Dal CORRIERE della SERA di giovedì 20 aprile 2006 , un'analisi delle strategie palestinesi, di Davide Frattini:
RAMALLAH — Marwan Barghouti ha tempo. Per leggere, per pensare, per studiare una soluzione. E dalla sua cella poco più grande di uno sgabuzzino, sta cercando di offrire una via d'uscita agli avversari. Un piano diplomatico per rompere l'isolamento internazionale che circonda Hamas.
Il primo passo indicato è arrivare una nuova tregua che venga accettata da tutte le fazioni, per poi chiedere all'Europa di premere su Israele perché fermi le operazioni militari. Ottenuta la calma, i palestinesi formerebbero un governo di unità nazionale con la partecipazione del Fatah. A una condizione: Hamas deve accettare gli accordi firmati in passato con lo Stato ebraico e le risoluzioni che abbiano una legittimità internazionale. Barghouti non parla in modo diretto di riconoscimento di Israele, anche se la richiesta verrà messa sul tavolo delle trattative.
«Marwan sta cercando di riunire tutti i gruppi attorno al suo progetto — spiega la moglie Fadwa —. Ha chiesto che venga organizzato un vertice entro tre mesi per trovare un'intesa, per sbloccare la crisi». Un incontro segreto tra Khaled Mashal, leader di Hamas all'estero, e Farouk Kaddumi, rappresentante dell'Olp, sarebbe già avvenuto in Qatar pochi giorni fa. E sempre a Doha dovrebbero svolgersi i negoziati tra le fazioni. «Ci stiamo pensando — commenta Salah al Bardawi, portavoce del movimento fondamentalista in Parlamento —. Sappiamo di dover prendere una decisione sui trattati siglati negli anni passati dall'Olp. Se si trova una formula che permetta di superare le divisioni, siamo pronti ad accettarla. Hamas e il Fatah hanno molte cose in comune, il riconoscimento di Israele non è una di queste».
Da quattro anni, da quando è stato arrestato nell'aprile 2002 dalle forze speciali, il prigioniero palestinese più celebre nelle carceri israeliane è fuori dalla scena ma noi dai giochi politici: era pronto a candidarsi alle presidenziali contro Abu Mazen, è stato il capolista del Fatah nelle elezioni di gennaio. Su cosa fare di lui si dividono i servizi segreti — condannato a cinque ergastoli, per lo Shin Bet è l'«architetto del terrore» nella seconda Intifada — e gli analisti dell'esercito, che vedono in Barghouti un possibile interlocutore, un pragmatico da utilizzare se il caos nei territori dovesse diventare incontrollabile. Perfino Washington — secondo voci, poi smentite — starebbe pensando di offrire uno scambio agli israeliani: liberate Barghouti e noi lasciamo andare Jonathan Pollard, l'ebreo americano accusato di spionaggio in favore di Gerusalemme.
Hamas comincia a sentire la pressione del boicottaggio. «Stiamo cercando una soluzione politica, stiamo decidendo quali segnali mandare per aprire il dialogo», spiega il ministro delle Finanze Abdel Omar Razeq. Anche perché il governo ha perso un altro Paese con cui parlare. La Giordania ha cancellato la visita del ministro degli Esteri Mahmoud Zahar, dopo aver scoperto un deposito di armi. «Abbiamo ritrovato mitra, esplosivi e razzi contrabbandati dall'organizzazione. Il governo di Amman non può accettare che Hamas conduca una doppia politica nei confronti del regno», ha spiegato un portavoce. Venerdì scorso era saltato il viaggio di Zahar in Egitto e ieri la Turchia ha criticato Hamas per non aver condannato l'attentato suicida a Tel Aviv.
La Francia è invece pronta a non fermare l'assistenza economica ai palestinesi, dopo il congelamento deciso dagli Stati Uniti e dall'Unione Europea. «Troncare gli aiuti umanitari e far pagare alla popolazione l'arrivo al potere degli integralisti sarebbe un errore pontico enorme», ha detto il presidente Jacque Chirac, che ha incontrato Hosni Mubarak al Cairo.
Maurizio Caprara sulla telefonata a Prodi di Ismail Haniyeh, premier palestinese di Hamas:
Hamas ha individuato nell'Italia uno dei Paesi sui quali fare perno per aprire varchi nella barriera diplomatica eretta dall'Unione europea nei suoi confronti. Con una mossa che nell'ufficio di Romano Prodi viene definita «a sorpresa», il primo ministro palestinese Ismail Haniyeh ha telefonato ieri mattina al candidato presidente del Consiglio del centro-sinistra per congratularsi della sua vittoria nelle elezioni.
Il premier di Hamas ha chiamato prima della decisione della Cassazione sui risultati. Lo ha fatto mezz'ora prima che un'altra telefonata di auguri arrivasse al Professore da Ehud Olmert, il primo ministro israeliano designato e ha battuto sul tempo Muhammar el Gheddafi, il quale si è fatto vivo in serata augurandosi «una nuova stagione di cooperazione tra Italia, Libia e Africa». Ma con il successore di Ariel Sharon la conversazione era nell'aria da martedì, la ricerca dell'ora adatta era stata affidata alla diplomazia. Di fronte alla chiamata di Haniyeh si è posto un dubbio: rispondere o no?
Domanda complicata. Hamas ha vinto le elezioni palestinesi, ma è pur sempre nella lista delle organizzazioni considerate terroristiche dall'Ue. L'orientamento comunitario è di evitare contatti ufficiali con suoi rappresentanti, però per gli Stati esiste una flessibilità e il rifiuto riguarda per lo più scambi di visite e incontri. Haniyeh ha alle spalle almeno tre anni nelle carceri israeliane, nel 2003 scampò a un attacco dei militari di Israele mandati a ucciderlo perché gli si attribuiva un ruolo nelle campagne di attentati contro civili, eppure rispetto alla suo movimento è ritenuto un pragmatico.
Per contattare il prossimo presidente del Consiglio, dai Territori palestinesi hanno telefonato sul cellulare di Silvio Sircana, il suo portavoce. Uno dei numeri conosciuti da tanti giornalisti stranieri, uno dei più facili da recuperare per estranei. In pochi minuti, Prodi, Sircana e qualche altro consigliere hanno scelto: quando arriverà la telefonata annunciata sarà meglio rispondere, però bisogna far presente ad Haniyeh che il suo governo deve riconoscere il diritto di Israele a esistere e in condizioni di sicurezza, che deve rinunciare alla violenza e deve accettare gli accordi precedenti tra Autorità nazionale palestinese e israeliani. Le tre condizioni ribadite dai ministri degli Esteri dell'Ue il 10 aprile, quando è stata sospesa l'erogazione dei fondi europei al governo di Haniyeh.
Così è stato. Verso mezzogiorno Prodi ha risposto al premier palestinese, assisto nei Territori da un interprete che traduceva le sue parole in italiano. È evidente che Haniyeh, interessato anche a risultare meno isolato all'estero agli occhi dei palestinesi, aveva presente la tesi sostenuta dal professore il 12 aprile su al Jazira: «Ci sono state aperture di Hamas molto interessanti».
Quasi subito, nei Territori la notizia della telefonata è stata data all'agenzia ufficiale Wafa.
Il governo dell'Anp ha riferito che Prodi è stato ringraziato da Haniyeh per «la sua posizione politica circa il governo palestinese». Ad
al Jazira, il Professore aveva dichiarato di prendere atto della vittoria elettorale di Hamas, pur ribadendo la linea europea.
A questo punto, Prodi ha avuto motivo di temere nuove scintille come quelle sollevate dalle traduzioni della sua intervista del 12 aprile. Perciò è stato dato corso alla decisione di diffondere un comunicato sottolineando che nel colloquio Prodi aveva espresso «preoccupazione» per il «gravissimo attentato» di lunedì a Tel Aviv ribadendo ad Haniyeh «l'inderogabile necessità che siano riconosciute le tre condizioni indispensabili ad avviare un dialogo internazionale con l'Anp».
Le stesse tre condizioni ricordate anche nella nota scritta dai prodiani per dare conto della telefonata di Olmert arrivata nel frattempo, «lunga e amichevole». Pare che Prodi gli avrebbe detto di aver parlato con il premier
palestinese. Non si sa se prima o dopo, i due capi in pectore dei governi italiano e israeliano hanno scherzato sulle traversie post-elettorali delle rispettive coalizioni. Prodi ha rinnovato a Olmert «la solidarietà a tutto il popolo israeliano» per l'attentato e ribadito «la più totale condanna del terrorismo». Se basterà o no a chi da Gerusalemme non avrebbe risposto ad Hamas, lo si capirà presto.
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