La finanza islamica in soccorso di Hamas un fondo in Kuwait raccoglie 200 milioni di dollari
Testata: Libero Data: 19 aprile 2006 Pagina: 16 Autore: Andrea Morigi Titolo: «Hamas è al verde La finanza islamica lancia la colletta»
Da LIBERO di mercoledì 19 aprile 2006:
Nel mondo islamico scatta la gara di solidarietà filoterrorista per i palestinesi. Se gli odiati " nemici sionisti" lavorano per inaridire le fonti di finanziamento di Hamas e degli altri gruppi che sfornano kamikaze a getto continuo, la soluzione c'è. A riempire di nuovo le casse vuote ci penserà il Fondo d'investimento Palestina, che si propone di raggranellare in breve tempo tra i 100 e i 200 milioni di dollari, chiedendo versamenti in quote minime da 50mila dollari, con cui finanziare l'economia palestinese e le privatizzazioni già programmate a suo tempo dal governo di Ramallah. È vero che, almeno dal 2000 l'International Islamic Development Bank - espressione della Conferenza islamica - aveva creato i fondi Al- Aqsa e Al- Quds. Ma serviva un'iniezione di liquidi in più e, finora, i 50 milioncini di dollari dalla Repubblica Islamica d'Iran, a cui se ne sono aggiunti martedì altri 50 promessi dall'Emirato del Qatar, non appaiono minimamente sufficienti a riportare in sesto i conti in rosso dell'Autorità Nazionale Palestinese, che in marzo non è stata nemmeno in grado di pagare gli stipendi dei 140mila dipendenti del governo. Perciò i vertici di Hamas hanno avvertito tutti gli Stati arabi che entro quattro mesi l'economia palestinese potrebbe finire in bancarotta, se i finanziamenti congelati dall'Occidente non fossero sostituiti da altrettanta generosità islamica. A forza di lanciare appelli, alcuni danarosi sceicchi hanno risposto dal Kuwait, dove opera la Global Investment House. Ci hanno studiato un po' e poi hanno messo a punto un prospetto informativo che fa balenare anche il 5% annuo di guadagno a chi sceglie di versare i propri danari nel Palestine Fund. Parlano della Striscia di Gaza e della Cisgiordania come di un prossimo paradiso in terra, con gli indicatori economici e le performance di Borsa in costante e inarrestabile ascesa. Tacciono sulla scelta disperata dei giovani palestinesi che preferiscono emigrare piuttosto di essere governati dai terroristi che li mandano a morire. La realtà è che, da vecchie volpi della finanza, i finanzieri della guerra santa hanno intuito che perfino le opere caritative possono tramutarsi in lauti guadagni, sempre beninteso per la causa di Allah. Ma c'è ancora un ostacolo da superare, almeno dopo l' 11 settembre 2001. Anche se sono i più restii ad aderire alle regole antiriciclaggio, i banchieri islamici sono tenuti a rispettare le leggi che combattono il finanziamento del terrorismo. O almeno ad aggirarle tramite scappatoie legali. Ma sono abituati, perché già sostengono l'illiceità degli interessi bancari, considerati " usura", salvo poi applicarli con altre modalità. Una volta salvata la forma, poi, per i circuiti bancari internazionali - anche se " infedeli" - resta intatto il motto " pecunia non olet". Per sicurezza, hanno nominato " registrar and transfer agent and auditor" del Fondo la Kpmg del Bahrein. Peraltro è noto che, anche se sembrerebbe un'industria come le altre, la finanza islamica si distingue peruna particolarità: una quota del 2,5% degli utili è versata in " beneficenza" a gruppi fondamentalisti, dai board che siedono in Arabia Saudita, negli Emirati Arabi Uniti, in Malaysia, ma anche negli Usa, nel Regno Unito, in Svizzera e in Irlanda. Ma dai bilanci non appare quasi mai la destinazione " socialmente responsabile" della tassa coranica, la zakat. Finora il trucco ha funzionato e il Palestine Fund è solo l'ultimo nato tra i circa 250 strumenti azionari e obbligazionari rispettosi della legge coranica, che muovono annualmente 400 miliardi di dollari sul mercato finanziario e crescono a ritmi del 15% l'anno. E, quando le circostanze lo impongono, non riescono a nascondere il loro volto minaccioso.
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