Stato degli Ebrei. Il problema è che operando in maniera unilaterale si rischia di gestire situazioni nelle quali i fattori di conflitto non vengono in qualche neutralizzati ma al contrario possono venire amplificati. Ciò che appare chiaro è che l’obiettivo del governo israeliano sia quello di togliersi di dosso la questione palestinese determinandone l’esito ma in maniera unilaterale. Se invece sul versante palestinese dovesse emergere un governo con un altro quadro politico, che riconosca lo Stato d’Israele, il negoziato potrebbe essere anche molto aspro ma sicuramente potrebbe dare risultati più stabili che non siano messi in discussione in futuro».
Implicita risposta a Romano e Guolo danno le parole di Biancheri, che riportiamo:
1) «L’obiettivo politico a cui tendere è il riconoscimento di Israele, l’apertura di un dialogo con lo Stato ebraico e la rinuncia alla violenza. Ritengo politicamente corretto subordinare la concessione di aiuti a un riconoscimento di Israele e all’istaurazione di una situazione che possa evolvere verso una pace fondata sul principio di due popoli, due Stati. Detto questo, francamente non mi sento di essere ottimista sulla efficacia dello strumento delle pressioni economiche per ottenere l’obiettivo dichiarato. D’altro canto, mi rendo anche conto che la sospensione degli aiuti significa per l’Europa perdere quel punto di appoggio e di forza che ha nei confronti dell’Autorità palestinese e quindi di Hamas stessa. Se ci si assenta completamente e si sospendono gli aiuti, senza parlare delle conseguenze negative sulle condizioni di vita della popolazione civile, si rinuncia ad uno strumento, quello economico, per condurre la propria battaglia politica. In questo scenario, ritengo che la sola formula tentabile sia il proseguimento dell’azione unilaterale israeliana così come l’aveva impostata Sharon». 2) «La prospettiva è quella di tutelare al massimo possibile la propria sicurezza, e quindi astenersi dall’innescare una catena sanguinosa di azioni e reazioni; una spirale che inevitabilmente porta con sé una escalation dell’insicurezza. A me pare che Olmert prosegua sulla linea tracciata da Sharon, che è una linea di azione unilaterale. Una linea pragmatica, l’unica in grado di reggere in una fase nella quale il dialogo tra le due parti appare improbabile. Questa linea, così come è stata perseguita da Sharon nella Striscia di Gaza, prevedeva delle misure in difesa della propria sicurezza ma anche l’abbandono dei territori occupati. Questa è, a mio avviso, la linea da perseguire in attesa che si ricreino quelle condizioni minime di fiducia reciproca su cui fondare un nuovo inizio negoziale. Tutelare al massimo la propria sicurezza, anche attraverso il “muro” in Cisgiordania su cui non eccepisco nella necessità ma semmai sul tracciato, e al tempo stesso proseguire nel ritiro dai territori occupati: su questo doppio binario penso e mi auguro che si sviluppi l’azione politica del governo guidato da Ehud Olmert. L’unilateralismo non esclude in sé elementi di riconoscimento delle aspettative della controparte».
Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione dell'Unita'